Geopod Ep.14 – Uranio, l’altra dipendenza dalla Russia

Siamo in piena crisi energetica. C’è una risorsa che molti osservatori in questi mesi hanno indicato come un’alternativa valida per produrre energia pulita. Ne avevo già parlato in un’altra puntata: mi riferisco all’energia nucleare. Quello che però mi piacerebbe sottolineare oggi è un aspetto in particolare: di tutta l’energia prodotta al mondo circa il 10% deriva dalla fissione nucleare e il principale combustibile usato è l’uranio. In questi mesi abbiamo visto le sanzioni contro la Russia. Tutti i Paesi europei si sono impegnati a rendersi indipendenti dal Cremlino. Le sanzioni hanno colpito le importazioni dalla Russia di gas, petrolio, carbone, ma non quella di uranio. Perché? Apparentemente non ce n’è bisogno. La Russia non è tra i primi produttori di uranio al mondo, ma come è già successo per tutti i combustibili fossili la guerra in Ucraina sta mettendo a nudo la dipendenza europea e mondiale anche dall’industria nucleare russa.

Che cos’è l’uranio e come si lavora

Prima di tutto cerchiamo di capire da dove viene l’uranio. Si trova in alcuni tipi di rocce e può essere estratto dalle miniere, dalle cave a cielo aperto (frantumando le rocce) oppure pompando nel terreno delle soluzioni chimiche che lo disciolgono e lo dividono dalle rocce. Il materiale estratto deve essere lavorato, trasformato e arricchito. Alla fine si ottengono dei pellet di combustibile che vengono raggruppati in delle barre e inseriti nel nocciolo della centrale, dove rimarranno per qualche anno. L’uranio usato nei reattori nucleari può essere, poi, di nuovo trasformato e riciclato. Tutto questo processo di trasformazione ha un impatto ambientale: si produce CO2, l’estrazione dalle cave consiste nel fare esplodere la superficie con la dinamite e l’utilizzo di soluzioni chimiche mette a rischio le falde acquifere.

L’andamento del mercato

Oltretutto, si tratta di un materiale legato prevalentemente al Kazakhstan, un Paese molto dipendente dalla Russia a livello politico ed economico. Il Kazakhstan è il principale produttore di uranio, produce oltre il 40% della fornitura globale, seguito da Canada, Australia e Namibia. Gli altri Paesi ne estraggono poco: tra questi c’è anche la Russia che produce circa il 5% della fornitura mondiale e gli Stati Uniti con l’Europa che producono meno dell’1% del totale. I principali consumatori di uranio sono proprio Stati Uniti e Francia insieme alla Cina. Per molto tempo l’offerta di uranio ha quasi eguagliato il consumo, con prezzi bassi, ma qualcosa sta cambiando. I progetti di costruzione di così tanti nuovi reattori nel mondo hanno spinto al rialzo i prezzi dell’uranio, la cui domanda andrà inevitabilmente crescendo. A questo si aggiunge la speculazione di alcuni fondi di investimento. In più l’estrazione di uranio a livello globale è andata gradualmente diminuendo a causa degli elevati costi di estrazione per le miniere, che rendevano più conveniente l’acquisto dell’uranio sul mercato.

Trasformazione

Oltre alla questione del prezzo e dell’offerta della materia grezza, un fattore importante da considerare è chi poi lavora effettivamente l’uranio grezzo per renderlo un combustibile. La conversione, l’arricchimento e la fabbricazione dell’uranio sono processi tecnici sofisticati che vengono gestiti in un piccolo numero di impianti in tutto il mondo. Ed ecco che entra in gioco di nuovo il Cremlino. La Russia, pur non estraendo grandi quantità di uranio è leader nella conversione del materiale grezzo in esafluoruro di uranio: copre circa un terzo della produzione totale. Il processo di arricchimento, poi, avviene per il 43% in Russia. Per esempio nel 2021 il 35% dell’uranio utilizzato nei reattori nucleari americani proveniva dal Kazakhstan, il restante in percentuali minori dal Canada, dalla Russia e dalla Namibia. È necessario sottolineare però che la maggior parte dell’uranio estratto in Kazakhstan viaggia proprio attraverso il territorio russo e lì viene lavorato, prima di essere esportato all’estero. Inoltre, attraverso una sussidiaria dell’azienda di Stato russa Rosatom, che si chiama Uranium One, il Cremlino ha partecipazioni in tutti questi Paesi produttori e persino negli stessi Stati Uniti, precisamente in una miniera nel Wyoming. Per i Paesi dell’Unione Europea la situazione non è diversa: nel 2021 il 20% dell’uranio proveniva dalla Russia e il 23% dal Kazakhstan. Quindi anche se si volesse aumentare l’attività mineraria interna, questa non potrebbe essere una soluzione nel breve termine per affrancarsi dalla dipendenza russa. Bisognerebbe implementare anche i sistemi di trasformazione dell’uranio grezzo.

Trattamento scorie

E poi c’è la questione del trattamento delle scorie alla fine del ciclo. Anche qui la Russia la fa da padrona. Per esempio, la Francia a differenza dei Paesi alleati dell’Est, non dipende dalle competenze russe per gestire i suoi 56 reattori, ma ha una forte dipendenza per quanto riguarda il riciclo delle scorie. Il 95% di quelle prodotte dalle centrali, viene inviato a un’azienda transalpina, che a sua volta lo spedisce in Siberia, dove diventa uranio riciclato. Perché la Siberia? Lì si trova l’impianto appartenente al gruppo russo Rosatom, che è l’unico al mondo capace di riciclare l’uranio scaricato dai 56 reattori nucleari francesi. Negli ultimi due anni, il combustibile esaurito è stato inviato dalla Francia alla Russia e una volta convertito rispedito indietro come se niente fosse. Anche se nessuna sanzione ha toccato questo aspetto, da ottobre il governo francese ha cambiato politica e ha sospeso il riciclo dell’uranio nella regione russa. È stata una risposta spinta dalla pressione dell’opinione pubblica e da Greenpaece che ha documentato alcuni scambi tra i due Paesi. Ma il problema adesso rimane. Bisogna capire dove stoccare le scorie da riciclare. Si rischia inoltre di sprecare questa risorsa e di aumentare i costi di gestione. Le autorità francesi sostengono che il valore del commercio di combustibile nucleare con la Russia è molto inferiore rispetto alle esportazioni di gas e petrolio e che imporre sanzioni in questo settore non avrebbe alcun effetto sull’economia russa. Tuttavia, dato che la Russia ha un ruolo nevralgico nella trasformazione dell’uranio, nel riciclo delle scorie e nella gestione di molti impianti non si può escludere che si arriverà a un embargo totale anche per questo settore.

Gestione delle centrali

Dei cento reattori in funzione nell’Ue, ben 18 sono legati a Rosatom, cioè dipendono in un modo o nell’altro dai suoi servizi di gestione. Ad ogni modo, ridurre la dipendenza dell’Occidente da Rosatom richiederà molto tempo e non sarà semplice. In conclusione, abbiamo visto che il nucleare è uno dei pochi settori dell’economia russa a non essere stato colpito dalle sanzioni, ma che allo stesso tempo l’industria nucleare di Mosca è essenziale per far funzionare le centrali elettriche di molti Paesi nell’est dell’Unione Europea. Anche la Francia ha bisogno di Mosca per riciclare le proprie scorie e aver abbandonato l’estrazione dell’uranio a favore delle importazioni da altri Paesi potrebbe creare nel prossimo futuro problemi di prezzi e di forniture non solo per l’Europa ma anche per gli Stati Uniti.

Puoi ascoltare qui le altre puntate di Geopod, il podcast di geopolitica.

Elisa Campisi

SONO GIORNALISTA PRATICANTE PER MASTERX. MI INTERESSO DI POLITICA, ESTERI, AMBIENTE E QUESTIONI DI GENERE. SONO LAUREATA AL DAMS (DISCIPLINE DELL’ARTE DELLA MUSICA E DELLO SPETTACOLO), TELEVISIONE E NUOVI MEDIA. HO STUDIATO DRAMMATURGIA E SCENEGGIATURA, CONSEGUENDO IL DIPLOMA TRIENNALE ALLA CIVICA SCUOLA DI TEATRO PAOLO GRASSI.

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