Piazza San Carlo 3 anni dopo, il racconto di chi c’era: «Caduto sui vetri dopo aver perso una scarpa»

Torino, 3 giugno 2017. Circa 30mila persone si recano in piazza San Carlo per assistere alla proiezione al maxischermo della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid. Tra di loro ci sono anche Francesco e Duccio, cugini e tifosi bianconeri. Insieme a altri amici son partiti da Siena solo per vedere la partita in quella piazza, luogo simbolo e punto di ritrovo negli anni dei festeggiamenti delle vittorie juventine. «A Torino c’era un’atmosfera bellissima» raccontano, «Tutti con le magliette della Juve e le bandiere che sventolavano. In città non si parlava altro che della finale». Juventus-Real Madrid, di scena a Cardiff, in Galles, sarebbe iniziata alle 20:45.

La finale del 2015 fu organizzata meglio

Francesco, Duccio e gli altri amici arrivano in piazza San Carlo intorno alle 18:30. «Notammo subito che non era ben organizzata» dice Francesco, «Era un periodo in cui si aveva paura degli attentati. C’erano le transenne e gli steward, ma un mio amico entrò con lo zaino e nemmeno glielo toccarono». In piazza c’era anche un problema logistico: «Nel 2015 per l’altra finale c’erano due maxischermi» racconta Duccio, «Stavolta ce ne era solo uno ed era in fondo alla piazza. Dalla metà, dove eravamo noi, non si vedeva niente».

Francesco, in maglia nera, e Duccio, con gli occhiali, insieme agli altri amici poco prima di recarsi in piazza San Carlo

In mezzo alla folla quella sera ci sono anche i venditori di acqua, bibite gasate e birre. «Stavano lì con questi catini pieni di ghiaccio a vendere da bere» dice Francesco, «Solo che c’erano pochi cestini e la gente lasciava le bottiglie di vetro per terra. Al gol di Mandzukic (pareggio della Juventus a fine primo tempo, ndr), nell’euforia dei festeggiamenti rischiai di cadere. Vidi già lì che per terra c’era un tappeto di vetri».

Il panico

A inizio secondo tempo il Real Madrid dilaga e fissa il punteggio sul 3-1. La delusione in piazza San Carlo è grande. La Juventus sta per dire addio al sogno di vincere la Champions League. Sono circa le 22:15. «A un certo punto mentre guardavamo la partita si è sentito un rumore forte e delle urla. Dalla sinistra del maxischermo una folla enorme ha iniziato a spostarsi e ha cominciato a correre indietro, verso di noi» ricorda Francesco, «La gente scappava da qualcosa e pestava i pezzi di vetro per terra. Sembrava di sentire il rumore di spari, lì per lì pensavo che in piazza ci fosse qualcuno con un mitra. Mi guardai con mio cugino, ci fissammo qualche secondo negli occhi e capimmo che dovevamo scappare. Avevamo paura di morire».

 

Piazza San Carlo a Torino ha 4 via d’uscita, sono le strade agli angoli della piazza. In molti quella sera sbagliarono dove scappare: «Io come la maggior parte della gente andai alla mia destra, ma finimmo ammassati sotto un porticato al lato della piazza. Eravamo come topi in trappola. Persi Duccio e tutti gli altri ragazzi» racconta Francesco, «Nella fuga non calpestai nessuno anche se sulla via mi trovai un gruppo di persone a terra. Fu intelligente il tizio davanti a me. Si fermò, fece scudo con le braccia e li fece rialzare. Poi la folla riprese a scappare».

Le indagini sulla vicenda hanno poi chiarito cosa è successo quella sera. Quattro giovani, maggiorenni e di origine magrebina, tentano una rapina durante la partita spruzzando dello spray al peperoncino. Il forte odore provoca la fuga delle persone lì accanto. Cade una transenna e causa un rumore simile a quello di uno scoppio. Si genera il panico: in migliaia cercano di scappare dalla piazza, ma molti cadono a terra e qualcuno viene calpestato dalla folla impazzita. Il bilancio finale dice 3 morti 1672 feriti.

 

Tra feriti c’è Duccio: «Spinto dalla folla ho perso tutti gli altri ragazzi. Correndo, da dietro, mi hanno tolto una scarpa e sono caduto sui vetri. Lì per lì non mi sono reso conto di niente, ma avevo perso telefono, portafogli e mi ero fatto un brutto taglio sotto al ginocchio destro». La situazione poi si calma, dopo qualche minuto si capisce che in realtà non c’è stato nessun attentato terroristico. Francesco riceve la chiamata di suo padre. «Aveva sentito la notizia. Risposi subito, mi chiese come stavo e dov’era mio cugino. Ma io non lo sapevo. Eravamo preoccupati perché non rispondeva alle chiamate».

Duccio è senza telefono, scalzo cerca di ritrovare i suoi amici stando attento a non calpestare i pezzi di vetro. «Un ragazzo con la bandiera dell’Italia al collo vide che ero ferito. Si tolse il tricolore di dosso e lo usò per farmi una fasciatura al ginocchio. Chiesi di prestarmi il telefono per chiamare casa e rassicurare i familiari, era l’unico numero che sapevo a memoria. Poi in lontananza vidi Francesco e gli altri ragazzi, feci per raggiungerli».

«Duccio spuntò dalla folla e venne verso di noi» racconta Francesco, «Sembrava una scena di un film. Zoppicante, senza una scarpa e pieno di sangue nella gambe. Chiamai subito mio padre per avvertire che lo avevamo ritrovato. Mentii sulle ferite che aveva. Erano profonde, ma d’accordo con Duccio dicemmo che erano solo tagli per non far preoccupare a casa».

Un altro scatto di quella sera. Il panico durò pochi minuti, le persone tornarono dentro la piazza per recuperare effetti personali
Una notte all’ospedale

In piazza San Carlo arrivano due ambulanze per il primo soccorso. Controllano i feriti e consigliano se andare o no all’ospedale. Duccio ha bisogno di punti di sutura. Non cammina e trovare un taxi è praticamente impossibile. «La città era impazzita. La gente era fuori di testa, uno scenario da guerra, c’era un continuo rumore di sirene» ricorda Duccio, «Facemmo una parte a piedi per prendere un pullman che ci avvicinò all’ospedale, e poi di nuovo una camminata».

«All’ospedale c’era sangue ovunque. Siamo stati lì fino alle 5 di mattina. C’era talmente tanta gente che non facevano entrare nessuno se non il ferito» racconta Francesco, «Mio cugino è stato dentro il Pronto soccorso da solo per quasi sei ore. È stata un’agonia aspettare lì fuori con i telefoni scarichi, ma ormai era finita la paura. Fu allora, con calma, che realizzammo anche il fatto che la Juventus avesse perso l’ennesima finale di Champions League».

Le scarpe perse dalle persone furono riunite e messe in fila lungo la piazza

«Ho ancora le cicatrici» ammette Duccio, «I primi tempi dopo quell’esperienza avevo un po’ paura a stare nei luoghi affollati, tipo la discoteca. Pensavo potesse succedere di nuovo una cosa simile». Il trauma per un po’ è rimasto anche a Francesco: «Per un annetto tutte le volte che sentivo un rumore strano in un posto affollato mi allarmavo. Recentemente sono tornato in piazza San Carlo: mi ha fatto effetto, mi è tornato in mente tutto. Sembrava di vedere ancora le file di scarpe per terra e il sangue sparso dappertutto. Il gol del 4-1 del Real? L’ho visto per la prima volta giusto qualche mese fa».

Niccolò Bellugi

Senese, laureato in Scienze Politiche. Da toscano capita che aspiri qualche consonante, ma sulla "c" ci tengo particolarmente: Niccolò, non Nicolò. La mia è una sfida: mascherare il mio dialetto originario per poter lavorare in televisione o radio. Magari parlando di Sport. Ma tutto sommato va bene anche un giornale, lì non ho cadenze di cui preoccuparmi.

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