Rosa e Olindo sono seduti, si guardano e sorridono da dietro le sbarre della cella all’interno del tribunale. Sembrano sereni, come se non realizzassero né dove sono né cosa stia per accadere. Questa è una delle immagini più diffuse del processo che li ha portati a una condanna all’ergastolo. Il ritratto non sembra quello di due assassini capaci di commettere una strage così efferata come quella di Erba. Quattro vittime: Raffaella Castagna, il il piccolo Youssef Marzouk, Paola Galli e Valeria Cherubini. Un solo superstite: Mario Frigerio.
Una storia tragica per le morti che si lascia alle spalle. Ma forse non solo. Forse ad essere spezzate, anche se in modo diverso, sono state anche le vite dei due coniugi. Rosa e Olindo, due nomi che da 18 anni risuonano nelle case degli italiani attraverso telegiornali e trasmissioni televisive. Sono molti i dubbi sopra questo caso, tanto da spingere il sostituto Procuratore della Corte d’Appello di Milano, Cuno Tarfusser, a fare domanda di revisione alla Corte d’Appello di Brescia.
Gli ideatori della revisione
Magistrato con un curriculum costellato da grandi successi, inclusa la firma delle carte di arresto di Gheddafi come giudice della Corte Penale Internazionale di New York, Tarfusser da un anno a questa parte ha scelto una nuova battaglia: scoprire la verità su Erba. Tante, troppe le incongruenze da lui notate leggendo gli atti che hanno portato alla condanna.
Arrivato quasi al termine della sua carriera da pg, ricorda ancora quando studiava per diventare magistrato. Gli avevano insegnato che il valore più importante per un Procuratore è ammettere di aver sbagliato, restituendo così la libertà a un imputato.
Il 31 marzo 2023, Tarfusser ha depositato la richiesta di revisione del caso della strage di Erba. Se dovesse essere accettata e, addirittura, se Rosa Bazzi e Olindo Romano dovessero essere assolti, avrebbe contribuito a rendere giustizia a due persone. Un atto dipeso dalla sua constante ricerca di una verità imparziale, come stabilito dal suo ruolo giuridico.
Ma in questa storia è importante considerare anche il punto di vista di chi ha seguito la vicenda sin dall’inizio, come l’avvocato di Olindo, Fabio Schembri. Secondo lui, le nuove prove che verranno presentate evidenziano l’impossibilità della colpevolezza dei coniugi e potrebbero addirittura suggerire nuove piste, appellandosi all’onestà intellettuale della magistratura.
Una storia che va avanti da 18 anni
Sono le 20.20 dell’11 dicembre 2006. In via Armando Diaz 25, a Erba, si consuma una strage atroce. I primi sospetti cadono sul marito di Raffaella, Azouz Marzouk, già noto alle Forze dell’Ordine per i suoi precedenti penali per droga. Questa pista viene esclusa immediatamente e si comincia ad indagare sui vicini di casa Rosa Bazzi e Olindo Romano. Tra loro e la famiglia Castagna c’erano infatti già stati degli screzi, culminati con diverse denunce.
I risultati delle indagini hanno portato a tre elementi chiave. Il primo è una macchia di sangue riconducibile a Valeria Cherubini, trovata sul battitacco della macchina di Olindo. Ad aggravare la posizione dei due, il riconoscimento da parte di Mario Frigerio, il quale accusa Olindo di essere il suo aggressore. Il tutto culmina con le confessioni dettagliate che i due rilasciano il 10 gennaio.
A distanza di nove mesi, un cambio di rotta: davanti al giudice dell’udienza preliminare Olindo e Rosa si dichiarano innocenti, ritirando le confessioni. Nel 2012 la coppia intenta un ricorso dichiarato però inammissibile. Solo nel 2017 viene ammesso il riesame di sette elementi di prova, ma nel 2018 la Corte di Cassazione dispone la distruzione dei reperti non analizzati e di alcuni di quelli in custodia nell’ufficio corpi di reato del Tribunale di Como.
Il 1° marzo 2024 ci sarà l’udienza per stabilire se accogliere le nuove prove e riaprire ufficialmente il caso.
L’avvocato Schembri: «Io credo nella loro innocenza»
Gli avvocati della difesa – Fabio Schembri e Nico d’Ascola per Olindo, Patrizia Morello e Luisa Bordeaux per Rosa – dovranno dimostrare in aula la non colpevolezza dei due. Schembri, in particolare, auspica in una magistratura capace di riconoscere i propri errori: «Noi pensiamo ci siano state anomalie in questo caso e per il bene della giustizia vogliamo che queste vengano esplorate. Quando si commettono errori è difficile fare un passo indietro, l’onestà intellettuale è per pochi. Sarebbe nobile, invece, una magistratura che, a fronte di eventuali errori, metta in moto un processo consentito dal nostro ordinamento».
Nell’autunno del 2022, Fabio Schembri e il collega Paolo Sevesi, entrambi del foro di Milano, chiesero al sostituto Procuratore Cuno Tarfusser un appuntamento per sottoporre alla sua attenzione una questione “tanto riservata, quanto delicata”. In occasione dell’incontro, i due professionisti raccontarono del lavoro svolto in collaborazione con esperti tecnici e scientifici per acquisire nuove prove e di conseguenza richiedere una revisione del caso.
«Si tratta di un atto a carattere eccezionale, occorrono nuovi elementi idonei a ribaltare la condanna. Siamo in possesso di intercettazioni inedite di Olindo e Rosa, non ancora valutate dai giudici. Abbiamo raccolto consulenze sulla validità delle confessioni, sul riconoscimento di Frigerio e abbiamo anche nuove testimonianze».
Un nuovo testimone
Schembri ha rivelato l’esistenza di ulteriori dichiarazioni di Abdi Kais, un tunisino di 42 anni e amico di Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna. Secondo gli avvocati di Rosa e Olindo, la sua deposizione fornirebbe prove a favore di una teoria che collegherebbe il massacro di Erba a un conflitto tra gruppi tunisini e marocchini per il predominio nel mercato della droga.
«Ci ha raccontato che quella casa veniva utilizzata come base logistica del fratello di Azouz per lo spaccio di stupefacenti. Loro avevano le chiavi di casa, dove tenevano denaro e sostanze, i due coniugi no. Erano stati anche coinvolti in scontri con il gruppo rivale per il controllo del territorio, rimanendo gravemente feriti», ha detto l’avvocato.
Una gara di “generosità reciproca”
Ma allora perchè Olindo e Rosa hanno confessato? Secondo Schembri, «la cronaca giudiziaria è piena di confessioni false». In Italia, solo nel 2022 sono stati 547 i casi di ingiuste detenzioni ed errori giudiziari, con una spesa per indennizzi e risarcimenti che supera i 37 milioni di euro.
«Lo hanno fatto per diverse ragioni. Nelle intercettazioni ambientali, lui disse alla moglie che se avesse parlato sarebbe tornato a casa dopo qualche anno grazie al rito abbreviato. In realtà, poi, è stata interrogata prima Rosa, che si assunse tutta la colpa, come se fossero in una gara di generosità reciproca.
Prima di confessare, la donna chiese addirittura di leggere le precedenti dichiarazioni del marito. Ci sono stati oltre 243 errori nella ricostruzione di Rosa, quasi come se fosse stata costretta ad ammettere gli omicidi in cambio di una cella matrimoniale e una divisione della pena in due».
Per l’esito bisognerà attendere il primo marzo, ma intanto Schembri si schiera contro i media per come stanno gestendo il caso: «Dopo 18 anni ancora si leggono cose sbagliate, come le impronte sui contatori, il sangue nella lavatrice e le confessioni che coincidono. Vengono ripetute come fossero un mantra, ma non sono cose vere. I giornali hanno fatto un processo in piazza a Olindo e Rosa, dipingendoli come i “mostri di Erba”. L’impatto è stato devastante. Ora l’interesse è diverso: prima volevano dare in pasto al popolo due colpevoli prima ancora che varcassero la soglia dell’aula del tribunale. Ora si guarda all’eventuale errore giudiziario».
Tarfusser e l’Odissea della richiesta di revisione
La poca chiarezza del caso non ha fatto solo storcere il naso ai più curiosi o ai più appassionati alla storia. Il sostituto Procuratore di Milano Cuno Tarfusser aveva già capito che qualcosa non tornava. «Io non sapevo nulla di Erba e nemmeno mi interessava, avevo già abbastanza da fare con i miei casi omicidio. A un certo punto, un avvocato mi mette una pulce nell’orecchio e, siccome io faccio questo mestiere, ancora per pochi mesi sì, ma comunque lo faccio, mi sono detto: qui c’è qualcosa di strano», ha dichiarato Tarfusser.
È proprio grazie al magistrato che oggi si parla di revisione del caso. «Si tratta di un mezzo di impugnazione straordinaria. Io ho studiato le carte, le sentenze passate e non ho bisogno di un’autorizzazione per fare questo».
Stando all’articolo 632 del Codice di Procedura Penale, tale richiesta può essere proposta se: a) il condannato o un suo prossimo congiunto ovvero la persona che ha sul condannato l’autorità tutoria e, se il condannato è morto, l’erede o un prossimo congiunto; b) il Procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto fu pronunciata la sentenza di condanna (come in questo caso). Le persone indicate nella lettera a) possono unire la propria richiesta a quella del Procuratore generale.
Il problema è nato alla deposizione del materiale da lui depositato il 31 marzo 2023: «Prima era un mio atto, un mio scritto privato che potevo anche buttare nel cestino. Da quel momento, da quando ha il timbro di deposito nella segreteria della Procura, diventa una richiesta di revisione sotto profilo formale giuridico».
Gli screzi con il Procuratore
Tarfusser si era immaginato che la questione avrebbe potuto creare dei disordini, soprattutto poichè riguardava un caso come quello di Erba, protagonista delle cronache per anni. «Per questo motivo, il 24 marzo, quindi una settimana prima, ho scritto questa mail al Procuratore Francesca Nanni:
“Ciao Francesca. Non solo per dovere d’ufficio e di correttezza, ma anche per il piacere di farlo, necessito di un po’ del tuo tempo per parlarti di una cosa tanto delicata quanto importante su cui sto lavorando da alcune settimane. Questo fine settimana mi serve ancora per apportare le ultime correzioni e modifiche all’atto che ho redatto e per una sua ultima rilettura, ma da lunedì sono pronto a parlartene diffusamente. È inutile dire che la cosa ha una certa rilevanza e anche una certa conseguenza”
Nessuna risposta. Non solo a quella mail, ma anche ad altre richieste di appuntamento di Tarfusser. Una crepa all’interno della Procura di Milano che si è protratta nel tempo, concretizzata nel parere negativo, sottoscritto dalla Nanni e dall’Avvocato generale, che ha accompagnato la richiesta. Poi finalmente l’ok dalla Corte d’Appello di Brescia. «Nonostante il provvedimento disciplinare sono orgoglioso di averlo fatto, lo sono ogni giorno di più», ha commentato il sostituto pg.
Poi il 27 febbraio la notizia: “Tarfusser sanzionato disciplinarmente dal Consiglio Superiore della Magistratura per aver violato le linee guida della Procura generale di Milano in tema di revisione dei processi, in particolare sul caso della strage di Erba”.
Secondo il Csm, la possibilità di richiedere la revisione rientrava nelle sole competenze dell’Avvocato generale e del Procuratore generale. «Rifarei esattamente quello che ho fatto»: questa la replica del magistrato che, in futuro, potrebbe presentare un eventuale ricorso contro la censura.
Per il sostituto pg: «Prove non sufficienti per l’ergastolo»
“Che siano queste tre, e solo queste tre, le prove a carico dei due condannati emerge in modo chiaro dalla lettura delle sentenze di merito che si dilungano nelle rispettive motivazioni, alla cui lettura mi limito a rinviare per non appesantire la presente richiesta”, si legge nel testo.
Le tre prove sono:
1) Le confessioni rese da Olindo Romano e da Rosa Bazzi
2) Una macchia di sangue appartenuto in vita a Valeria Cherubini, moglie di Mario Frigerio, rinvenuta sul battitacco della Seat Arosa
3) Il riconoscimento di Olindo Romano quale suo aggressore da parte di Mario Frigerio, unico sopravvissuto alla mattanza
Tarfusser ricostruisce le anomalie e le criticità di questi punti, comprese le incongruenze nelle testimonianze e nelle procedure investigative. «Nel mio scritto ho tenuto un comportamento assolutamente istituzionale. Io non sono un difensore dei condannati, ma sono un Pubblico Ministero e quindi ho cercato di non inquinare quella linearità che fa parte del mio mestiere. Mi sono basato sull’analisi di quelle uniche tre prove, senza seguire le dicerie dette in molti programmi televisivi, in cui tutti parlano, ma in realtà nessuno affronta il vero nocciolo della questione. Così si butta solo fumo negli occhi delle persone».
Ma questi elementi, che avrebbero portato a una condanna al di là di ogni ragionevole dubbio, di dubbi ne sollevano molti. È dunque necessario partire da un’analisi temporale.
Il riconoscimento di Frigerio
«Quando Rosa e Olindo vengono arrestati i Pubblici Ministeri di Como avevano bisogno delle confessioni. Senza quelle non sarebbero potuti essere trattenuti, specialmente nel caso di Rosa. Lei non era mai stata riconosciuta da Frigerio e la macchina di sangue si trovava dal lato dell’autista, dove lei non aveva messo piede».
Dopo la mattanza, Mario Frigerio rimane gravemente ferito. Viene portato d’urgenza all’Ospedale Sant’Anna di Como dove, dopo 4 giorni di coma, si sveglia, diventando così il testimone chiave in quanto unico sopravvissuto. Dopo 86 ore dalla strage, alle 10.30 del 15 dicembre, un P.M. si reca al nosocomio.
Il magistrato raccoglie le sue prime dichiarazioni, descrivendo l’assassino come segue: «Corporatura robusta, tanti capelli corti neri, carnagione olivastra, occhi scuri, senza baffi, era vestito di scuro, ma non so precisare il colore. La luce delle scale, che è a tempo, si è spenta e ciò non mi ha consentito di reagire prontamente all’aggressore il quale aveva una forza bruta». Un ricordo lineare, fatto poco dopo il suo risveglio, che non fa alcun riferimento a Olindo Romano e tantomeno a Rosa Bazzi.
Proseguendo con la revisione, arriviamo al 20 dicembre, quando il luogotenente Gallorini, insieme al tenente Gargini e al capitano Beveroni, si presenta nuovamente da Frigerio e gli chiede prima se conoscesse Olindo Romano e poi se potesse escludere che il suo aggressore potesse essere il suo vicino di casa. Se alla prima domanda dà risposta affermativa, alla seconda dice di non poterlo escludere.
Il ruolo del maresciallo Gallorini
Cominciano così a nascere i primi dubbi e le prime incongruenze. Oltre a questa prima stranezza, si aggiunge anche il fatto che a firmare l’annotazione di servizio con le dichiarazioni di Frigerio è solo Gallorini.
«Non è normale che un maresciallo vada in ospedale da Frigerio senza essere delegato da nessuno, con due ufficiali che poi non firmano la loro presenza. La cosa mi crea un sospetto fortissimo, mi dà l’idea che lui li avesse chiamati promettendo loro “un grande colpo” per la carriera».
Nella richiesta di revisione, Tarfusser spiega che i due probabilmente non hanno firmato per non essere chiamati a testimoniare e non affermare il falso, «come invece ha fatto il Luogotenente Gallorini il quale, di fronte la Corte d’Assise di Como, ha candidamente e contrariamente alla verità, affermato (testualmente a verbale): “No, lui indicava una persona … perché io … tra l’altro non ha mai indicato il nome di Olindo … Anche perché io non gliel’ho mai chiesto”?».
«A me la figura del luogotenente Marcello Gallorini non piace per niente. In un’indagine ci sono delle cose imprescindibili che non si possono fare. In casi come questo, il maresciallo della stazione del luogo andrebbe escluso perché potrebbe inquinare le prove. Che sia perché cerca il suo momento di gloria o perché ha dei rapporti con una delle parti coinvolte. Era già noto che Gallorini fosse legato ai Castagna», ha aggiunto il pg.
Proseguendo con la ricostruzione, il 26 dicembre 2006 viene redatto un nuovo verbale dall’ospedale. Dalle audizioni è possibile riscontrare che, anche in questo frangente, non è Frigerio a fare il nome di Olindo, ma ancora Gallorini.
Stando agli atti, però, sarebbe Frigerio a dire: “La persona che ho visto in faccia era una persona a me nota. Si tratta del mio vicino di casa di nome Olindo. Io l’ho riconosciuto subito, ma poi ho rimosso la cosa perché non volevo crederci e volevo cancellare tutto»; ed ancora “Se non avessi riconosciuto l’Olindo non mi sarei avvicinato alla porta. Ricordo di essermi chiesto cosa ci faceva lui lì in quel casino”.
La macchia di sangue
Tarfusser analizza poi la prova della macchia di sangue: «Io mi sono limitato a vedere come nascono le prove, a come Frigerio arriva a “riconoscere” in Olindo la persona che non ha riconosciuto, a come una macchia di sangue compaia, ma io non so da dove viene.
In qualsiasi sistema anglosassone, un elemento indiziario così non sarebbe neanche ammesso, perché se non c’è la catena in custodia (chain of custody), cioè se non posso riconoscere la sua origine, i suoi movimenti, chi ci ha avuto a che fare e quando, allora la prova non è valida». Tutto ciò, però, è mancato.
Il ritrovamento della traccia di sangue ha infatti una genesi confusa che Tarfusser analizza nella revisione. La Seat Arosa di Olindo viene ispezionata dai Carabinieri il 12 dicembre. A quel tempo non viene vista nessuna macchia, il che può sembrare strano dato che si tratta di una chiazza di 2 cm. Così come risulta strano il fatto che nei 15 giorni che passano da questa alla seconda ispezione, Romano non l’abbia notata e rimossa.
Le verifiche successive vengono eseguite con “urgenza” alle 23.00 del 26 dicembre e danno esito positivo. Il verbale però non viene redatto con altrettanta rapidità: questo è infatti datato 28 dicembre e non è firmato né dal brigadiere Fadda, che ha svolto i rilievi, né da Romano. Inoltre, «non è indicato come i reperti siano arrivati a Pavia e pare che nessuno si sia preoccupato di conoscere la tracciabilità della prova», elemento che la renderebbe ammissibile o meno.
Tarfusser spiega: «Per l’accertamento il brigadiere Fadda utilizza un’apparecchiatura denominata il luminol e scatta complessivamente 12 fotografie. Su nessuna di esse è visibile una macchia di sangue, nessuna di esse è scattata al buio (per farla risaltare al Luminol), non viene usato alcun numero identificativo (cartoncino) e nessun righello per documentare la dimensione delle macchie/tracce, ovvero il più banale degli ABC del mestiere. Queste vengono semplicemente indicate sulla fotografia mediante apposizione di 4 cerchietti rossi e numeri dal 1 al 4».
Le confessioni
E ora le confessioni. A tal proposito, il sostituto procuratore spiega: «Non esiste nessun filmato. Registrazioni sì, ma filmati non ce ne sono. Quei video in cui Rosa in particolare racconta come sono andate le cose sono conversazioni fatte con uno psichiatra, incaricato dal primo difensore di ufficio Picozzi, che aveva come strategia difensiva quella di arrivare a una dichiarazione di incapacità di intendere e di volere. Ma non hanno nulla a che fare con la confessione. È una vergogna è che questo sia gli atti, questa è una roba tutta costruita».
Il primo interrogatorio dei coniugi risale all’8 gennaio 2007. All’epoca gli inquirenti erano già in possesso della prova della macchia di sangue e della dichiarazione di Frigerio. Dai verbali di questa data si evince che i due si sono sempre professati non colpevoli. Ma se per le sentenze queste dichiarazioni non vengono considerate, risultano centrali quelle rilasciate 48 ore dopo, il 10 gennaio.
«In questi due interrogatori ognuno dei due coniugi confessa cercando di scagionare l’altro. È Chiaro che in quelle 48 ore sono successe un sacco di cose. I carabinieri li hanno portati a prendere le impronte digitali, un atto che richiede 3 minuti, ma resta un buco di 177 minuti. I due vengono intercettati mentre parlano tra di loro e lì si capisce benissimo che lui vuole tutelare lei assumendosi tutte le colpe. Io la trovo una roba assurda, ho fatto il Pubblico Ministero per tanti anni, ma una cosa così non l’ho mai vista», ha raccontato Tarfusser.
Nella richiesta di revisione, ha aggiunto anche i virgolettati delle registrazioni ambientali a evidenza della pressione emotiva a cui sono stati sottoposti i due: “Pensi bene signora, pensi bene che il suo futuro si presenta orrendo. Può fare solo lei qualche cosa per migliorarlo, perché il nostro impegno è di farle dare l’ergastolo, a lei e a suo marito”, dicono a Rosa. Ma anche Olindo viene messo di fronte a un destino simile, dopo le dichiarazioni di Frigerio e il ritrovamento della macchia di sangue.
Stesse prove, nuove tecnologie
È a partire da questo contesto, che Tarfusser decise di depositare la richiesta di revisione: «Può essere richiesta se dopo la condanna sono sopravvenute e si scoprono prove che, da sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto. Qui è tutta questione di interpretazione: c’è chi dice che non ci siano ulteriori evidenze. A mio parere, con nuovo si intende anche un nuovo modo di analizzarle. Pensiamo al DNA, prima non esistevano esami così precisi. Ora, voi pensate che dal 2006 al 2024 la scienza e la tecnica non si siano sviluppate? Esistono ricerche condotte da una ventina di scienziati, tra medici, psichiatri, ingegneri, che hanno redatto un quadro diverso da quello che è emerso dalle indagini. Se questa può essere considerata una novità lo deciderà la Corte dell’Appello di Brescia».
Il parere degli esperti
Nella richiesta di revisione, Tarfusser fa riferimento a 20 nuove consulenze che mostrano che la testimonianza di Frigerio debba essere considerata inattendibile. Ai tempi non era infatti stata svolta alcuna valutazione riguardo la sua idoneità a deporre.
Dati clinici del 2010 mostrerebbero che il testimone, a seguito dell’aggressione, sviluppò “una disfunzione cognitiva provocata da intossicazione da Monossido di Carbonio, arresto cardiaco, shock emorragico e lesioni cerebrali focali” che, vista anche l’anzianità del soggetto, avrebbero portato a un deficit delle sue capacità. L’uomo, secondo il pg e i consulenti, sarebbe quindi stato indotto ad aderire ai suggerimenti degli inquirenti, fino alla creazione di una “falsa memoria”.
Come precedentemente evidenziato, la prova della macchia di sangue appartenente a Valeria Cherubini porta con sé diverse controversie. È improbabile che un reperto di quelle dimensioni fosse sfuggito nel corso della prima ispezione. Dalle foto, inoltre, non si nota l’effetto “bagnato” che dovrebbe risultare dopo l’utilizzo del luminol. Nel suo scritto, Tarfusser sottolinea che questa non sarebbe mai dovuta essere la “prova regina”. Sarebbe invece determinante la mancanza di tracce dei coniugi sul luogo del delitto, così come quelle delle vittime nell’abitazione dei due.
Le nuove prove legate alle confessioni si basano su consulenze tecnico-scientifiche che evidenziano la vulnerabilità psichica di Olindo e Rosa. Le analisi dimostrano quanto esse siano inaccurate e prive di racconto libero, dettate da pressioni psicologiche e dunque poco attendibili.
Nell’atto depositato da Tarfusser, si legge inoltre di una lesione al muscolo psoas (nella zona lombare) di Valeria Cherubini, che le avrebbe impedito la salita delle scale, così come quelle al cranio non le avrebbero permesso di urlare “aiuto aiuto” (grida sentite dai primi due soccorritori). “L’impossibilità di salire le scale dimostra incontrovertibilmente che quanto confessato da Olindo Romano e Rosa Bazzi non corrisponde a verità”.
Colpevoli o non colpevoli
Va sottolineato che la posizione del sostituto procuratore non è in difesa di Olindo e Rosa: «Io non ho mai detto che sono innocenti. L’ho scritto una volta, però ho sbagliato, perché avrei voluto dire non colpevoli, perché l’innocenza non è una categoria giuridica. Il Pubblico Ministero è una parte pubblica e imparziale, a differenza del difensore, che è una parte privata e parziale. Io ho l’obbligo della verità. Non devo tendere alla condanna della persona. Io dico solo che se queste sono le prove di un ergastolo, mi vergogno di far parte della mia categoria», commenta il pg.
Per Tarfusser, l’attenzione mediatica su questa storia è stata «devastante nel bene e nel male». «Nei resoconti dei telegiornali di allora, si vede quanta aggressività c’è stata da parte della popolazione, il tribunale di Como era assillato, e quindi sotto questo profilo è comprensibile anche l’errore, è comprensibile la superficialità. Sarebbe servito un environnement più riflessivo. Se le cose fossero state fatte bene sin dall’inizio, probabilmente non saremmo qui, non sarebbe stata necessaria la seconda ondata pro-innocentista».