Giovanni Zagni: «Il fact checking insegna a ragionare con la propria testa per riconoscere le fake news»

Nel panorama dell’informazione contemporanea, distinguere il vero dal falso – soprattutto per le nuove generazioni, che si informano prevalentemente attraverso i social media – può rivelarsi talvolta complesso. Per approfondire il tema della disinformazione e del fact-checking, abbiamo intervistato Giovanni Zagni, direttore di Pagella Politica e Facta, due dei principali progetti italiani dedicati alla verifica delle notizie.

 

Nel sondaggio è emerso che il 10-20% delle persone intervistate fatichi a distinguere le notizie vere da quelle false. Quali sono gli strumenti che offre il fact-checking per migliorare la capacità critica del pubblico e delle persone?
Secondo me il fact-checking è utile in due modi. Il primo è diretto: molti progetti hanno a disposizione numeri di telefono o altri canali a cui si possono fare segnalazioni di notizie sospette. Il progetto si basa moltissimo su queste segnalazioni, che permettono di offrire un servizio utile ai lettori. Oppure, ad esempio, se una persona non è sicura di una notizia, può fare una ricerca su un sito o un motore di ricerca, e spesso trova già che qualcuno si è occupato di verificare quella notizia.

Poi c’è un’utilità indiretta: il fact-checking può insegnare, attraverso corsi, articoli, esperienze o lezioni, delle tecniche per approcciare le notizie in modo più critico. Ad esempio, una tecnica semplice come la ricerca per immagini, utile per la verifica online, può essere imparata facilmente grazie alle risorse disponibili. Inoltre, il fact-checking insegna un certo modo di fare informazione, come l’attenzione a linkare le fonti e indicare da dove provengono le informazioni.

Negli Stati Uniti alcune piattaforme hanno deciso di ridurre o eliminare il supporto al fact-checking. Quali potrebbero essere le conseguenze?
Noi siamo uno dei due partner italiani di un programma di Meta e siamo direttamente interessati dalla questa decisione. Al momento riguarda gli Stati Uniti, ma sembra probabile che l’interruzione arrivi anche da noi. Questo cambia molto il panorama del fact-checking, sia economicamente che operativamente. Bisognerà trovare nuove fonti di sostentamento e adattarsi a un contesto in cui la moderazione di contenuti sarà meno rigorosa. Il rischio è che aumenti la diffusione di contenuti problematici su temi come immigrazione e questioni di genere. Ad esempio, Twitter e altre piattaforme hanno già mostrato segni di un approccio più permissivo verso contenuti discutibili.

Come ‘Pagella Politica’ o ‘Facta’ in che modo decidete quali notizie o dichiarazioni verificare? Qual è il processo di verifica?
Nel nostro caso bisogna distinguere tra verifica di dichiarazioni politiche e contenuti virali non politici. Per i contenuti virali, ci basiamo molto sulle segnalazioni degli utenti, spesso ricevute tramite il nostro canale WhatsApp. Per le dichiarazioni politiche, monitoriamo quotidianamente i social dei politici, interviste e trasmissioni televisive.

La verifica dipende dal tipo di contenuto. Per i contenuti virali, spesso usiamo tecniche come la ricerca inversa per immagini o strumenti avanzati forniti da Google. Per le dichiarazioni politiche, verifichiamo i dati consultando fonti affidabili come Istat, Eurostat, atti parlamentari o pareri di esperti. In ogni caso, tendiamo a verificare prioritariamente dichiarazioni e contenuti che sono già molto discussi o polarizzanti.

Qual è il ruolo dell’intelligenza artificiale nel fact-checking? È un alleato o un ostacolo?
Per ora, le notizie interamente create con l’intelligenza artificiale sono una percentuale relativa. Non esistono ancora programmi che possano garantire al cento per cento la verifica di un contenuto artificiale. L’intelligenza artificiale è uno strumento utile, ma aumenta anche l’incertezza, poiché è solo uno dei tanti modi per creare contenuti scorretti. Inoltre, c’è molta confusione: spesso le persone attribuiscono all’intelligenza artificiale contenuti veri, come immagini o video, che però hanno solo generato incomprensioni.

Quali sono le “categorie” di fake news più ricorrenti?
La categoria più comune è quella delle informazioni con contesto falso. Ad esempio, una foto o un video reali vengono presentati con un contesto sbagliato. Per quanto riguarda i temi, seguono il ciclo delle notizie. Negli ultimi anni, immigrazione, pandemia e Ucraina sono stati tra i più trattati. Alcuni bersagli, come il World Economic Forum, Bill Gates o George Soros, sono evergreen della disinformazione. È interessante notare come certe fake news si adattino ai trend globali, ma alcune figure restino costantemente al centro di narrazioni complottistiche.

Qual è il messaggio più importante che volete trasmettere al pubblico riguardo alla diffusione delle fake news?
Vogliamo spingere le persone a ragionare con la propria testa e arrivare da sole alle conclusioni. Forniamo tutte le fonti e i link per permettere una verifica autonoma. Non vogliamo censurare, ma stimolare la curiosità e l’analisi critica delle persone. La nostra missione è promuovere una grande scuola di curiosità e mai limitare l’espressione di nessuno.

 

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