Il generale Claudio Graziano, presidente di Fincantieri ed ex capo di stato maggiore della Difesa, è seduto a un tavolo nella sala conferenze dell’Associazione Stampa Estera, a pochi passi da un Palazzo del Quirinale illuminato dal caldo sole di metà ottobre 2023. Marziale come solo un militare con 50 anni di servizio alle spalle può essere, con il nodo alla cravatta perfettamente simmetrico e la giacca con tutti e tre i bottoni allacciati (così si fa con le divise, al contrario dei completi maschili), nei suoi occhi si leggono un disagio e una stanchezza che, nella nostra ignoranza, attribuiamo all’età avanzata. Oggi, invece, sappiamo che la vera ragione era un’altra: il dolore per la morte della moglie Marisa ad aprile 2023 e il vuoto che questo aveva creato. Un vuoto che il 17 giugno 2024 lo ha portato a togliersi la vita nel silenzio della sua casa. Quando, a margine di un evento, il generale ha concesso qualche minuto a MasterX per un’intervista, la guerra tra Israele e Hamas era appena scoppiata e tutto il mondo era ancora nettamente schierato dalla parte di Tel Aviv. Intanto le notizie dall’Ucraina perdevano rilevanza, soprattutto in Europa. Con un certo disappunto da parte di Graziano.
Generale, la guerra in Ucraina ha cambiato il mondo o solo il nostro continente?
In prima battuta penso che il conflitto in Ucraina sia stato un evento inaspettato che ha riportato la guerra in Europa, e questo non può che modificare il nostro modo di vivere e pensare da europei. Ma se solleviamo gli occhi dall’Ucraina vediamo che di fronte c’è il Mar Nero, dove si combatte una battaglia sul mare, e l’embargo russo impedisce il transito del grano affamando l’Africa sub-sahariana. Che è la regione in cui agisce la compagnia mercenaria Wagner e in cui si generano terrorismo e migrazioni. E di da lì nascono le instabilità che attraversano il Medio Oriente, reiterate dall’Iran e dalla sua minaccia di sviluppo nucleare. Tutto si tiene, nulla è scollegato.
Però è innegabile che il conflitto abbia impattato soprattutto le nostre opinioni pubbliche.
Il vero problema è che noi ci siamo svegliati solo con l’attacco russo all’Ucraina. Ci siamo resi conto che c’erano di nuovo parole come “guerra” e “nemico”. Ma avremmo dovuto accorgercene in un’altra data: il 16 agosto del 2021, quando è stato abbandonato l’Afghanistan, e un Paese per cui abbiamo combattuto per rimuovere il terrorismo è tornato in mano ai terroristi.
Uno smacco per noi?
Di più. Ci siamo dimenticati che c’era ancora il Daesh e che il terrorismo non era sconfitto. A cadere era stato il califfato, l’ISIS, ma il movimento si era mosso magmaticamente per il mondo, spostandosi in Africa e rafforzandosi in altri Paesi. Ma certamente la guerra in Ucraina è stato un momento storico, che ha segnato qualcosa che non cambierà più: il ritorno della guerra in Europa.
Sembra che lei sia molto preoccupato dal terrorismo, anche se fino all’attacco di Hamas a Israele quasi non se ne parlava più.
Lo sono. Il terrorismo è un elemento vitale, efficace, asimmetrico, che deve perforare le difese del nemico. Per farlo studia costantemente nuovi sistemi di attacco e di penetrazione, superando le protezioni anche dei Paesi più tecnologici. In questo momento Hamas ha messo in atto una guerra terroristica in piena regola, usando mezzi asimmetrici, non tecnologicamente evoluti, difficilmente rilevabili, di semplice uso. Il loro scopo era creare un terrore senza precedenti e ci soni riusciti, dimostrando ancora una volta come anche le migliori intelligence, davanti a una buona pianificazione nascosta, siano impotenti. Ed è successo con Israele, che sta sempre sul chi vive. Pensiamo a Stati che non hanno la stessa percezione della guerra quale livello di vulnerabilità possono avere.
Per evitare queste escalation ci sarebbe la diplomazia, ma in questi anni sembra non funzionare.
Quando c’è la guerra vuol dire che tutto è fallito, inclusa la diplomazia, che è un elemento di negoziazione. Io ho sempre lavorato con diplomatici, quando ero comandante di forze di pace. Ma si deve negoziare con i nemici, non con gli amici. Con gli amici vai a cena, è inutile perdere tempo con loro. Quando c’è una crisi, la diplomazia è all’apice dell’attività. Ma ormai da anni, almeno dal 2001, ci troviamo in una situazione in cui c’è un continuo susseguirsi di crisi che non danno respiro a una negoziazione sempre più stanca e difficile. È finita l’epoca stabilizzante della globalizzazione ed è iniziato qualcos’altro. Non so se la deglobalizzazione, ma sicuramente una globalizzazione regionale, perché ormai tutte le crisi regionali sono attaccate una all’altra.
Alcuni dicono che l’ONU, che dovrebbe occuparsi di negoziati, è impotente. L’Unione Europea potrebbe svolgere un ruolo da mediatore più efficace?
Le Nazioni Unite sono paralizzate dai veti e non possono agire. Anche contro il Daesh fu necessaria un’autonoma coalizione internazionale, perché a New York tutto restava bloccato. Io credo che se l’Unione Europea parlasse con una sola voce, con una sola forza, alcune crisi sarebbero più facili da risolvere. Pensiamo all’Ucraina: in questo momento il nostro continente ha risposto in modo coeso e la sua è stata la risposta più forte. In poche ore è stata decisa tutta la linea d’azione, cioè le sanzioni economiche, gli aiuti militari, l’isolamento politico. Quindi l’Europa ha messo in campo tutti i poteri, politico, economico, informativo e militare.
Militare, appunto. Questa guerra porterà a una Difesa comune?
L’esercito comune europeo è un sogno dei padri fondatori, e può anche darsi che diventi una realtà. Il presupposto è che ci sia l’unità politica dei Paesi membri, ma per ora dobbiamo cooperare e funzionare meglio. Difesa comune vuol dire creare una maggiore capacità operativa, finanziare programmi condivisi per creare una maggiore efficienza di spesa e ridurre la sua frammentazione: gli europei non stanziano fondi a sufficienza per la difesa. Certo, si parla di 230 miliardi, ma vengono impiegati in modo diviso, a differenza degli Stati Uniti e Cina che spendono in modo monolitico. Nello stesso tempo bisogna creare delle capacità operative reali. Su mio impulso, nel 2021, è stata creata una capacità di dispiegamento rapido che attualmente prevede 5mila unità. È un inizio, ma siamo ben lontani dalla meta.
Fino ad allora può bastare la NATO?
No, nel senso che la NATO è un’alleanza militare responsabile della difesa dell’area di applicazione del Trattato del Nord Atlantico. Quindi il suo scopo è proteggere il continente da un’eventuale aggressione. L’Unione Europea invece si dedica alla risoluzione delle crisi e alla costruzione di capacità, alle partnership e a interventi rapidi. Anche e soprattutto fuori area. Ad esempio, intervenire alle radici delle cause delle migrazioni in posti come l’Africa è il compito dell’Unione Europea, non della NATO.
Ora l’attenzione è tutta rivolta a Israele. Teme contraccolpi in Ucraina?
L’Europa in questo momento ha dato solidarietà a Israele, ma deve mantenersi forte anche al fianco dell’Ucraina. In questo momento c’è il rischio che ce ne dimentichiamo, e dimenticare significherebbe far vincere il male. Guai se una guerra ce ne fa dimenticare un’altra! Vorrebbe dire creare le condizioni per il conflitto permanente.