Quale che sia la sua origine, Bella ciao continua a essere, oggi come un tempo, un canto inclusivo intonato da tutti, giovani e anziani, a qualsiasi latitudine e in qualsiasi epoca storica. Un inno di resistenza contro l’invasore e di lotta per la libertà, in ogni sua declinazione. Una canzone che, pur avendo conosciuto svolte pop e derive trash, rimarrà immortale, come, d’altra parte, le polemiche che ogni anno genera.
Un canto per tutti
Bella ciao è stata la colonna sonora di tutte le Feste dell’Unità, è stata cantata durante i funerali di molti dirigenti politici e sindacali ed è stata protagonista di tantissimi eventi, alcuni dei quali passati alla storia.
13 giugno 1984 – Oltre un milione di italiani invadono il centro di Roma per le esequie del segretario del Partito Comunista Enrico Berlinguer. Il canto partigiano viene preferito all’Internazionale e a Bandiera rossa.
8 novembre 2007 – L’ultimo saluto al giornalista Enzo Biagi è sulle note di Bella ciao, per ricordare la sua militanza partigiana.
31 marzo 2010 – L’attore americano Woody Allen la esegue con il suo gruppo New Orleans Jazz Band all’Auditorium Parco della Musica di Roma.
25 maggio 2013 – Viene cantata durante il funerale di Don Andrea Gallo, per commemorare il prete ex partigiano, osteggiato spesso per il suo anticonformismo.
25 ottobre 2013 – La musica di Bella ciao è eseguita al funerale di Jovanka Broz, la vedova del leader jugoslavo Tito.
16 gennaio 2015 – La canzone viene eseguita in italiano durante i funerali di uno dei vignettisti assassinati della rivista Charlie Hebdo. Nei giorni successivi all’attentato, a Parigi accorrono molti cittadini che riempiono le piazze intonando il canto.
Bella ciao, un inno transnazionale
Slegato da appartenenze di partito, proprio perché inneggia alla libertà, è diventato nel tempo l’inno di tutte le rivendicazioni di chi sente calpestato questo diritto fondamentale: dalla comunità LGBTQI+ alla rete femminista, dalla resistenza curda al movimento antirazzista. Tradotta in oltre quaranta lingue, esistono versioni anche in diversi idiomi etnico-minoritari, come il basco e il ladino, e persino in lingue inventate, per esempio l’esperanto. La canzone si è legata a diversi luoghi e culture, ha sposato una moltitudine di battaglie, fino a diventare un fenomeno pop e persino commerciale.
Biella – Nel 1965 gli operai tessili del biellese licenziati, cantano una riscrittura di Bella ciao: “questa mattina m’han licenziato, quei vigliacchi dei padron”.
California – A metà anni’60 i braccianti Chicanos in sciopero cantavano una versione in spagnolo.
Regno Unito – Una traduzione inglese è cantata, almeno dagli anni’80, dai movimenti di sinistra.
Messico – Nel 2008 il canto partigiano diventa il jingle della pubblicità di una bevanda messicana prodotta dalla Coca-Cola.
Danimarca – Bella ciao è l’inno di uno dei due club calcistici più importanti, il Brøndby IF, squadra in cui giocò Michael Laudrup prima di arrivare in Italia.
Livorno – Tra le diverse tifoserie italiane di sinistra che cantano la canzone per intero, il caso più rilevante è quello del Livorno, che la intona in omaggio alla resistenza.
Turchia – Fin dalle manifestazioni del 2013, Bella ciao è stata cantata durante le proteste contro il governo del primo ministro conservatore Recep Tayyip Erdoğan. Il 21 maggio 2020 è stata diffusa da alcune moschee del centro di Smirne al posto dell’adhan, la chiamata rituale alla preghiera islamica, in pieno Ramadan. Le autorità di governo sono intervenute subito per spegnere la musica, ma numerosi video, diventati virali, hanno immortalato l’evento.
Ucraina – Dal 2014, i separatisti russofoni del Donbass hanno adottato Bella ciao come inno di propaganda nazionalista contro gli invasori dell’Ucraina occidentale. In questo caso, gli oppositori di Putin nell’ovest sono relegati al ruolo di fascisti, mentre i secessionisti del sud-est si identificano con i partigiani.
Trasformista e intramontabile
“Goodbye Beautiful”, canta Tom Waits nella versione inglese di Bella ciao, scritta con Marc Ribot nel 2018. Sempre un arrivederci. Non diremo mai addio a questo canto di protesta che, più passa il tempo, più diventa di tendenza. Abiti diversi: vintage, punk rock, ethnic, street style, ma stessa anima. Rompere gli schemi, infiammare gli animi e ribellarsi alle regole. Il primo risultato che compare su google quando si digita Bella ciao è il remix house del deejay Hugel legato alla Casa di Carta. La serie televisiva di Netflix ha utilizzato questo canto popolare in diverse versioni, sia all’interno degli episodi, sia nelle varie promo. Il deejay Steve Aoki ha infatti creato un’altra versione house di Bella ciao per pubblicizzare l’ultima stagione. La versione reggaeton in italiano e in inglese di Becky G è stata creata per lo stesso scopo. L’attrice Najwa Nimri della Casa di Carta la canta in spagnolo. La colonna sonora ufficiale della serie è quella di Manu Pilas, che mantiene la natura popolare del brano. Tutte queste versioni sono del 2018. Lo spirito rock di Bella ciao si è imposto nel panorama musicale fin dagli anni ’80, in particolare in Italia. La versione folk di Enrico Capuano è tra le prime. I Modena City Ramblers hanno riadattato il brano diverse volte a partire dal 1994. La versione di quell’anno è stata utilizzata nella campagna elettorale di SYRIZA del 2015. Anche i Marlene Kuntz con Skin ne hanno fatto una versione rock alternativa. Nel 2001 lo stesso vale per la Banda Bassotti. Nel 2019 la base di Bella ciao è stata utilizzata per il brano “Do it Now” di Paulette Meier, Jamie Fota, Len Webb e Diana Porter contro i cambiamenti climatici. Il musicista e compositore bosniaco Goran Bregović la ripropone in ogni concerto in una declinazione dallo spirito gitano. In tutto il mondo, oltre ad essere cantata in lingua originale, Bella ciao è stata tradotta in turco (1988 – Grup Yorum) e in punjabi. Anita Lane l’ha incisa in inglese nel 2001 nello stile punk che la caratterizza.
Fin troppo pop
Per quanto le versioni reggaeton, trap e house di Bella ciao possano sembrare quantomeno azzardate, c’è chi ha sfruttato la fama di questo brano per fare tendenza, cambiandone completamente testo e significato. È il caso di Mc MM, che ne ha fatto una versione in portoghese diventata virale in Brasile. Non parla di lotta politica: i suoi contenuti, al contrario, alludono alla sfera sessuale. Hopsin, invece, ne ha fatto un brano rap in cui parla del ghetto, tra sparatorie e prostitute. Esiste anche una versione in francese di Rémy, che parla del suo desiderio di fare soldi per affermarsi socialmente. Il fenomeno trash di Bella ciao trova una facile diffusione su YouTube: lì si trova anche un video in cui Alexa canta questo brano. Esiste poi una versione dei Minions e un tutorial su come campionare la voce di Matteo Salvini che dice “Fan**lo!” sulla base della canzone. Infine le provocazioni sociali e politiche di Povia, che ha modificato il testo (“l’invasor c’è ancora ed è in giacca e cravatta a Bruxelles”) e di un prete, Don Biancalani, che fa cantare Bella ciao in chiesa, scatenando l’ira dei fedeli leghisti.
Bella ciao divide anche quest’anno
Due cose sono infinite: l’universo e le polemiche su Bella ciao a ridosso del 25 Aprile. Polemiche che, anche quest’anno, sono arrivate puntuali come un orologio svizzero. L’Amministrazione comunale di una piccola cittadina del mantovano, Medole, ha infatti chiesto all’Istituto Comprensivo Castiglione 1 di organizzare i festeggiamenti in piazza, coinvolgendo ragazzi, insegnanti di storia, di italiano e di arte. L’insegnante di musica, Paolo de Angelis, ha quindi deciso di far suonare agli studenti due brani: l’inno nazionale e Bella ciao. Ma, appena la mamma di un alunno ha saputo che il figlio avrebbe suonato la canzone popolarmente conosciuta come il simbolo della Resistenza, «apriti cielo». Da questo minuscolo episodio, è nata la scintilla che ha fatto dividere una nazione intera. Il Comune di Medole, quindi, su proposta del sindaco Mauro Morandi, dell’assessore Rino Ballista e del consigliere Fabio Pesci, ha chiesto di sostituire Bella ciao con Va, Pensiero. Ma il professore di musica non ci sta.
Come avete reagito di fronte alla proposta del Comune?
«Tutti siamo rimasti indignati: gli insegnanti, il dirigente scolastico, tutto l’istituto comprensivo. Tant’è vero che poi il sindaco ha cercato di ritrattare, ma lo ha fatto sui giornali! È sui giornali che il sindaco ha dato il permesso di suonare Bella ciao, ma a noi non è arrivato nessun invito. Avrebbe potuto telefonarci, oppure mandare una mail. Ma a noi non è giunta nessuna comunicazione ufficiale. Loro speravano che noi potessimo ripensarci e proporre qualcos’altro. Ma noi non abbiamo proposto assolutamente niente».
Gli studenti hanno protestato?
«Noi siamo stati molto morbidi con i ragazzi. Abbiamo spiegato loro che non avremmo più suonato in piazza perché il sindaco non ci ha voluti. Visto che noi crediamo in una scuola inclusiva e compatta, abbiamo preferito svolgere le celebrazioni all’interno dell’istituto».
C’è un pericolo di sommosse e di azioni violente in occasione del 25 Aprile?
«I partiti politici del paese sono in lotta, e il prefetto si è messo di mezzo perché CasaPound vorrebbe intervenire. La sinistra di Medole, con un comunicato, ha invitato la popolazione a scendere in piazza cantando Bella ciao. Per questo, il prefetto ha chiamato il sindaco, avvertendolo del pericolo di eventuali scontri. Quindi le manifestazioni di altre organizzazioni sono state vietate».
Ci sono dei precedenti a Medole?
«No, anche se l’attuale amministrazione è di bassa fattura e non gode dei favori del pubblico. In più, il sindaco non ha mai messo piede nella nostra scuola. Io, però, essendo insegnante, mi sono tenuto in disparte: non posso entrare in queste beghe politiche».
Perché ogni anno si torna a parlare di Bella ciao? Perché è così divisiva? Non è soltanto una canzone?
«Questa melodia, che noi spacciamo per italiana, è un’antica melodia ebraica, e c’è sempre un po’ di puzza sotto il naso quando si parla degli ebrei. Poi perché è stata utilizzata, erroneamente, come simbolo della Resistenza. Ma non si conosce la sua storia: questo brano, in realtà, risale al periodo della post-resistenza. Ci sono parecchi errori, sia storici che politici. È facile dire: “Bella ciao? Comunisti”. Alla fine, però, quanto accaduto si è rivelato semplicemente un boomerang che si è ritorto contro le istituzioni. Noi, in fondo, stavamo semplicemente eseguendo una canzone».
Questa canzone, però, parla di un oppressore e di un oppresso: come la vicenda ucraina…
«Il discorso è un altro: se elimino Bella ciao, elimino la sinistra. Ma io, da insegnante, posso anche far eseguire Faccetta Nera o Bandiera Rossa, perché sono brani storici esattamente come Bella ciao. Non posso disconoscere una parte di storia solo perché non piace a me: bisogna essere intellettualmente onesti».
Le origini e le declinazioni del canto
Da inno della Resistenza, poco diffuso tra i partigiani, a brano simbolo della liberazione dal nazifascismo, a canzone di lotta per la libertà delle nuove generazioni di tutto il mondo. Fino al successo internazionale in 40 traduzioni. A quasi un secolo dalla sua nascita, la forza di Bella ciao non si arresta: oggi è patrimonio dell’umanità intera nella lotta per difendere i propri diritti e la propria libertà, contro ogni tipo di ingiustizia. La canzone ha ancora oggi origini sconosciute, ma grazie al web corre sempre più velocemente. Carlo Pestelli, professore di materie letterarie e cantautore, è anche autore del libro Bella ciao: la canzone della libertà.
«La canzone è un gomitolo, in cui si riuniscono molti fili, e andare all’inizio di un gomitolo è un percorso scivoloso», esordisce Pestelli, che è sempre stato affascinato dalla storia della canzone. Il cantautore sfata un mito: infatti «a lungo si è ritenuto che la canzone derivasse dai canti di lavoro delle mondine, coloro che raccoglievano il riso. Ma la loro versione è più tarda, negli anni Cinquanta». Uno dei paradossi è che fino alla fine degli anni Quaranta tutti conoscevano la canzone ma non si sapeva nulla sulla genesi di quel canto. Il brano simbolo della Resistenza inizia a diffondersi durante la Seconda Guerra mondiale e negli anni del boom economico, in cui, grazie ai Festival della Gioventù, diventerà noto in tutto il mondo. Negli anni Sessanta, si inizia a colmare il deficit conoscitivo sulle origini: «In quegli anni, si ha la necessità di unificare le varie anime della Resistenza e la canzone è perfetta per slegare la Resistenza dalle appartenenze di partito, perché è atemporale».
Decine di indizi e di suggestioni riconducono la canzone a melodie bretoni, trovatori provenzali, mondine italiane, canzoni popolari di amori traditi, canti di protesta, stornelli per bambini. Dagli anni Sessanta, Bella ciao diventa il canto universale che oggi conosciamo, arrivando fino alle piazze di Hong Kong, Istanbul, Atene, Parigi, e trovando ogni giorno una nuova voce che la anima. Pestelli individua tracce del canto in alcune canzoni popolari dell’Italia settentrionale. «Il testo rimanda molto probabilmente a Fior di tomba, una canzone popolare di argomento sentimentale, che presenta assonanze significative con Bella ciao sia per l’incipit sia per il tema, ricorrente in alcune varianti, della tomba e del fiore». Per quanto riguarda, invece, l’origine della musica, dalla canzone popolare Bevanda sonnifera sembra prendere il ritmo e le ripetizioni, ma ci sono molte somiglianze con il brano di musica Kletzmer Koilen, inciso a New York nel 1919 da Mishka Ziganoff, musicista zigano originario di Odessa. «Definirei un problema-non-problema quello delle origini. È il frutto di tante contaminazioni e filoni di canti popolari. Addirittura deriverebbe da un canto francese-normanno degli anni Trenta del 1500», continua Pestelli.
L’autore del libro ha imparato Bella ciao, quando era bambino, dal suo maestro delle elementari, che era un partigiano. Oggi migliaia di ragazzi giovani non sanno niente della storia dei partigiani, ma conoscono a memoria la canzone perché hanno visto la serie tv spagnola di Netflix La Casa di Carta, che l’ha utilizzata come colonna sonora. In ogni manifestazione pubblica, a ogni anniversario, le note del brano sono simbolo di libertà e di liberazione. “Negli ultimi anni è andata oltre il bacino di partenza, la Resistenza partigiana e il dopoguerra. Il web, infatti, ha aiutato il brano, che adesso corre come una lepre implacabile nella videosfera. Come diceva Levi-Strauss, «il senso vero di un mito è il senso della sua ultima ricezione».
Bella ciao oggi parla di Ucraina
Quella di quest’anno è stata una festa della Liberazione particolare, dominata dalla preoccupazione per la guerra in Ucraina. Una festa in cui è stato «difficile intonare Bella ciao senza rivolgere un pensiero agli ucraini che nelle scorse settimane si sono svegliati e hanno trovato l’invasor». Queste le parole pronunciate da Liliana Segre e Sergio Mattarella. Perché il 25 aprile non è solo una ricorrenza storica: è anche un’occasione per celebrare valori come la democrazia e la libertà.
Il parallelismo tra presente e passato è quindi inevitabile: la resistenza del popolo ucraino contro l’esercito russo ricorda per certi versi quella degli italiani contro i nazi-fascisti 77 anni fa. «Oggi io sono una partigiana», il commento di Iryna Yarmolenko, consigliera comunale di Bucha intervenuta sul palco del Duomo di Milano. Insieme a lei, la connazionale Tetyana Bandelyuk, che ha affermato come il 24 febbraio il suo Paese si sia «svegliato in un libro di storia». L’invasione dell’Ucraina ci riporta dunque indietro nel tempo, rendendo Bella ciao di nuovo attuale. Tant’è vero che è stata riadattata dalla popolare cantante folk Khrystyna Soloviy, che ha voluto dedicarla «a tutti gli eroi che in questo momento combattono per la nostra terra».
La canzone, parlando di lotta contro un invasore, vale per tutte le situazioni in cui qualcuno lotta per la propria libertà. Anche «la nostra liberazione non è stata conquistata con le parole – ricorda il sindaco di Milano Giuseppe Sala – e la resistenza non è stata fatta senza sofferenza». L’obiettivo, naturalmente, è porre fine al conflitto. Lavorando per un mondo in cui regnino pace e giustizia. Non è un caso, ha ricordato la partigiana Iole Mancini, che «il simbolo dei partigiani non sia un fucile, bensì un fiore».