Allarme Svimez, nel 2080 dimezzata la popolazione del Sud Italia

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L’annuale rapporto Svimez – l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – sullo stato dell’economia del Meridione presenta stime allarmanti. Negli ultimi 20 anni più di un milione di persone hanno lasciato il Sud Italia. E nel 2080 la popolazione meridionale sarà quasi dimezzata.

Lo spopolamento del meridione

Se il Meridione venisse considerato a sé, staccato dal resto dell’Italia, sarebbe uno dei paesi più poveri d’Europa. Se al contrario nel Mezzogiorno si investisse, l’Italia intera ne trarrebbe vantaggio. Invece, dall’Unità d’Italia in avanti, il mezzogiorno si svuota in silenzio. Secondo il rapporto Svimez, entro il 2080, la popolazione residente dal Lazio in giù sarà quasi la metà di quella attuale, con 8 milioni di abitanti in meno.

Negli ultimi 20 anni il Sud ha perso più di un milione di abitanti, al netto dei rientri. 2,5 milioni di persone hanno, infatti, lasciato la propria terra d’origine negli ultimi due decenni, ma 1,4 milioni di esse vi sono poi ritornate. L’81% dei partenti ha raggiunto il Centro-Nord.

Se lo spopolamento del Meridione avesse un andamento costante, in 80 anni registreremmo una perdita pari a 3 milioni di italiani, numero più basso rispetto alle previsioni Svimez. Tuttavia, lo studio sottolinea che per ogni cittadino in partenza emigrano anche i suoi potenziali figli, nipoti e le generazioni a seguire. Per questa ragione la perdita nel lungo periodo si stima possa essere molto più ingente: pari quasi al triplo.

Fuga di cervelli

A rendere l’emorragia ancora più preoccupante, sono le caratteristiche anagrafiche di chi si sposta. I giovani sono quelli che più frequentemente decidono di lasciare la propria terra per realizzarsi altrove. E, più nello specifico, i giovani laureati. Negli ultimi 20 anni questi ultimi erano il 25,7% di tutti i partenti. Nel 2020, su 67mila giovani emigrati, il 40% era laureato.

I giovani del Sud si trovano spesso davanti a una realtà satura, senza offerta di lavoro qualificato. Inoltre, arrivare a fine mese diventa sempre più difficile per un sempre maggiore numero di persone. Il rapporto Svimez sottolinea la crescita nel Meridione – anche a fronte di un’occupazione in aumento da anni – del numero di famiglie costrette a vivere in povertà assoluta. Dal 2020 al 2022 si contano nel Sud 250.000 persone sotto la soglia in più. Al nord? 157.000 in meno.

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Negli ultimi 20 anni circa 1,2 milioni di giovani ha lasciato il Mezzogiorno. 1 su 4 è laureato.
 Il turismo arranca, ma il futuro è verde

Il settore più in difficoltà nel Mezzogiorno è quello manifatturiero. Ma spiragli di ripresa non arrivano neanche dal turismo. Quello che spesso viene considerato come il settore di forza del Sud – e dell’Italia in generale – è in crisi in tutto il Paese. Il rapporto Svimez – citando i dati Istat – sottolinea che la presenza turistica in rapporto al numero di abitanti al Sud è meno della metà di quella del Centro-Nord. Le difficoltà dell’epoca Covid sono tutt’altro che superate. Il gap tra il turismo attuale e quello pre-pandemia registra un -8,0% nel Mezzogiorno e un -5,1% nelle regioni centrali e settentrionali.

Piccoli segnali di ripresa sono, invece, quelli descritti dal dossier di Mediobanca sul Sud, citato dallo Svimez. 361 imprese del meridione – con più di 10 dipendenti – sarebbero in crescita con un fatturato pari a 370 milioni. Inoltre, il rapporto sottolinea come il 25% delle medie e grandi aziende del Sud lavorino in settori cruciali nella «crescita futura globale», soprattutto per contrastare il cambiamento climatico e favorire la transizione verde.

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Secondo il rapporto Svimez investire in eolico e fotovoltaico nel Mezzogiorno sarà fondamentale per raggiungere gli obiettivi PNIEC
La ‘grande migrazione’

Gli italiani sono sempre stati in movimento. Tra i più grandi esodi della storia moderna c’è anche quello dei nostri connazionali. Storicamente vengono riconosciuti tre diversi periodi in cui l’Italia è stata interessata da ingenti flussi migratori. Con ‘grande migrazione’ s’intende il primo vero esodo di massa iniziato dal 1861 e protrattosi fino al termine della prima guerra mondiale. Il secondo periodo – quello della cosiddetta ‘migrazione europea’ – va invece dal secondo conflitto mondiale fino agli anni ’70. La terza e ultima ondata migratoria riconosciuta è anche chiamata ‘nuova emigrazione’ ed ha avuto origine dalla recessione e dalla crisi economica del 2007-2008.

Dall’Unità d’Italia in avanti sono state registrate 24 milioni di partenze. Come se un’Italia intera si fosse spostata in meno di due secoli. La popolazione italiana nel 1861 era, infatti, di poco oltre ai 22 milioni di abitanti. Già dalla fase post-unitaria, le migrazioni assunsero sempre di più una componente interna, sull’onda dello sviluppo economico dell’industria lombardo-piemontese, del porto di Genova e della città di Roma. A fine ‘800, tra il 1876 al 1900 l’emigrazione interessò soprattutto il Nord Italia, con Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte che da soli fornivano circa il 47% dei migranti.

La situazione si capovolse nei 15 anni seguenti – dal 1901 al 1915 -quando a emigrare furono soprattutto i cittadini meridionali: 3 milioni da Sicilia, Campania e Calabria, su 9 milioni di migranti totali di tutta Italia. Rapportandolo alla popolazione delle singole regioni si tratta del 12,8% degli abitanti siciliani, del 6,9% dei calabresi e del 10,9% dei cittadini campani (Fonte: Rielaborazione dati Istat in Gianfausto Rosoli, Un secolo di emigrazione italiana 1876-1976, Roma, Cser, 1978).

Per inquadrare questi numeri e confrontarli con quelli attuali, torniamo a considerare i dati presentati dal rapporto Svimez. L’emigrazione dal Sud Italia negli ultimi 20 anni ha interessato 1.1 milione di persone. Per identificare il numero totale degli abitanti facciamo riferimento ai dati Istat del 2022. Includendo nel conteggio anche la popolazione insulare si ha un totale di 19.9 milioni di abitanti. Escludendo le isole, gli abitanti del Meridione sarebbero 13.5 milioni. Dal 2002 ad oggi, quindi, avrebbero lasciato il Sud Italia, nel primo caso, il 5,5% della popolazione, nel secondo, l’8,1%.

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Una nave di migranti italiani salpa in cerca di un futuro migliore
La ‘migrazione europea’ e la ‘nuova emigrazione’

Il vero balzo del fenomeno migratorio italiano si ha dal 1900 in avanti con dati tra il 1901 e il 1903 oltre le 500.000 partenze annue. Successivamente, la crescita del Triangolo industriale e di Roma tra il 1920 e il 1940 incrementano l’abbandono del nord-est e del centro- sud. Ma dopo le guerre, il fenomeno migratorio crebbe soprattutto verso l’estero. Le percentuali di ritorno, però, in questo periodo erano alte. L’emigrazione veniva vista come un riscatto temporaneo per poter risanare la propria situazione economica e poi tornare in Italia con prospettive di vita migliori.

La “nuova emigrazione”, originata dalla crisi economica del 2007-2008 è stata marcata soprattutto nel Sud d’Europa, ma per caratteristiche e dati non è riconducibile ai fenomeni migratori passati. All’estero scappano sempre di più i laureati, il futuro più brillante del nostro paese.  Attualmente – secondo i dati dell’AIRE – risiedono fuori dall’Italia circa 6 milioni di italiani. Ovvero, il 9,2% del totale degli italiani. Negli anni ’20 del ‘900 i risiedenti all’estero erano, invece, 9.200.000, quasi un quinto dell’intera popolazione italiana.

Se le caratteristiche dell’emigrazione italiana sono senza dubbio cambiate, essa è lontana dall’arrestarsi. Nell’occhio del ciclone, nei prossimi anni, finirà sempre di più il Sud Italia. Le stime del rapporto Svimez sono allarmanti e dipingono il nostro Paese sempre più spaccato in due. Gli sforzi fatti dall’Europa con il più grande piano d’investimenti dal dopoguerra, strutturato dall’Italia nel PNRR, avevano anche lo scopo di «rammendare» il Paese. Svimez definisce il Piano nazionale di ripresa e resilienza come «un’occasione sprecata». Al centro del dibattito politico degli ultimi mesi anche il ponte sullo Stretto, ma di questo passo ci sarà qualcuno ad attraversarlo?

 

A cura di Rebecca Saibene

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