Domenica due detenuti del carcere di Bollate (Milano) hanno minacciato, imbavagliato e rinchiuso in una cella un agente di polizia penitenziaria. I due avevano finto di accusare un malore intorno alle 21 e, per questo, dovevano essere scortati fino all’infermeria. All’interno della stanza, sono entrati in possesso di un paio di forbici e di una lametta e hanno minacciato il poliziotto.
Successivamente, i due carcerati di Bollate hanno rubato le chiavi di alcune celle all’agente ed hanno iniziato ad aprirle e, sembra, ad aggredire un altro detenuto. Avevano anche intenzione di minacciare un collaboratore di giustizia recluso nello stesso reparto, ma non sono riusciti ad aprire la cella dove era rinchiuso. La situazione si è poi risolta senza conseguenze grazie alle urla di altri detenuti che hanno allertato i rinforzi. A dare l’allarme sono stati gli stessi prigionieri, che hanno fermato i due malviventi e chiamato le forze dell’ordine.
La liberazione, all’interno del carcere di Bollate, è avvenuta dopo una lunga trattativa con i due rivoltosi che si è conclusa senza che nessuno subisse danni, nemmeno il collaboratore di giustizia preso di mira. Il sindacato Spp denuncia «l’inadeguata condizione lavorativa in cui era costretto a operare l’agente a causa della carenza di organico e le pessime le condizioni di lavoro in cui si è costretti a operare a rischio della propria vita ogni giorno». In seguito all’episodio la sigla sindacale e il suo responsabile Di Giacomo hanno avviato una campagna di sensibilizzazione e protesta dal nome «Da solo come soli sono i nostri colleghi, noi le vittime non i carnefici». A darne la notizia è stato Gennarino De Fazio della UilPa, il sindacato della Polizia Penitenziaria nazionale e Osapp, l’ Organizzazione sindacale autonoma Polizia Penitenziaria: «Anche questa volta le conseguenze peggiori sono state evitate per circostanze fortunose e, come quasi sempre accade, per l’intervento degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria. In questo caso, addirittura, il primo allarme è stato dato da altri ristretti; è di tutta evidenza, però, che non ci si può affidare alla provvidenza. Se ci dobbiamo affidare al soccorso dei detenuti per garantire la sicurezza delle istituzioni e per portare a casa la pelle, siamo al fallimento del sistema d’esecuzione penale dello Stato».