«La visione dell’altro come nemico dal punto di vista psicologico e politico è una tentazione forte ma è un’interpretazione semplicistica della realtà» afferma Omar Bellicini, giornalista italiano che si occupa prevalentemente di esteri e di cultura, parlando di attentati a sfondo religioso e del favore che atti del genere possono incontrare all’interno della comunità islamica.
««Esiste una parte di consenso nei confronti delle posizioni degli estremisti, ovviamente nel mondo islamico originario, ma anche tra gli islamici europei. Si tratta di una fetta minoritaria degli islamici presenti in Europa, altrimenti la situazione, anche di fatto, sarebbe molto più grave. Tuttavia esiste, e può non comportare – e non comporta – una partecipazione alle azioni o forme di appoggio più indirette, ma magari una sorta di giustificazionismo. Dal punto di vista psicoanalitico, può essere giustificata come una forma di revanscismo nei confronti di un’Europa che ha ridotto storicamente il mondo islamico ad una condizione se non di satellite, quantomeno secondaria». Secondo Bellicini, la forte spinta religiosa portata da Maometto che ha permesso all’Islam di dominare la parte sud del bacino del nostro mare è anche il movente che fa vivere con astio il ruolo di guida assunto dall’Europa e costruito sulle rovine dell’impero musulmano.
«Questo conflitto esiste, soprattutto in quelle popolazioni più svantaggiate culturalmente ed economicamente: la condizione di minorità sociale non fa che alimentare un senso di frustrazione che va dalla politica alla religione. Processi simili portano acqua alla propaganda terroristica che non sempre viene appoggiata con atti pratici, ma che molto più spesso viene presentata come forma di rivalsa». Come si può sanare la spaccatura tra le due culture? Secondo Bellicini, la medicina è costituita dal dialogo, dalle possibilità di contatto fornite dall’economia e dall’implementazione degli strumenti di integrazione sociale.
STORIE DALLLA COMUNITA’ ISLAMICA MILANESE
«Terrorismo? No, nessuna paura. Certo, quando c’è un attentato è difficile non farsi prendere dall’ansia. Ma funziona così anche per voi, no?». Per Aya Elmowafy, le paure di islamici e cristiani sono esattamente le stesse. Un’esplosione, tante vite spezzate e il dolore per le storie interrotte che rimbalzano tra televisioni e giornali, ma poi chi resta riprende la propria vita in fretta. Su Instagram, Aya gestisce un account dedicato al make-up, come tante donne occidentali. L’unica differenza è quel velo colorato sul capo, sempre abbinato ai colori dell’ombretto.
Molti cristiani hanno riposto il passaporto nel cassetto e guardano con sospetto al vicino di posto nel bus che prega in arabo. Ma non sono solo i mercatini di Natale a essere investiti dall’incubo di un furgone che si lancia sulla folla: quanto accaduto recentemente a Christchurch dimostra che le moschee sono nel mirino dei killer esattamente come lo sono i simboli della cristianità. «Dopo Christchurch le nostre vite non sono cambiate. Il cuore della comunità islamica internazionale si è spezzato quando abbiamo saputo della sparatoria. La nostra religione è pacifica e sapere che c’è stato uno spargimento di sangue proprio in una moschea ci ha segnato e feriti nell’orgoglio» – continua a raccontare Aya – «ma sappiamo che questo si verifica tutti i giorni dall’altra parte del mondo e sono in pochi quelli che se ne dispiacciono».
Qui gioca un ruolo fondamentale l’informazione: i riflettori possono essere puntati soltanto da un lato del palcoscenico e i media hanno scelto l’occidente. «Purtroppo sono distratta esattamente come ogni altro essere umano. Un attentato contro la mia comunità mi turba sul momento, ma dopo qualche giorno ricomincio a vivere normalmente. I miei genitori sono molto più sensibili di me: quando esco con le mie amiche per le strade di Milano mi chiedono di fare attenzione. Io però sono nata qui e mi sento occidentale a tutti gli effetti nonostante il mio nome e la mia fede».
La storia di Sahil e Sara non è molto diversa: sono due fratelli che lavorano nel bar di famiglia a Ferrara. «Io non ho paura degli attentati e neppure mia sorella». – racconta Sahil – «Parto per le vacanze insieme ai miei amici come tutti quanti gli altri. L’unica scocciatura sono i controlli all’aeroporto: per me sono sempre più lunghi. Da una parte penso che sia normale con tutto quello che succede, poi mi ricordo di essere italiano esattamente come i miei amici e un po’ mi arrabbio. Abbiamo molta più paura per le aggressioni in strada. Mia sorella esce sempre con il velo e delle volte le dico di toglierselo per evitare che qualcuno le faccia del male. L’ultimo caso del genere si è verificato su un bus a Torino in pieno giorno».
Ouassim Med ha studiato Finanza all’università di Parigi. Non ha paura degli attentati contro la comunità islamica. «No, non sono spaventato. Quanti attacchi del genere ci sono stati? Molto pochi. In Marocco poi le misure di sicurezza sono molto forti. In Europa è diverso: c’è più libertà e più privacy, quindi i problemi di sicurezza sono un effetto collaterale. Sono molto più spaventato dagli estremisti islamici. Potrei essere attaccato anche in quanto “infedele” che vive all’occidentale».
A cura di:
Gabriella Mazzeo
Martina Soligo
Daniela Brucalossi
Francesco Li Volti