Dopo tre anni dai primi casi accertati di Covid-19 in Lombardia, la Procura di Bergamo ha concluso l’inchiesta sulla gestione della prima ondata del virus in regione. Avviata nell’aprile 2020, l’indagine punta ad accertare se la mancata istituzione della zona rossa nella bergamasca sia stato uno dei fattori che ha contribuito alla diffusione del virus. Tra gli indagati ci sono l’allora Primo ministro Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza e il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana.
La ricostruzione
La sera del 20 febbraio 2020 l’ospedale di Codogno individuò il primo caso di Covid-19 in Italia. Soltanto due giorni dopo, il 22, per 11 comuni del lodigiano scattò la zona rossa. Il giorno seguente, il 23 febbraio, vennero accertati due casi positivi al Covid-19 al pronto soccorso di Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo. L’ospedale chiuse immediatamente per poi riaprire alcune ore dopo. Due operatori sanitari avevano denunciato che l’ospedale non aveva attuato «nessun intervento di sanificazione né di percorsi alternativi».
L’inchiesta della Procura bergamasca è nata proprio in seguito alle presunte anomalie nella gestione dei pazienti all’ospedale di Alzano Lombardo, dopo la scoperta dei primi casi positivi al Coronavirus.
Le indagini
La provincia di Bergamo è stata tra le aree più colpite dalla pandemia di Covid. La Procura bergamasca ha portato avanti le indagini per via del grande numero delle vittime, che si moltiplicavano di giorno in giorno. Sono tre i filoni d’indagine: la mancata zona rossa, il piano pandemico e l’ospedale di Alzano Lombardo.
Secondo gli inquirenti, sulla base della consulenza affidata al microbiologo Andrea Crisanti, la zona rossa a Nembro e Alzano avrebbe potuto risparmiare migliaia di morti. Nessuna istituzione ha mai preso alcun provvedimento specifico per la bergamasca. Soltanto nella notte tra il 7 e l’8 marzo 2020 il governo decise per un decreto generalizzato all’intera Lombardia.
Sotto la lente delle autorità anche i mancati aggiornamenti del piano pandemico, fermo al 2006, e l’applicazione di quello esistente. Stando agli elementi raccolti dalla Procura, anche se datato, avrebbe potuto contenere la trasmissione del Covid.
Gli indagati
Sono una ventina gli indagati dalla Procura di Bergamo, tra cui figurano i nomi dell’ex premier Giuseppe Conte, dell’allora ministro della Salute Roberto Speranza, del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e dell’ex assessore regionale al Welfare Giulio Gallera.
Le posizioni dell’ex premier e dell’allora ministro della Salute sono separate dalle altre e saranno valutate dal Tribunale dei Ministri di Brescia perché avrebbero commesso i reati durante le attività ministeriali.
L’ex presidente del Consiglio ha fatto subito sapere di essere a massima disposizione della magistratura. «Sono tranquillo di fronte al Paese e ai cittadini italiani per aver operato con il massimo impegno e con pieno senso di responsabilità durante uno dei momenti più duri vissuti dalla nostra Repubblica» ha dichiarato Giuseppe Conte. L’allora ministro della Salute, Roberto Speranza, ha commentato dicendosi «molto sereno e sicuro di aver sempre agito con disciplina e onore nell’esclusivo interesse del Paese».
Indagati anche alcuni dirigenti chiave del ministero della Salute: il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli, il coordinatore del primo Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo e l’allora capo della Protezione civile Angelo Borrelli.
La Procura di Bergamo ha sottolineato che «la conclusione delle indagini non è un atto d’accusa. L’attività svolta è stata oltremodo complessa sotto molteplici aspetti. Ha comportato altresì valutazioni delicate in tema di configurabilità dei reati ipotizzati, di competenza territoriale, di sussistenza del nesso di causalità ai fini dell’attribuzione delle singole responsabilità e ha consentito di ricostruire i fatti a partire dal 5 gennaio 2020».
Il commento dei parenti delle vittime
In una nota, l’associazione dei parenti delle vittime del Covid, “Serenisempreuniti”, si è detta soddisfatta perché «da oggi si riscrive la storia della strage bergamasca e lombarda, la storia delle nostre famiglie, delle responsabilità che hanno portato alle nostre perdite. La storia di un’Italia che ha dimenticato quanto accaduto nella primavera 2020, non a causa del Covid-19, ma per delle precise decisioni o mancate decisioni».