Che cos’è la vita? Una serie “di lune storte” e “di soli dritti”. Scrive e canta Henna – Elena Mottarelli, classe ’96 – nella sua cosicosicosicosì, brano su cui ha scommesso anche Angelina Mango, l’astro nascente del pop italiano che a metà ottobre ha pubblicato a sorpresa il nuovo disco caramé. Cosicosicosì è infatti la sedicesima traccia dell’album, scritta e interpretata da Henna, che cala il sipario sul secondo lavoro in studio di Angelina. Oltre a questo cameo, Henna ha una discografia tutta sua, fresca della pubblicazione del suo primo EP Polo Nord.
Dalla decisione di trasferirsi da Sondrio a Milano per fare musica, alle giornate intere in studio (fino a tarda notte) per portare avanti il suo progetto artistico. Henna ne è convinta: «Voglio suonare con la mia band e coi miei amici. È il mio desiderio più grande».

Cosicosicosicosì è il suo brano che chiude l’ultimo album di Angelina Mango, caramé. Come è nata la collaborazione?
È nato come un regalo per Angelina. Io e Filippo (fratello di Angelina ndr.) abbiamo iniziato a scrivere il brano la sera prima del suo compleanno e siamo stati svegli tutta la notte per riuscire a chiuderlo in tempo e a darglielo come “presente digitale”. Era un pensiero per lei, una coccola, un abbraccio. Poi, quando Angelina ha scritto l’album, mi ha chiesto di inserire questo pezzo nel disco, e io ho detto sì.
Cosa voleva dirle con questa dedica?
Volevo dirle che le voglio molto bene, che sono un’amica e che gli amici veri si stanno accanto, sia quando ce n’è bisogno sia quando non ce n’è bisogno. Volevo farle sapere che io ci sono sempre.
Dopo l’uscita dell’album di Angelina Mango, caramé, che risposta ha avuto dal pubblico?
Ho ricevuto un bel boost di ascolti grazie a questa canzone, molti di più rispetto al solito. Mi ha fatto piacere notare che, grazie a questo brano, alcune persone hanno approfondito e sono andate a cercare il mio profilo e hanno ascoltato il resto della mia musica.

In cosicosicosicosì a un certo punto scrive “Mentre il mondo cambia è meglio dare più importanza a chi ti guarda quando ti parla”. Cosa voleva dire?
Volevo elaborare un concetto di sincerità. Questa canzone parla di amicizia e nell’amicizia è importante potersi fidare totalmente dell’altra persona, perché un vero amico sa anche dirti di no a volte. Quando si dicono le bugie spesso non ci si guarda negli occhi, mentre quando si dice una cosa vera lo si capisce da come brillano gli occhi, sia se è una cosa bella sia se brutta.
Come nasce il suo nome d’arte, perché Henna?
È ispirato a Lucio Dalla, che per me è stato l’artista che più mi ha avvicinata alla testualità e al cantautorato. Quando pensavo a un nome d’arte da scegliere, cercavo qualcosa che mi potesse rappresentare. Una volta mi trovavo davanti a un cofanetto con i dischi di Dalla e ho visto questo disco che si chiama Henna, nel quale c’è una traccia omonima. Di fatto è il nome dell’erba tintoria, ma la canzone parla di guerra. Mi è sempre piaciuta moltissimo perché, anche se Henna parla di ingiustizie, lo fa in maniera molto tenera e poetica.
Nel 2015 si è trasferita da Sondrio a Milano per seguire il sogno di fare musica, cosa l’ha spinta a farlo?
Mi ha spinto la passione. Già scrivevo canzoni, anche in inglese, ma quei primi tentativi – devo essere sincera – non è che fossero proprio epici (ride ndr.). Però mi piaceva molto cantare e quindi ho detto “Perché non provarci?”. La mia famiglia mi ha sostenuto dicendo: “Se questo è quello che vuoi fare, se il tuo desiderio è provarci, allora fallo”. Tanto poi il tempo per dirottare c’è sempre.
Come sono stati i primi anni qui?
Quando mi sono trasferita a Milano mi sono iscritta a una scuola di musica. Frequentando un ambiente pieno di musicisti, cantanti e cantautori ho trovato una realtà stimolante. Lì ho conosciuto delle persone che mi hanno fatto pensare: questo è quello che voglio fare. E ogni giorno che passava si riconfermava questo desiderio. Naturalmente ci sono anche quei giorni in cui ti chiedi “Perché l’ho fatto? Ma cosa ci faccio qui?”. Però si continua sempre a lottare, almeno finché c’è il desiderio, la passione, la necessità.
Oggi si dedica solo alla musica o ha anche un altro lavoro?
In questo momento mi dedico alla musica, investo tutto sul mio progetto. Però do anche lezioni di musica come insegnante.
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Il 14 novembre è uscito il suo primo EP, Polo Nord. Se questo disco fosse un colore, un numero e un giorno della settimana, quali sarebbe e perché?
Se fosse un colore sarebbe il bianco, perché quando ho scritto il brano Polo Nord, qualche anno fa, non sapevo ancora che sarebbe stato il nome dell’EP. Poi quest’anno sono andata a fare un viaggio in Lapponia e da lì ho iniziato a sviluppare tantissime idee che sono confluite nel disco. Di conseguenza associo questo progetto a un ambiente molto nordico, pieno di distese di bianco e di ghiaccio che ho visto e che mi hanno aiutata a scrivere queste canzoni.
E invece il numero e il giorno della settimana?
Di sicuro un numero alto, mi viene in mente il 27, anche se un po’ a caso. Però se penso ai tentativi necessari prima di arrivare alla versione finale di ogni brano, potrebbero essere 27 per ciascuno. Su ogni canzone è stato messo tanto amore, non solo da parte mia. 27 potrebbe anche essere il numero delle persone che mi hanno aiutata a realizzare il disco, e che mi hanno dedicato anche solo un briciolo del loro tempo.
Manca solo il giorno della settimana.
Direi un mercoledì perché è il giorno in cui sono nata ed è anche quello che preferisco, sia per la posizione nella settimana sia per il suono del nome.
Prima ha parlato delle persone con cui lavora, da chi è formato il suo team?
È composto da Filippo Mango, che ha prodotto Polo Nord insieme a me. Dal bassista della band Filippo Tosso, anche lui ha partecipato alla produzione di alcuni brani. E poi ci sono il tastierista Maximiliano Agostini e anche Carlo Capobianco che è il chitarrista. Angelina stessa (Mango ndr.) mi ha dato una grandissima mano. Le mandavo ogni bozza delle canzoni, come a tutte le mie amiche e alla mia famiglia, e lei mi ha sempre dato un feedback.
Se guarda avanti, cosa vede o cosa spera di vedere nel suo futuro artistico?
Spero di potermi permettere di fare questo lavoro tutti i giorni, come sto provando a fare ora. Per il momento non è sostenibile (economicamente ndr.), però ci provo comunque con tutte le forze che ho. Io sogno di andare in studio tutti i giorni e di fare tanti concerti. Voglio proprio suonare con la mia band e coi miei amici (fa una pausa ndr.). È il mio desiderio più grande.

Com’è la sua giornata tipo di lavoro in studio?
Al mattino ci si sveglia, si prende un bel caffè con la colazione e poi si va subito in studio. Insieme al team apriamo il progetto a cui stiamo lavorando e iniziamo a buttare giù idee di scrittura, sia testuali sia a livello di produzione delle melodie. Tendenzialmente si va avanti fino alle due di notte, perché magari “mi piglia bene” e non mi accorgo neanche del tempo che passa. Fino a quando a un certo punto diciamo: “Vabbè, adesso stacchiamo che bisogna dormire”. Altre volte, invece, lavoriamo su una quindicina di idee ma poi niente gira per il verso giusto e sembra di aver buttato la giornata. Ma in realtà nessun giorno è fallimentare, perché quello è comunque lavoro, anche se poi non esce il “pezzo della vita”.
In un’intervista a Musicultura ha detto di non apprezzare le playlist musicali più mainstream e i brani che oggigiorno dominano le classifiche.
Sono d’accordo con la me del passato. Capita di sentire sempre le stesse cose: poche idee a livello sonoro. Mi capita di “skippare” (saltare, non ascoltare ndr.) tanti pezzi perché appena partono ti accorgi che ci sono le stesse identiche cose che hai sentito nel pezzo prima. Magari sono anche gusti personali o generi musicali che io non amo. Però, a prescindere dal genere, ci sono cose che sono oggettivamente belle e che comunicano qualcosa, e altre che invece non dicono nulla.
Mi dice allora due artisti italiani e due esteri che tiene come riferimento?
In Italia mi piace moltissimo Emma Nolde, è un’artista completa e mai banale in quello che scrive. L’ho vista diverse volte in concerto e sul palco riesce sempre a portare uno spettacolo vivo. È molto comunicativa. Mi piace tanto anche La Niña, che fa musica popolare in napoletano: il suo ultimo disco è fortissimo. Invece per l’estero mi viene in mente Charlotte Cardin, che è una cantautrice canadese. E poi, vabbè, buttiamoci dentro anche La Rosalía che sta bene su tutto.
Ha mai pensato di partecipare a un talent show come Amici o XFactor?
In passato sì, ho fatto i provini per entrambi ma non mi hanno mai presa. L’ultima volta che ho tentato di entrare ad Amici avevo 25 anni e mi hanno fatto capire che ero troppo vecchia. Invece i casting di X Factor li ho fatti diverse volte ma niente, non erano interessati (ride ndr.).
Pensa che programmi come questi siano una buona spinta per chi inizia a fare musica e vuole costruirsi un pubblico?
Penso di sì. Nel senso che, quando provi a fare questo lavoro, ci sta tentare ogni strada per avere una possibilità in più di farsi ascoltare dalla gente. Sinceramente non capisco neanche il bigottismo di chi dice “No, io queste cose non le faccio”. A meno che non si abbia veramente un genere di nicchia che difficilmente potrà mai essere mainstream.
Qual è la sua unique selling proposition? Qual è il tratto distintivo di Henna?
Questa è difficile (ride e fa una pausa ndr.). Io credo, in qualche modo, di risultare simpatica. Non me lo dico da sola, quando faccio i concerti ricevo dei feedback dove mi viene detto che riesco a portare al pubblico qualcosa di sincero e umano. Alla fine, siamo tutti esseri unici. Non esiste nessun altro uguale a noi per tantissimi aspetti, né esteticamente né caratterialmente. Non esiste un nostro clone, quindi io mi sento unica a prescindere.