Raffaele Capperi, affetto dalla Sindrome di Treacher Collins, è stato deriso sin da bambino per il suo aspetto fisico. Oggi la sua storia di resilienza è diventata un esempio di speranza nella lotta contro il bullismo, che Raffaele combatte attraverso la gentilezza. Un valore che lo ha portato ad essere nominato Cavaliere della Repubblica dal Presidente Sergio Mattarella e testimonial del film Wonder – White Bird.

«Sul concetto di gentilezza si impernia tutta la mia vita
ed è il cardine del film».
Mostro
«“Mostro” è l’insulto che ricevo di più dagli haters. Purtroppo la gente non riesce ad andare oltre all’aspetto esteriore e io sono nato con un volto deforme. Mi mancava quasi del tutto lo zigomo destro e buona parte di quello sinistro. Il mento era come se non ci fosse e l’orecchio destro quasi inesistente. Oggi, però, sembra che per poter stare al mondo bisogna essere necessariamente un certo tipo di persona».
@raffaelecapperi Risposta a @✨Magica ✨ Un breve riassunto ❤️ #raffaelecapperi #treachercollins ♬ Nuvole Bianche – Yuval Salomon
Raffaele Capperi, 29 anni, è affetto dalla Sindrome di Treacher Collins, una malattia rara che colpisce una persona su 50mila e provoca delle malformazioni alle ossa del volto, problemi di respirazione e di udito. «Ma non mina l’attività cerebrale. Almeno quello» aggiunge Raffaele, con l’autoironia che lo contraddistingue, nonostante il dramma che ha caratterizzato la sua vita. «Sin da piccolo, ho trascorso gran parte del mio tempo in ospedale. Ho subito otto interventi per migliorare il mio tenore di vita. Dovrei farne altri, ma non lo ritengo necessario perché ormai sono riuscito ad accettarmi per quello che sono. Ho imparato che la vera bellezza è nell’anima».
Quando ho realizzato di essere diverso
«In casa non mi sono mai sentito diverso. I miei genitori mi hanno sempre trattato come una persona normale. Il problema è arrivato quando ho iniziato ad affrontare il mondo reale. Ho incontrato la cattiveria». Con le lacrime agli occhi, Raffaele racconta di aver subito bullismo sin da bambino, da parte di coetanei e di adulti.
«La percezione di sé arriva di solito quando si è più grandi e comincia sempre attraverso gli occhi degli altri. Io ho scoperto chi ero all’età di tre anni».
Era il 1997. Mia madre mi portò all’asilo e ricordo i bambini che si allontanavano da me impauriti. Ricordo il viso di una bambina. La sua espressione, le sue lacrime. Ovviamente non ero ancora consapevole del mio aspetto e della mia malattia, ma mi sono sentito diverso».

Raffaele vive a Monticelli d’Ongina, un piccolo comune nel Piacentino. Racconta di aver vissuto un’infanzia tranquilla, nonostante gli episodi di bullismo subiti. «Alle elementari e alle medie non ho avuto grossi problemi, perché ho frequentato con gli stessi bambini dell’asilo che ormai erano abituati al mio volto. Le prese in giro le subivo fuori dalla scuola.
Lo specchio
Il giorno di carnevale, ero con un mio amico alla sfilata di paese e suo padre mi disse: “Tu non hai bisogno della maschera perché ce l’hai già”. Fu una pugnalata». E con la voce rotta dall’emozione, aggiunge: «Lavavo la faccia e i denti evitando il mio riflesso perché non riuscivo ad accettarmi per quello che sono».
«La gente mi faceva sentire sbagliato,
non adatto alla società».
Emozioni che Raffaele faceva fatica a condividere anche con i suoi genitori. «I miei sono sempre stati molto presenti, ma ho nascosto loro tante cose che mi succedevano. Non parlavo quasi mai degli insulti e delle violenze psicologiche e fisiche che ho subito perché non volevo farli soffrire». Ad eccezione di un episodio particolarmente grave. «Mi sentii in dovere di raccontarlo ai miei genitori perché non pensavo di poter gestire la situazione da solo». Raffaele ricorda la sua prima partita di calcetto. «Mi sono sentito normale, un bambino come gli altri». Ma il suo entusiasmo si frena subito e, singhiozzando, racconta di aver subito una violenza. «Dopo l’allenamento, mi ritrovai circondato da questo gruppo di ragazzi. Mi urlavano quanto facessi schifo. Poi hanno tirato giù i pantaloni e mi hanno pisciato addosso».

Un trauma che ha frenato ulteriormente i suoi tentativi di interfacciarsi con il mondo, soprattutto con chi non conosceva la sua condizione. «Le superiori per me sono state un incubo. Ho frequentato a Cremona, una città più grande e piena di sconosciuti. La prima volta che ho preso l’autobus per andare a scuola, tutti mi fissavano. Ho pensato: “Ecco il vero effetto che faccio alla gente”». In quel momento di grande sconforto, Raffaele spiega quanto la musica sia stata importante per ritrovare un po’ di serenità. «Mi rifugiavo nella mia cameretta, ascoltando le canzoni di Tiziano Ferro ed Elisa. Mi facevano sentire in pace con me stesso».
La depressione
Questo equilibrio, però, si interrompe a causa di una vicenda che lo avrebbe portato a vivere un periodo di forte depressione. «Avevo 18 anni quando una ragazza mi contatta su Facebook per chattare. Mi sono detto “Wow, finalmente qualcuno a cui piaccio, che è andato oltre il mio aspetto fisico”. Le nostre conversazioni spaziavano dagli interessi in comune, alla vita privata e, per la prima volta, sentivo di aver creato un rapporto di piena fiducia. Per questo, quando me lo chiese, le inviai una mia foto intima. Il giorno dopo iniziò l’inferno». Raffaele interrompe il suo racconto più volte. Non trattiene le lacrime e, scuotendo il capo, quasi fosse ancora incredulo, rivela di aver subito un episodio di revenge porn (ndr, vendetta pornografica). La foto era stata pubblicata sui social e stampata sui volantini per essere distribuita in paese e sui parabrezza delle auto. «Quella ragazza non era mai esistita. Per qualcuno era stato solo uno scherzo, ma io mi sono sentito morire».
Raffaele rivela, infatti, di aver pensato spesso di togliersi la vita. «Avevo continui attacchi di panico e mi sentivo stanco. Prendevo l’auto di notte e pensavo “potrei chiudere gli occhi per un attimo e tutto finirebbe”. Finché non ho deciso di andare da uno psichiatra che mi ha aiutato a gestire la depressione con dei farmaci». Ma la vera medicina è stata la gentilezza.

La rinascita attraverso i social
«Siate gentili». Un pensiero che Raffaele ha condiviso sui social come un motto, raccontando la sua storia attraverso dei video che definisce “emozionali”. «Condividere con gli altri tutto quello che mi è capitato è stato di grande aiuto. Sono riuscito a tirare fuori il mio malessere. Ho iniziato su TikTok e poi su Instagram ed è stato un momento di vera rinascita. All’inizio, cercavo di nascondere i miei difetti e non mostravo mai del tutto il mio volto perché avevo paura dei commenti».
Non sono mancati, infatti, i messaggi di odio: “Sei davvero uno schifo. Racconti la tua storia solo per i like. Con il tuo problemino ti sei fatto i soldi, pezzo di merda. Devi morire” gli scrive un ragazzo in chat. Se la reazione più scontata può essere quella di rispondere a tono a commenti di questo tipo, Raffaele sceglie invece la strada della gentilezza. «Non sono d’accordo con chi dice che l’arma migliore sia essere indifferenti. L’indifferenza non aiuta, semmai uccide la comunicazione. Per questo motivo, io non blocco mai i commenti negativi sotto ai miei post. Purtroppo nella vita reale non esiste questo filtro. Io lo so bene ed è giusto che tutti vedano sia la parte positiva che quella negativa».
@raffaelecapperi #accadeoggi ♬ suono originale – Raffaele Capperi
L’impegno sociale
Tra i suoi followers, i genitori di altri ragazzi affetti dalla sindrome di Treacher Collins lo hanno contattato alla ricerca di conforto. «Incontrare persone con la mia stessa malattia mi ha dato molta forza. – e commosso aggiunge – Vorrei essere per loro un punto di riferimento. Mi sarebbe piaciuto averne uno anch’io a darmi speranza».
Un messaggio che Raffaele lancia a chiunque sia vittima di bullismo, sensibilizzando i più giovani nelle scuole. «Bisogna educare all’empatia e alla comunicazione. Mi chiedono spesso di fare un monologo, ma a me piace di più ascoltare cosa hanno da dire dopo gli studenti. Alcuni seguono il mio esempio e si raccontano. E mentre lo fanno, piangono. Penso sia catartico, sia per loro, che per me. Significa che ho lasciato un segno, che li ho smossi».

Raffaele ha anche raccontato la sua vita nel libro Brutto e cattivo. La storia del ragazzo che ha visto la vera faccia del mondo ed è stato nominato Cavaliere della Repubblica durante la cerimonia di consegna delle onorificenze, conferite “motu proprio” (ndr “di propria iniziativa”) dal Presidente Sergio Mattarella ai cittadini che si sono distinti per atti di eroismo e impegno civile.
«Oggi mi sento davvero felice. Aiutare gli altri mi ha fatto capire il mio valore e mi ha aiutato ad accettarmi per quello che sono. Non mi sento più una persona sbagliata e ho capito che non ho nulla per cui non essere fiero».