Giovanni Allevi, ospite della seconda puntata della 74a edizione di Sanremo, spiega come la malattia possa diventare un inno alla vita.
Il monologo
S’alza il sipario. Giovanni Allevi procede timidamente sul palco dell’Ariston. Ad accoglierlo una lunga standing ovation. L’applauso arriva dritto al compositore, che lo riceve quasi come un abbraccio di conforto e di grande ammirazione. Un sorriso emozionato, poi il monologo. «All’improvviso mi è crollato tutto. Quando è arrivata la diagnosi, pesantissima, ho perso molto. Il mio lavoro. I miei capelli. Le mie certezze. Ma non la speranza e la voglia di immaginare».
Il 18 giugno 2022, Giovanni Allevi annuncia di essere affetto da un mieloma multiplo. La malattia lo costringe ad abbandonare le scene. A mettere la musica in pausa, per curare se stesso. Ciononostante, rimane forte la voglia di vivere.
«Era come se il dolore mi porgesse, anche, degli inaspettati doni» continua il musicista. E col volto a più riprese segnato dalla commozione, racconta come la malattia lo abbia portato a rivalutare le cose.
«I numeri non contano»
Ricordando un concerto antecedente alla diagnosi, condivide col pubblico, e quasi con vergogna, il sentimento di sconcerto provato dopo aver notato la presenza di una poltrona vuota. « Eppure agli inizi, ho fatto molti concerti davanti a solo una ventina di persone. E ne ero felicissimo – spiega Allevi. – Oggi, dopo la malattia, non so cosa darei per suonare di nuovo di fronte a solo quindici persone. I numeri non contano».
Sembra quasi un monito che la malattia gli abbia regalato per ricordare l’emozione degli esordi. La stessa che ha poi mosso la carriera di un artista umile ed eternamente riconoscente.
«La gratitudine per la bellezza del creato»
«Non si contano le albe e i tramonti che ho ammirato da quelle stanze di ospedale. Il rosso dell’alba è diverso dal rosso del tramonto. E se ci sono le nuvolette attorno è ancora più bello». Sembra la frase di un bambino. E forse è proprio questo l’ennesimo dono ricevuto. L’ingenuità. Quello stato armonico di innocenza e stupore, anche dinanzi alle piccole cose. Quelle che si danno per scontate.
Allevi accenna poi un ghigno. In passato, parlando della sua Sindrome di Asperger in un’intervista, aveva dichiarato: «La mia risata arriva spesso improvvisa, non contestualizzata. E questo complica tutto a livello mediatico». Una risata che invece, con follia e spontaneità, sembra proprio confermare il risveglio di quel bambino sopito.
La riconoscenza
Il musicista ringrazia abbandonandosi alle lacrime. «Sono riconoscente per il talento dei medici e degli infermieri. Per la forza, l’affetto e l’esempio che ricevo dagli altri pazienti e dai loro familiari. I guerrieri». Poi aggiunge: «Magari cerchiamo un altro termine», quasi a non voler cedere alla retorica della battaglia. Un appunto che sembra insignificante, ma che invece si inserisce coerentemente all’interno di un monologo che parla di malattia e di doni. Siano essi riflessioni o persone care. E che Allevi sembra aver portato simbolicamente con sé sul palco. Parla e si rivolge a loro «anime splendenti, esempio di vita autentica».
La rinascita
E conclude: «Quando tutto crolla e resta in piedi solo l’essenziale, il giudizio che arriva dall’esterno non conta più. Io sono quel che sono. E voglio accettare il nuovo Giovanni». Afferra il berretto, calcato sui riccioli grigi e, cercando coraggio nel consenso del pubblico, lo sfila via. «Come è liberatorio essere se stessi».
Ma per dimostrarlo fino in fondo, Allevi decide di tornare a suonare il piano, aggiungendo: «Non posso più contare sul mio corpo, ma suonerò con tutta l’anima». Il pezzo, composto durante la malattia, si intitola Tomorrow, «perché domani, per tutti noi, ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello».