Cop28, chiusura polemica sui combustibili fossili

«A meno che non si voglia riportare il mondo alle caverne, non esistono dati scientifici che dimostrino che la graduale eliminazione dei combustibili fossili possa limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali». Queste le parole di Sultan al-Jaber, in un incontro online degli scorsi giorni alla Cop28 che si sta tenendo in Arabia Saudita dal 30 novembre. Al-Jaber non è soltanto l’inviato per il clima dell’Arabia Saudita, ma è anche amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company (Adnoc), una delle più importanti aziende statali petrolifere degli Emirati Arabi Uniti. Le sue dichiarazioni riaprono le polemiche nei confronti delle politiche energetiche di alcuni paesi, come Cina, Russia e la stessa Arabia Saudita. Soprattutto perché cercano di mettere in discussione tutti gli studi svolti dalla comunità scientifica internazionale negli ultimi anni.

La Cop28 e le sue contraddizioni

Le dichiarazioni di al-Jaber sono in contrasto con gli obiettivi della Cop28. Due i punti chiave dell’incontro: la riduzione nazionale dei gas serra, al fine di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C; la predisposizione di finanziamenti ai paesi più fragili, per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. L’amministratore della Adnoc ci ha tenuto molto ad evidenziare che gli Emirati Arabi Uniti sono gli unici ad aver decarbonizzato le risorse di petrolio. Ma si concentra sulle emissioni date dall’estrazione dei combustibili fossili, non dalla loro combustione, che sono nettamente più alte. L’Arabia Saudita rientra infatti in quella schiera di paesi, come la Cina, che si impegnano per la sola riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili, non per la loro totale eliminazione. Un’altra grande contraddizione emerge dalla figura stessa di Sultan al-Jaber. La Adnoc è la dodicesima più grande compagnia petrolifera del mondo, con una produzione di 3,1 milioni di barili di petrolio al giorno.

Il fondo Loss & Damage

Nei primi giorni del summit, la decisione più rilevante riguarda l’annuncio del fondo Loss & Damage, a sostegno dei paesi in via di sviluppo più colpiti dal cambiamento climatico. Secondo quanto annunciato, lo stanziamento dovrebbe superare 420 milioni di dollari, di cui 245 da parte dell’Unione Europea, 100 dagli Emirati Arabi e 17,5 da parte degli Stati Uniti. Si tratta di una cifra perlopiù simbolica quella stanziata da Biden, considerata la crescita del Pil statunitense nell’ultimo trimestre. Il nostro Paese, invece, contribuirà al fondo con 100 milioni di euro, secondo quanto annunciato dalla premier Giorgia Meloni. Sarà gestito dalla Banca Mondiale per i prossimi quattro anni.

L’impegno sul nucleare e le rinnovabili

Al vertice di Dubai si è parlato anche di nucleare, con un accordo stretto tra una ventina di paesi, tra cui Stati Uniti, Inghilterra e Francia, che si prefiggono l’obiettivo di triplicare entro il 2050 la produzione di energia atomica. Non hanno però sottoscritto l’impegno Cina e Russia, nonostante siano i maggiori produttori di centrai nucleari. Impegni anche sulla produzione di energia rinnovabile, con un accordo tra 116 Paesi (su 199 partecipanti alla conferenza). L’obiettivo è quello di portare a zero l’impiego di energia fossile entro il 2050 grazie a un più largo uso di solare ed eolico.

Articolo a cura di Francesca Neri e Tommaso Ponzi

Francesca Neri

Laurea triennale in Storia Contemporanea all'Università di Bologna. Laurea Magistrale in Scienze Storiche e Orientalistiche all'Università di Bologna, con Master di I Livello in African Studies all'Università Dalarna.

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