Dalle “panche” di Buccinasco agli USA. Il marchio Dolly Noire compie 20 anni

Nell’estate del 2004 in un parchetto della periferia di Milano un gruppo di quindicenni sognava di creare un brand di abbigliamento. Oggi quel sogno è una realtà consolidata nell’universo dalla moda urban: si chiama Dolly Noire, un marchio noto in Italia e non solo.

Come nelle favole

Tutto ha inizio con un sogno. Una fantasia concepita da quattro ragazzi in una calda estate milanese, tra noia, zanzare e gli Europei di calcio in Portogallo. È il 2004 e a vincere la competizione è la Grecia, battendo in finale la nazionale ospitante per 1 a 0. Per la prima – e finora unica – volta nella sua storia calcistica, la formazione ellenica mette le mani sul trofeo continentale. Un fatto inspiegabile, un vero miracolo sportivo. Nessuno ci credeva, eppure è successo.

Insomma, c’è aria di magia nell’estate del 2004. E un po’ di polvere di fata si deposita anche dalle parti di Buccinasco, nel sud-ovest milanese. E no – semmai ve lo steste chiedendo – il Romano Banco, società dilettantistica di un quartiere del comune lombardo, non ha ottenuto la promozione in un qualche campionato di livello. A Buccinasco, nell’estate del 2004, la magia ha luogo sulla panchina di un parchetto. Per la precisione, il parchetto di via Rodolfo Morandi.

È il luogo di ritrovo della “Compagnia delle panche”, un gruppo formato da una quarantina di adolescenti della periferia milanese. Sigarette, motorini e un po’ di musica per fare ambiente. Un pomeriggio a quattro di loro viene in mente di creare qualcosa che li identifichi come collettivo di amici.

L’abbigliamento, nel periodo delle superiori, è un mezzo per comunicare lo spirito del gruppo a cui si appartiene. Partoriscono così l’idea di una maglietta con sopra la stampa di una panchina, emblema della compagnia. Pensano poi al nome del marchio. Ipotizzano “Dolly Noire”, in onore della pecora clonata nel 1996, che però “rendono” nera, rivendicando fin da subito la volontà di distaccarsi dalla monotona ripetitività delle mode. E, magari, di imporne una loro, facendo la differenza nel mondo dell’abbigliamento.

Su solide basi

«Inizialmente abbiamo chiesto alle nostre nonne di ricamare sulle magliette la patch “Dolly Noire”. Ne abbiamo realizzate alcune decine e le abbiamo vendute ad amici e parenti», dice Alessandro “Alli” Malandra, una delle quattro menti ideatrici del marchio. Che poi ammette: «Non avevamo tanta esperienza. Con i primi ricavi ci siamo pagati la vacanza a Rimini. Da quell’errore abbiamo scoperto che sarebbe stato meglio reinvestire se si voleva crescere».

Alli è oggi amministratore delegato di Dolly Noire Srl, un’azienda che fattura oltre mezzo milione di euro all’anno e che è attiva in Italia e in diversi Paesi del mondo. Al suo fianco, alla testa della ditta, ci sono i suoi tre amici di una vita: Gioele Castelvetere (direttore creativo), Daniele Crepaldi (brand manager) e Federico Ferrero (sales director).

L’amicizia nostra ha forza nella forgiatura

«L’amicizia è senza dubbio uno dei valori alla base del nostro progetto», afferma Alli. «È un aspetto decisivo della Dolly. Noi siamo quattro amici prima che quattro soci. Da un lato, questo mi dà la garanzia che nessuno cercherà mai di fregarmi, nessuno farà mai qualcosa che porti un problema alla società. Niente può scalfire la fiducia che nutro in Gioele, Daniele e Federico. Dall’altro, però, bisogna considerare che il carico emotivo in ogni cosa è molto forte. Mi spiego: se fai un errore, anche in buona fede, finisci per fare un danno doppio, sia all’azienda che ai tuoi amici. E questo ti porta a soffrire, perché senti di aver danneggiato in primis delle persone a cui vuoi bene».

Oltre al legame tra i quattro amici, altri due ingredienti sono stati indispensabili per garantire la continuità dello spunto iniziale. «Innanzitutto il sogno. Sognare è fondamentale: all’inizio era come un gioco e noi ci siamo stati dentro, divertendoci. E poi il coraggio. Bisogna buttare il cuore oltre l’ostacolo, lanciarsi e provare a inseguire il proprio sogno».

Il sogno prende vita

Ma torniamo alle origini di questo sogno. Che, a differenza di altri, non termina con la fine dell’estate. «Tornati a Buccinasco dalla vacanza a Rimini, abbiamo realizzato altre grafiche per t-shirt e cappellini. Volevamo ideare un logo che fosse più vicino all’etichetta Dolly Noir, e così abbiamo messo al posto della panchina l’immagine di quattro pecorelle nere. A quel punto abbiamo fatto brevettare il brand all’Ufficio registrazione Marchi». E via. Nel giro di un lustro, i quattro riescono ad aprire una propria partita iva come ditta individuale.

È il 2008 e i ragazzi, ormai ventenni, intraprendono dei percorsi universitari. Alli si iscrive alla facoltà di Economia all’Università Bocconi di Milano. «Alla fine della Magistrale, ho scelto di puntare tutto sulla Dolly. Volevo mettermi in proprio e ho pensato: “ok, voglio trasformare questo progetto in un’azienda”. Era un rischio. Forse i miei genitori si aspettavano che andassi a lavorare in banca, o comunque in un posto sicuro. Nonostante ciò, non hanno mai fatto mancare la loro vicinanza emotiva alla causa».

Negli anni Alli ha ripensato spesso alla decisione di fare sul serio e diventare imprenditore: «Fare l’imprenditore vuol dire percorrere strade ignote e rinunciare ad avere delle persone più esperte di te che ti spiegano come funziona il mondo. Di fatto, devi imparare tutto sul campo. I primi tempi ho sofferto questa condizione di solitudine».

I primi risultati

Nel 2010 si iniziano a vedere i primi frutti del lavoro dei quattro di Buccinasco. I prodotti firmati Dolly vengono venduti presso il negozio di vestiti Amedeo D. a Milano, ricevendo un grande apprezzamento da adolescenti e ventenni. «Quando abbiamo iniziato conoscevamo i gusti dei nostri clienti perché erano praticamente nostri coetanei. Per fare un esempio, abbiamo anticipato tutta l’onda rap degli anni Dieci: nel 2012 avevamo Emis Killa come testimonial; due anni dopo è stato il turno di Salmo. Artisti che oggi sono irraggiungibili in termini di budget, ma di cui noi abbiamo intercettato la fama ai loro primordi. Ecco, credo che una nostra capacità sia stata proprio quella di anticipare delle tendenze che poi sarebbero esplose».

Ma proprio quando sembra che le cose vadano a gonfie vele, un imprevisto rischia di compromettere il percorso dei quattro capi della Dolly. Nel 2016, qualche settimana prima di Natale, dei ladri riescono a penetrare nel magazzino dell’azienda, e a rubare merce per un valore di circa 100mila euro. «Quando Federico mi ha avvisato della notizia, ho pensato: “sono fallito”. Un furto in quel periodo dell’anno può avere conseguenze gravissime. Eppure, non so come, siamo riusciti a compattarci da squadra e a ripartire».

È sempre una festa

Difficoltà a parte, nel recente passato Alli e compagni si sono tolti grandi soddisfazioni. L’azienda si è allargata e oggi comprende una ventina di persone al suo interno. Il marchio Dolly si può trovare in vari rivenditori in giro per l’Italia e vanta anche un proprio negozio monomarca in Corso di Porta Ticinese a Milano.

In occasione del ventesimo anno dalla nascita del brand, i dirigenti del gruppo Dolly hanno deciso di festeggiare la ricorrenza aprendo un locale, annesso al negozio. «Visto che il concetto di festa è presente nel nostro DNA sin dalle origini, abbiamo voluto realizzare uno spazio polifunzionale e ricreativo dove sarà possibile organizzare delle feste assieme ai nostri clienti. Le persone potranno conoscere la nostra storia e divertirsi assieme a noi».

Fra i traguardi di rilievo, inoltre, ci sono da annoverare le esportazioni in Spagna, Giappone e Stati Uniti. «Quest’anno abbiamo fatto una collezione che poi è stata comprata dal Pokemon Center in America, tra l’altro con risultati ottimi nelle vendite. Infatti, ci hanno contattato chiedendo un rifornimento perché la collezione aveva fatto sold out in 48. Evidentemente le persone hanno apprezzato il design. Abbiamo fatto delle magliette e delle felpe con ricamati i principali personaggi del mondo Pokemon; non certamente il classico Pokemon stampato sulla maglietta. Se ci penso, non riesco ancora a realizzarlo: io da piccolo ci giocavo con le carte dei Pokemon e ora mi trovo a collaborare con Pokemon Company, un’azienda gigantesca che muove miliardi di euro. Sono senza dubbio delle belle soddisfazioni queste».

 

Alessandro Dowlatshahi

Classe 1998, ho conseguito la Laurea Magistrale in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Milano, chiudendo il mio percorso accademico con un lavoro di ricerca tesi a Santiago del Cile. Le mie radici si dividono tra l’Iran e l’Italia; il tronco si sta elevando nella periferia meneghina; seguo con una penna in mano il diramarsi delle fronde, alla ricerca di tracce umane in giro per il mondo.

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