Nelle settimane successive alla fuga di prigione del capo di una banda di narcotrafficanti, Adolfo Macias, detto “Fito”, in Ecuador ha regnato il caos. In diverse carceri del Paese i detenuti hanno preso in ostaggio le guardie, ed episodi di violenza si sono verificati in varie città. Gruppi di narcos hanno dato il via a una vera e propria guerra allo Stato. Autobombe, furti e scontri con armi da fuoco. E persino l’irruzione di uomini a volto coperto in uno studio televisivo durante la messa in onda di un programma pomeridiano. In risposta al deflagrare dei disordini, il governo guidato dal 36enne centrista Daniel Noboa ha decretato lo Stato d’emergenza in tutto il Paese e ha mobilitato l’esercito per opporre resistenza.
Ma la miccia non si è accesa all’improvviso. Si tratta di un processo in ballo da qualche anno. Come spiegato nell’intervista dalla giornalista freelance Elena Basso, esperta di America Latina e di Ecuador, «la situazione ecuadoriana è al limite da molto tempo». Radicati sul territorio e infiltrati nelle alte sfere politiche e militari, i narcos hanno a lungo detenuto le redini del Paese. In Ecuador tutti sapevano della loro influenza, e a tutti andava bene. A tutti, o quasi. Il neo-eletto presidente Noboa si è dimostrato un’eccezione. Fin dal periodo della campagna elettorale, il giovane Noboa ha apertamente dichiarato guerra ai narcos, intendendo ripristinare un controllo sugli apparati di potere. Un atteggiamento che ha finito, però, per turbare un equilibrio consolidato da anni di complicità tra Stato e criminalità organizzata.