Il mondo del cinema dice addio alla regista Lina Wertmüller, che si è spenta questa notte a Roma all’età di 93 anni.
Un paio di occhiali bianchi, il coraggio di chi vuol far sentire la sua voce e un profluvio creativo che ha riempito le file della commedia italiana di film ironici e allo stesso tempo disincantati con cui ha restituito al pubblico una visione dell’Italia così com’è, indagando ogni aspetto della sua complessità come i ruoli sociali dell’uomo e della donna, il dialogo tra il Nord e il Sud, tra la borghesia e il proletariato.
LA CARRIERA
Lina è nata a Roma il 14 agosto 1928 da una famiglia aristocratica di remote origini svizzere. Gli anni scolastici hanno messo a dura prova il suo carattere deciso e pungente, ma proprio durante la scuola sono avvenuti incontri importanti, sia per la sua vita privata che professionale. Proprio tra i banchi di scuola è stata compagna di Flora Carabella, futura moglie di Marcello Mastroianni, con cui instaurerà una lunghissima amicizia che la avvicinerà al mondo dello spettacolo.
Frequenta l’accademia teatrale, cura la regia di spettacoli del teatro dei burattini di Maria Signorelli, lavora in radio e televisione e collabora con numerosi registi teatrali, tra i quali Guido Salvini, Giorgio De Lullo e Garinei e Giovannini.
Il primo contatto con il grande cinema italiano degli anni ‘60 Lina lo avrà come aiuto regista di Federico Fellini ne La dolce vita (1960). Il suo esordio come regista arrivò nel 1963 con I basilischi, una disincantata e grottesca narrazione della vita di alcuni poveri amici del sud Italia (Vela d’argento al Locarno Festival).
Nella seconda metà degli anni sessanta incontra lo scenografo teatrale Enrico Job, con cui si sposerà, e dà il via alla collaborazione artistica con l’attore Giancarlo Giannini, presente nei suoi grandi successi Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972), il suo primo grande successo che si guadagnò un invito a Cannes, Film d’amore e d’anarchia (1973), Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974), Pasqualino Settebellezze (1976), La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia (1978) e Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova.
Nel 1977 Lina ha fatto la storia di genere nel cinema, quando il suo film Pasqualino Settebellezze fu candidato all’Oscar nella categoria “miglior regista”.
Tra i riconoscimenti, oltre all’Oscar alla Carriera consegnatole nel 2020, il Premio Flaiano alla carriera (2008), il Globo d’oro alla carriera (2009), il David di Donatello alla carriera (2010), e il cavalierato di gran croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
GLI OCCHIALI BIANCHI
Segno distintivo della sua figura e del suo estro erano un paio di occhiali bianchi, che non abbandonava mai. Per i suoi 90 anni aveva confessato cosa significasse per lei quell’accessorio così caratteristico: solari, balneari, regalano subito un clima di festa. E proprio Dietro gli occhiali bianchi è il titolo del documentario che Valerio Ruiz, suo aiuto regista e stretto collaboratore, ha presentato per il 90esimo compleanno di Lina.
Lo stesso Ruiz dà una sua personale visione degli occhiali della Wertmuller: per il regista si tratta di un’immagine-maschera dietro la quale si scoprono, a volte, aspetti celati della sua personalità. Occhiali come metafora di vita per nascondersi, ma anche per vedere la società con un proprio sguardo, sempre molto provocatorio e sincero.
LA FORZA DELLE DONNE
Un baluardo della carriera della Wertmüller sono i diritti della donna nel mondo del cinema e di tutte le professionalità femminili che ne fanno parte, dall’attrice oggettificata e strumentalizzata a pura figura di corredo, alla regista donna esclusa dalla critica tradizionalista.
«Sono andata dritta per la mia strada, scegliendo sempre di fare quello che mi piaceva»
È lo spirito con cui Lina ha affrontato tutte le difficoltà che una regista donna doveva affrontare dopo decenni di monopolio artistico maschile.
Una lotta che durò per tutta la sua vita e che la regista ha rimarcato anche a Los Angeles nel 2019, in occasione dell’Oscar alla carriera, quando in mondovisione ha detto che: «L’Oscar è una cosa molto maschile, ci vorrebbe un Oscar femminile, magari chiamato Anna».
UNA REGISTA DAL GRANDE LASCITO
Registi e cinefili di tutte le generazioni riconoscono la sua grandezza artistica e personale, tra questi Harvey Keitel, Martin Scorsese, Henry Miller e Robert Altman.
«L’Italia piange la scomparsa di Lina Wertmüller – ha dichiarato oggi il Ministro della Cultura Dario Franceschini – una regista che con la sua classe e il suo stile inconfondibile ha lasciato un segno perenne nella nostra cinematografia e in quella mondiale. Prima regista donna a essere candidata all’Oscar per Pasqualino Settebellezze nel 1977, premio Oscar alla carriera nel 2020, ha avuto una carriera lunga e intensa, consegnandoci opere alle quale ognuno di noi resterà per sempre legato. Grazie, Lina».
La camera ardente sarà allestita in Campidoglio. La notizia della sua morte è stata data dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri che in un tweet la ricorda come «una grande regista che ha realizzato film densi di ironia e intelligenza».