Si chiama Latifa ed è la vedova di un membro dell’ISIS. Il volto è coperto mentre lascia una delle testimonianze più significative degli ultimi tempi a Khalifa al-Khuder, un reporter e giornalista siriano. Quella di Latifa è una storia sconosciuta, la maggior parte delle volte ignorata. Si tratta del ruolo delle mogli all’interno di uno dei gruppi terroristici più importanti del Ventunesimo secolo. Un gruppo che ha cambiato, forse definitivamente, l’immagine del Medioriente. Ma è anche un gruppo fatto di persone dove uomini e donne collaborano con lo stesso obiettivo.
La testimonianza
Il Worldcrunch Magazine ha dedicato cinque pagine di intervista alla vedova di un membro dell’ISIS. Tutto è iniziato quando è stato ucciso il marito di Latifa. Dopo il decesso la donna è stata chiamata dal capo dell’Isis a Manbij, una città a est di Aleppo. L’incontro è avvenuto in una casa senza segni che potessero riportare al gruppo terroristico. Durante il colloquio le è stato chiesto che cosa sapesse del gruppo, senza tralasciare alcun dettaglio. È stato da quel momento che Latifa si è trasformata in «una prigioniera senza muri». L’appellativo attraverso il quale la donna descrive il suo ruolo e quello delle sue compagne è forte. Ma trasporta con sé tutta la potenza e la centralità dell’operato femminile all’interno dell’ISIS.
Subito dopo l’interrogatorio la vedova di un membro dell’ISIS è stata arruolata dal gruppo, iniziando a collaborare in maniera effettiva. La donna era pienamente cosciente degli affari del marito. Ma dalla sua testimonianza si evince come si sia trovata impreparata al lavoro che avrebbe dovuto svolgere lei stessa da lì in avanti. Da moglie si è trasformata in messaggera. Il suo compito consisteva nel portare ingenti quantità di denaro alle famiglie dei soldati dell’ISIS. Il fatto che fosse una donna facilitava il lavoro, dal momento in cui essendo coperta dal burqa sarebbe stato impossibile riconoscerne l’identità. Schede telefoniche false e ricambiate ogni volta, nessuna conoscenza diretta delle persone con le quali aveva a che fare, Latifa si è ritrovata a trasportare tra i 400.000 e i 500.000 dollari al mese.
L’economia delle donne del gruppo
L’attività si svolgeva da una parte all’altra della Siria. La comunità delle donne e delle vedove vivono in case separate, completamente controllate da cellule del gruppo. Il ruolo di messaggere e di trasportatrici pone queste donne in una condizione di estremo pericolo. Perché la protezione fittizia che gli uomini dell’ISIS danno a queste donne non può arrivare ovunque. Questo significa che le vedove sono esposte ai controlli dei soldati del governo siriano. Vivono nell’illegalità creata con il riciclaggio di denaro che sono tenute a trasportare.
Non si esce dall’ISIS neanche da morti. Il gruppo continua ad aiutare economicamente le famiglie dei defunti. Ecco perché Latifa e le altre vedove vengono ingaggiate. Loro non sanno da dove arrivi tutto questo denaro. Sono solo consapevoli che questi soldi servano al mantenimento del gruppo terroristico. Mentre i soldati sono lontani dalle famiglie le donne e i figli devono essere sostenuti economicamente. E a questo ci pensa tutta l’organizzazione dell’ISIS. Latifa ha raccontato che inizialmente l’ISIS non prendeva il denaro dal controllo delle centrali petrolifere della Siria e dell’Iraq. Ma continuava ad autofinanziarsi con gli atti tradizionali come le uccisioni e le donazioni provenienti dall’estero. Dopo il 2019 il controllo delle centrali di petrolio è diventato fondamentale. Quindi queste donne suppongono che il guadagno derivi dal riciclaggio intorno all’esportazione illegale di petrolio.
La protezione
Le vedove sanno cosa rischiano. Sono coscienti anche dei crimini per i quali potrebbero essere accusate se venissero scoperte. Durante l’intervista Latifa dice più volte che la protezione che il gruppo le fornisce in realtà non è vera, perché i pericoli del suo lavoro sono tantissimi. Ma lei non ha avuto scelta. Non ha avuto altre possibilità perché essere una donna in un paese come la Siria non è semplice. Oltre alla mancanza di diritti è difficile che una donna possa pensare alla sussistenza di sé stessa e della sua famiglia, soprattutto se si considera la guerra civile in atto dal 2013. L’ISIS si presenta come un’alternativa. La protezione fornita dal gruppo terroristico non lascia scelta. Molte donne sono costrette a sposarsi contro la propria volontà. Così come sono obbligate a diventare delle vere e proprie soldatesse del gruppo. Lo scopo non è religioso, è sociale. L’unico obiettivo è quello di permettere la sopravvivenza del gruppo terroristico dell’ISIS.
L’attivista per i diritti umani Mona Freij ha spiegato il meccanismo che coinvolge le soldatesse. Il fatto che queste donne vengano escluse e recluse in determinate zone è centrale. In questo modo non soltanto gli è impossibile scappare, ma gli è anche impossibile scegliere di non partecipare all’economia del gruppo. L’attivista sostiene anche che non si possa raggruppare tutte queste donne in un’unica dimensione. Sussistono degli aspetti sociali, psicologici e legali che giocano a favore dell’arruolamento. È per questo che si raccontano come “prigioniere senza muri”.