DIMISSIONI, PERCHÉ NO? CRESCE IL «QUIET QUITTING»

In una società che corre sempre più veloce, non tutti riescono a tenere il passo. A Milano sempre più persone, soprattutto tra i giovani, abbandonano la loro azienda. Tra i motivi la disillusione e la scarsa mobilità del mercato del lavoro. Negli ultimi tempi ha infatti preso piede il fenomeno del Quiet Quitting, la nuova parola resa popolare da un trend lanciato su TikTok. Letteralmente: la volontà delle persone di svolgere il minor lavoro possibile o di licenziarsi. Un sondaggio svolto dall’azienda britannica di ricerche di mercato YouGov su 1000 impiegati rivela che il 56% degli intervistati non aveva mai sentito parlare di questo fenomeno. Tra chi lo conosceva, il 37% pensava che descrivesse il minimo indispensabile di lavoro da svolgere, mentre il 19% riteneva che si trattasse di rifiutare attività extra senza compenso.

Le grandi dimissioni

Il fenomeno del Quiet Quitting è spesso associato a quello della Great Resignation.  La differenza è che il primo si riferisce ad una diminuzione del carico lavorativo, mentre il secondo a un abbandono del posto di lavoro, ovvero le dimissioni di massa che negli ultimi anni stanno interessando sempre più giovani. Sono 1,66 milioni quelle registrate in Italia nei primi nove mesi del 2022. Un aumento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2021, quando erano state 1,36 milioni.

La ripresa del mercato del lavoro, la ricerca di condizioni economiche più favorevoli e l’aspirazione ad un maggior equilibrio tra vita privata e lavorativa sono le tre ragioni principali alla base della crescita esponenziale delle dimissioni seguite dalla ricerca di maggiori opportunità di carriera. Tra gennaio e settembre 2022 sono stati circa 557 mila i rapporti interrotti per decisione del datore di lavoro, contro i 379 mila nei primi nove mesi del 2021 (+47%). Se guardiamo il solo terzo trimestre dell’anno scorso, le dimissioni sono state 562 mila (+6,6% rispetto al terzo trimestre 2021) e i licenziamenti quasi 181 mila (+10,6%).

Considerando il 2018, come mostrano i dati ANPAL Servizi, a dare le dimissioni erano state circa 750 mila persone, quasi il 30% in meno. Ma la vera impennata si è avuta nei primi mesi del 2021, quando si è passati da 350 mila a 490 mila: oltre 100 mila dimissionari in più nel giro di pochi mesi, sfiorando i 2 milioni di dimissioni alla fine dell’anno. Da allora, il fenomeno ha continuato a espandersi.

Un mercato del lavoro che non aiuta i giovani

«Se un ragazzo fa il lavapiatti in California o in Inghilterra ha possibilità di diventare caposala. Qui da noi la sua posizione non crescerà mai». È il quadro tratteggiato da Antonio Verona, responsabile del mercato del lavoro presso la CGIL della città metropolitana di Milano. La percezione di immobilità è uno dei principali problemi del mercato del lavoro locale. Nel capoluogo lombardo ci sono circa mezzo milione di persone tra i 15 e i 34 anni, la metà circa lavora grazie al possesso di una laurea che interessa il 33%. Una quota molto più alta della media nazionale. Eppure il loro reddito si aggira «attorno ai 18.000 euro lordi annui. Che vuol dire grosso modo calcolato su base mensile poco più di 1000. Non ti mantieni a Milano nemmeno sognando».

Dalle parole di Verona emerge come il fenomeno del Quiet Quitting a Milano non sia una novità. «La propensione a cessare un rapporto di lavoro entro pochi mesi dalla sua attivazione è sempre stata una caratteristica del nostro mercato del lavoro». Ciò che però ha ingigantito il fenomeno è stato il blocco dei licenziamenti durante il periodo del Covid. «Le aziende non potevano licenziare quindi coloro che si dimettevano rischiavano di non avere nessuna ricollocazione sul mercato».

Nel 2021 a Milano si sono contate 180.000 dimissioni, di cui 82 mila di giovani al sotto i 34 anni. «Una delle motivazioni è legata al reddito. Basta un’offerta di 100 euro in più e non ci pensi due volte». Nel 2022 il fenomeno è cresciuto, in sei mesi ci sono state 108.000 dimissioni su 442 mila cessazioni. Per il sindacato ci sono 80 mila giovani milanesi che vivono stabilmente all’estero, e a questi se ne aggiungono tremila ogni anno. «La tendenza ormai è questa e sarà difficile farla diminuire, soprattutto tra le loro fasce d’età».

 

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L’intervista a Giuliana: imprenditrice milanese trapiantata in Calabria
Giuliana Russotto (fonte: Facebook)

Ama così tanto la Calabria da averla tatuata sul braccio. «È stata la scelta migliore della mia vita». Non ha dubbi Giuliana Russotto, 46 anni, imprenditrice nel settore delle telecomunicazioni. Da qualche tempo ha deciso di abbandonare la metropoli milanese per spostare la sua attività a Ionadi, un piccolo paese nella provincia di Vibo Valentia.

A Milano di cosa si occupava?

Avevo un ufficio a Trezzano sul Naviglio e mi occupavo di vendita commerciale in appalto con le catene di elettronica, quindi in realtà lavoravo a livello nazionale. Un anno fa ho preso la scommessa di prendere un appalto in Calabria. È andata meglio del previsto, tanto che mi sono trasferita per seguire al meglio il percorso che stiamo facendo con i dipendenti locali.

Quando ha iniziato a maturare la decisione di lasciare Milano?

Dopo sei mesi che avevo cominciato, perché fare la spola tra Malpensa e Lamezia era diventato insostenibile. E da lì ne ho parlato con i familiari. Anche mio marito che ha un’attività a Tradate, in provincia di Varese, ha deciso di darla in gestione. L’anno prossimo penso apriremo qualcosa qui in Calabria vicino Tropea.

Come hanno preso questa decisione i suoi amici?

Ci sono stati dei pareri discordanti, ma chi mi conosce sa che io colgo le opportunità. Mano a mano che la conoscevo, sentivo la Calabria sempre più mia. Ho percepito emozioni che non provavo da tantissimo, e soprattutto a Milano, non le provavo da tanto tempo.

Che differenze trova con Milano?

Prima respiravo consumismo, lavoravo per vivere ma non vivevo veramente. Qui invece ho rivalutato anche me stessa, non solo la tipologia di lavoro. Ho ritrovato l’umanità, i valori che c’erano una volta, come salutarsi al mattino con persone che non conosci. E per me che opero nel commercio, a stretto contatto con la gente, è una cosa bellissima.

Quindi un buon ambiente migliora anche la qualità del lavoro?

Assolutamente sì. Noi siamo ciò del quale ci circondiamo. Già solo quando ti metti in macchina e hai la montagna a sinistra e il mare a destra, esci di casa e affronti tutto con un umore totalmente diverso.

Ma c’è qualcosa che le manca di Milano?

Milano è una città molto ricca, può offrire tante cose, ma con quello che ho qui non mi può mancare niente. Qui respiri storie in ogni angolo.

Consiglierebbe ad altri di fare quello che ha fatto lei?

Lo consiglio ma avendo delle basi, perché è inutile che parlo di sogni, non funziona così. Io ho deciso di fare questa scelta dopo che avevo già cominciato a lavorare qui. Il nostro lavoro è fatto anche di numeri, non solo di emozioni.

La Calabria tatuata sulla pelle di Giuliana
Stefano Gigliotti

Calabrese. Appassionato di musica, cinema, seguo con molto interesse anche la politica e gli esteri. Mi piace approfondire e non fermarmi alla superficie delle cose. Sono fondamentalmente un sognatore. Il giornalismo mi aiuta ogni tanto a fare ritorno alla vita reale.

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