Cop27: ha vinto la giustizia climatica (ma anche i combustibili fossili)

Cop27

Con un ritardo di 30 ore rispetto alla scadenza ufficiale, nella notte del 19 novembre si è conclusa la COP27, che quest’anno si è tenuta a Sharm el Sheik, in Egitto. “COP” sta per “Conferenza delle parti” ed è la Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici a cui partecipano le delegazioni di 197 paesi di tutto il mondo. Quest’anno si è tenuta dal 6 al 18 novembre e si è conclusa tra vittorie importanti e profonde delusioni. Vediamo com’è andata.

Il trionfo del “Loss and damage”

La COP27 ospitata dall’Egitto ha raggiunto un accordo storico. Si tratta della creazione di un fondo loss and damage, pensato per ripagare i paesi più colpiti dagli effetti e dai danni della crisi climatica. Un patto epocale, che si basa sul riconoscimento del diritto dei paesi più vulnerabili a ricevere un compenso economico per i danni causati da una crisi climatica provocata dai paesi più industrializzati. 

Come scrive Ferdinando Cotugno nella sua newsletter Areale

«Il mondo altro, i blocchi dei paesi africani, delle piccole isole, dei paesi in via di sviluppo, delle grandi economie emergenti, è riuscito a imporre la loro narrazione, e la narrazione è questa: la crisi climatica è una crisi al tempo presente, non al tempo futuro. Hanno chiesto fondi, hanno chiesto risorse, hanno chiesto giustizia, sostanzialmente hanno chiesto un’arca. E l’hanno ottenuta». 

L’accordo sulla creazione di un fondo loss and damage è un primo risvolto concreto del concetto di giustizia climatica. Tradotto in cifre, si stima che le risorse necessarie per compensare “danni e perdite” della crisi climatica sarebbero tra i 300 e i 500 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. Per rendere operativo l’accordo, tuttavia, saranno necessarie ulteriori trattative che potrebbero andare avanti per almeno due anni. Un tempo utile anche per fare chiarezza su alcune questioni aperte. Ad esempio sull’ammontare del fondo, sul reperimento delle risorse, su quali paesi dovranno pagare e quali potranno beneficiare di questi fondi. 

La mitigazione ne esce sconfitta

Se sulla giustizia climatica la COP27 ha compiuto grandi passi avanti, non si può dire lo stesso della mitigazione, cioè di tutte quelle attività di transizione ecologica ed energetica necessarie a prevenire gli effetti più catastrofici della crisi climatica. I paesi che hanno partecipato alla Conferenza, infatti, non sono riusciti a raggiungere un accordo sulla riduzione dell’uso dei combustibili fossili, che emettendo gas climalteranti nell’atmosfera sono i principali responsabili del climate change. 

Secondo i dati dell’Emission Gap Unep, l’attuale livello di emissioni di gas climalteranti ci condurranno a un aumento della temperatura di 2.8°C. entro fine secolo.  Ha commentato così il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres: «Bisogna essere chiari: il nostro pianeta è ancora in una situazione di emergenza. Dobbiamo ridurre subito drasticamente le emissioni e questo non è stato affrontato. Il fondo per le perdite e i danni è essenziale, ma non è la risposta se la crisi climatica cancella della mappa un piccolo Stato insulare o trasforma un Paese africano in un deserto». Deluso anche il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, che ha dichiarato: «Ci voleva più coraggio, serve una riduzione più rapida delle emissioni, abbiamo perso velocità e tempo». 

Conflitto d’interessi

A rendere più difficile il raggiungimento di un accordo sulla riduzione dei combustibili fossili sono stati anche alcuni paesi con un chiaro conflitto d’interessi. Tra questi proprio l’Egitto che, pur ospitando quest’anno la COP27, durante le negoziazioni si è mosso soprattutto come esportatore di gas.

Rilevante è stata anche l’attività lobbistica portata avanti dai cosiddetti “petro-stati“, cioè quelle nazioni con economia fondate sulla produzione di combustibili fossili. Tra questi l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che alla Cop27 ha inviato oltre mille delegati nonostante abbia una popolazione di meno di 10 milioni di abitanti. C’è un motivo preciso dietro uno sforzo così imponente: gli Emirati infatti ospiteranno la prossima Cop28 e hanno cercato di aumentare la loro influenza sulla Cop attuale.

Il lato positivo

Tuttavia, una nota positiva c’è. L’accordo finale prevede infatti l’impegno comune per mantenere l’aumento globale delle temperature entro gli 1.5 gradi centigradi rispetto all’era pre-industriale. Un risultato non scontato, visto che per giorni, durante le negoziazioni, alcuni Paesi hanno minacciato di farlo saltare. Una soglia che, secondo gli scienziati, è necessario rispettare per evitare le conseguenze più tragiche della crisi climatica

E l’Italia?

Come nota Fanpage, l’Italia è l’unico tra i grandi paesi industrializzati a non aver gestito direttamente la fase finale dei negoziati, con il ministro dell’Ambiente e della Sovranità Energetica Gilberto Picchetto Fratin che ha lasciato in anticipo le trattative. Inoltre, con la decisione annunciata dalla premier Meloni di aumentare la produzione nazionale di gas, l’Italia ha confermato una linea politica ancora fondata sui combustibili fossili. 

 

Valeriano Musiu

Classe 1992. Ho studiato letteratura e cinema, ma nel tempo mi sono appassionato all’ambiente, all’economia circolare e alle questioni di genere. A 24 anni ho seguito Alice nel Paese delle Meraviglie della televisione, lavorando prima nell’intrattenimento e poi nelle news, con in mezzo un’esperienza da copywriter in un’agenzia pubblicitaria. Adesso it’s all about journalism, con la voglia di condividere storie e analizzare i fatti per raccontare il mondo, una parola alla volta.

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