Nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS), in orbita bassa tra i 330 e 410 km sopra la Terra, si tenta di svelare un segreto che potrebbe valere miliardi per l’industria. L’esperimento avviene in uno specifico laboratorio nella ISS, il COLIS (COlloid LIquid System), e l’obiettivo è capire come i solidi disordinati – ovvero i gel e i vetri – cambiano la loro struttura nel tempo.
Perché andare così lontano? Per analizzare il tutto in assenza di gravità, elemento definito una «forza silenziosa ma decisiva nella loro evoluzione» da uno dei coordinatori del progetto e docente di Fisica della Materia al Politecnico di Milano Roberto Piazza. E se al momento una crema solare dopo circa un anno scade, perché inizia a scomporsi, comprenderne il suo funzionamento potrebbe risolvere la questione, o per lo meno migliorarla, e «progettare in futuro formulazioni più stabili, dai farmaci a rilascio controllato ai materiali auto assemblanti».
In cosa consiste l’esperimento

Un piano nato venticinque anni fa grazie ad uno dei bandi di “Announcement of Opportunity” (AO) dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) che Roberto Piazza, insieme al collega Luca Cipelletti, ricercatore e attualmente docente all’università di Montpellier, è riuscito a vincere. Il professor Piazza ha raccontato: «Luca ha fatto il dottorato a Milano mentre io ero un ricercatore a Pavia. Successivamente lui si è trasferito negli Stati Uniti, per arrivare infine in Francia dove si è stabilizzato». Nonostante la distanza hanno continuato a lavorare insieme al progetto.
Si tratta di un esperimento di scienza di base che si concentra da un lato sui gel, ovvero strutture che «sono fondamentalmente liquide, ma tenute insieme da dei reticoli», e sui vetri. Questi due materiali hanno in comune il fatto che con il tempo, in maniera lenta, cambiano la loro struttura. Sulla Terra, in particolare per i gel, la motivazione è chiara. «È il peso delle strutture che pian piano li schiaccia e questo porta dei veri e propri cambiamenti, come se fossero dei piccoli terremoti che continuano a cambiare la loro forma».
Il problema, come nel caso della sopracitata crema solare, prende il nome di “Shelf Life”, come ha spiegato il ricercatore Piazza, ovvero la vita sullo scaffale di un prodotto, soprattutto di quelli fragili. «È a tutti gli effetti un problema industriale molto aperto e dove non si ha veramente idea di quali sono i processi fisici che danno origine a queste ristrutturazioni. Ecco perché isolare la gravità può dare una spiegazione a tutto».
Programmazione rigidissima
Il laboratorio è arrivato lassù con un cargo della NASA circa un anno e mezzo fa. È stato poi installato nella Stazione Spaziale Internazionale dall’astronauta americano Mike Fincke. «A quel punto, con un volo separato, sono stati mandati i primi campioni su cui fare i test». Ma la vita in orbita non ammette improvvisazione. Il professor Piazza ha sottolineato la programmazione ferrea imposta agli astronauti: «Non appena arrivano i nuovi campioni, quelli precedenti vengono tolti dall’apparato. I tempi sono precisissimi, tutti stabiliti a priori in lunghissime riunioni». Ogni operazione deve essere regolamentata in maniera puntuale, «non si può dire “Questa cosa magari sarebbe interessante studiarla un po’ di più, facciamolo anche la settimana prossima”, perché la settimana prossima sicuramente quei campioni verranno tolti per sostituirli con altre cose».

Altro aspetto di cui tener conto è che il numero di campioni è molto limitato, perché inviare materiali nello spazio è un investimento ingente. Di conseguenze, la scelta su quali portare è stata molto pensata e il professor Piazza ha specificato che «non sono materiali di uso quotidiano, ma che in qualche maniera facciano un po’ da modello».
Tecniche utilizzate
Nell’esperimento sul COLIS vengono utilizzate principalmente tecniche ottiche di correlazione dinamica. Il professor Piazza ha spiegato che quando un fascio laser colpisce un materiale composto da strutture microscopiche, viene diffuso in tutte le direzioni, creando delle “macchioline” chiamate “Speckles”. Se il campione è in movimento, queste macchioline variano nel tempo. Misurando otticamente come cambia questo Speckles pattern, si può ricostruire il moto o la deformazione microscopica avvenuta all’interno del campione. Vengono anche utilizzati sistemi di stimolazione termica controllata, capaci di innescare e osservare i processi di invecchiamento dei materiali in modo preciso e riproducibile.
I risultati
Per quanto riguarda i risultati «ovviamente la ISS è più lenta nel trasmettere i dati rispetto al nostro cellulare». Al momento il team di ricerca è in fase di attesa. Hanno in mano solo dei dati preliminari che, secondo il ricercatore Piazza, «sono abbastanza curiosi perché sembrano essere diversi da quello che ci aspettavamo». Però, per fare una valutazione esatta bisogna aspettare il grosso dei dati, presenti su un hard disk nella stazione spaziale internazionale. «La difficoltà è la diversità tra lavorare in un ambiente come quello a cui siamo abituati noi, di gruppi di ricerca abbastanza piccoli e con tempi rapidi, e invece interagire con grandi strutture», ha raccontato. «Prima o poi verrà riportato sulla terra con qualche navicella, sperando che ci arrivi, perché altrimenti tutto il lavoro sarà sprecato». Secondo le sue stime l’attesa durerà almeno fino a marzo.
ISS ha una scadenza

L’esperimento non andrà avanti per sempre. Il professor Piazza spiega che il laboratorio tra tre anni verrà dismesso. Il motivo principale risiede nel fatto che «la ISS ha un costo che ormai viene considerato insostenibile sia dagli europei, ma soprattutto dagli americani». In gioco ci sono anche problemi geopolitici: «La ISS è mantenuta nella sua orbita dal modulo russo», l’unico al momento in grado farlo. E ha proseguito: «Alcune agenzie spaziali europee iniziano a voler fare le loro attività separate. I tedeschi in particolare stanno già pensando a delle loro piccole stazioni spaziali fatte in casa, non più quindi in una Stazione Internazionale».
La dismissione della ISS non sarà banale, perché «non è come far cadere un satellite. Bisogna smontarla pezzo per pezzo, farla scendere dall’atmosfera e poi distruggere le parti in maniera controllata», con costi ancora non quantificati. Oltre al fatto che a bordo ci sono apparati dal valore inestimabile.
Al di là di questo, il professor Piazza in parte ha realizzato il suo sogno. Se da bambino desiderava diventare astrofisico, poi la vita lo ha portato a prendere altre strade e «mi sono così trovato a fare cose diverse». Ma l’amore per lo spazio gli è rimasta, perché «è una cosa bellissima che rimane uguale. È la costante della tua vita, per me è una specie di coperta di Linus». Per questo motivo, l’opportunità di inviare qualcosa “di suo” nella Stazione Spaziale Internazionale, anche se non ci andrà mai personalmente, è la realizzazione di un «piccolo sogno d’infanzia».