Piaga sociale di lunga data, il razzismo colpisce ancora. E lo fa, per l’ennesima volta, su un campo di calcio. Sabato 20 gennaio 2024 al Bluenergy Stadium di Udine, il portiere del Milan Mike Maignan è stato bersagliato con offese discriminatorie da alcuni tifosi di casa. L’episodio ha portato alla sospensione momentanea della partita, dopo che l’estremo difensore rossonero aveva fatto presente all’arbitro di essere stato denigrato per il colore della propria pelle.
Il fenomeno risulta pervasivo sia in Italia che all’estero, dove episodi discriminatori nei confronti di uno o più atleti hanno destato scandalo nell’opinione pubblica. Il caso Maignan ha innumerevoli precedenti nella storia di questo sport e difficilmente sarà l’ultimo.
Terza volta per Mike
Nato a Caienna nel 1995, il numero uno francese in forza al Milan dal 2019 è stato vittima di razzismo in altre due occasioni precedenti alla trasferta di Udine. Il primo episodio risale al 19 settembre 2021 allo Stadium contro la Juventus. Due giorni dopo, Maignan aveva affidato ai social la sua riflessione in merito alle offese ricevute: «Finché questi eventi vengono trattati come “incidenti isolati” e non viene intrapresa alcuna azione globale, la storia è destinata a ripetersi ancora e ancora e ancora». Sulla vicenda, la Juventus ha fatto luce individuando il responsabile grazie al supporto del sistema di videosorveglianza dello stadio. E il tifoso, “daspato” a vita, si era poi scusato pubblicamente con il portiere rossonero.
Il secondo è del 19 marzo dell’anno successivo. Il Milan espugna l’Unipol Domus di Cagliari e dalle tribune retrostanti alla porta degli ospiti partono ululati rivolti all’estremo difensore francese. La Figc dispone quindi l’avvio di un’inchiesta su quanto accaduto. Nulla di fatto, però. Il giudice sportivo e la federazione decidono di non multare la curva dei sardi in occasione delle gare successive. Anche in questo caso, la risposta sui social di Maignan non si fa attendere. All’indomani della gara di Cagliari sul profilo Twitter del portiere rossonero compare l’immagine di una scimmia che fa il dito medio, accompagnata dalla didascalia “Niggaz Wit Attitudes” (neri con attitudine).
I precedenti in Italia
Quella del razzismo nel nostro calcio è storia che dura da più di tre decenni. In testa alla lista dei casi di discriminazione connessi a questo sport in Italia c’è quello dell’attaccante israeliano Ronny Rosenthal. Lo scandalo che lo vede coinvolto accade a Udine nel 1989. Giunto in Friuli dallo Standard Liegi durante la sessione di mercato estiva, il centroavanti viene accolto con scritte sui muri come “Ebrei via dal Friuli”, con tanto di svastica, oppure “Rosenthal go home”. Non passa tanto tempo prima che l’israeliano decida di lasciare l’Italia e di far rotta verso Liverpool.
Tre anni più tardi la storia si ripete. È il giugno 1992 quando Ajax e Lazio trovano l’accordo per il passaggio in biancoceleste di Aron Mohammed Winter, centrocampista olandese ebreo. Pochi giorni dopo l’ufficializzazione del trasferimento, su un muro di Roma compare la scritta “Winter raus” (“Winter vattene”), un messaggio con chiare connotazioni neonaziste. Un membro degli Irriducibili, noto gruppo ultras laziale di estrema destra, dichiara a un’emittente radiofonica locale che avrebbe continuato a dare del filo da torcere all’olandese finché non se ne fosse andato. Il clima nella capitale è teso. Per provare ad alleggerirlo, il giocatore arriva a mentire sulle sue origini ai microfoni: «Mi chiamo Aron Mohammed solo perché a mio padre piacevano i nomi esotici», dirà in un’intervista. Rimarrà in biancoceleste per quattro stagioni, realizzando 21 gol.
Casi di discriminazione razziale nei confronti di atleti sono occorsi anche all’interno di stadi, con l’intento di offendere giocatori della squadra rivale. A riguardo, è noto l’episodio di André Kpolo Zoro, difensore ivoriano del Messina preso di mira dai tifosi ospiti durante un match casalingo contro l’Inter. È il novembre 2005 e Zoro, infastidito dagli insulti razzisti provenienti dalle tribune, ferma il gioco per qualche minuto prendendo in mano il pallone.
Il primato del Brasile: penalizzazione in classifica per combattere il razzismo
Febbraio 2023, il Brasile diventa il primo Paese al mondo a sanzionare il razzismo negli stadi attraverso una penalizzazione in classifica.
La prima vera presa di posizione della Confederazione calcistica brasiliana (Cbf) è arrivata il 14 febbraio, quando con un comunicato ha reso noto che già dalla seguente Coppa di Brasile (22 febbraio) avrebbe ricorso a questa punizione. Secondo la disposizione, la sanzione sarà inflitta in via amministrativa all’ente coinvolto, con il deferimento del caso al Tribunale Superiore di Giustizia Sportiva. Quest’ultimo sarà chiamato a emettere un giudizio sulla possibile applicazione della misura di riduzione dei punti al club responsabile dell’atto.
La norma non tralasciava alcun soggetto, punendo indistintamente «club, atleti, allenatori, membri della Commissione tecnica, tifosi e squadre arbitrali nelle competizioni della Cbf».
Inoltre, nel testo veniva precisato come ogni episodio sarebbe stato portato davanti l’autorità giudiziaria. L’allora presidente della Cbf Ednaldo Rodrigues, che ha fatto della lotta al razzismo la priorità di tutto il suo mandato, ha spiegato come fosse finalmente giunto il momento di infliggere sanzioni più severe e attuare quelle misure sempre discusse ma mai messe in pratica.
Ha poi sottolineato l’importanza di estendere le sanzioni non solo al contesto sportivo, ma anche al Pubblico Ministero e alla polizia civile. Tale approccio mirava a garantire che gli autori di comportamenti discriminatori fossero perseguibili anche legalmente, superando i confini del solo ambito sportivo e assicurando che la legge potesse intervenire in modo deciso contro tali trasgressioni.
Una svolta tanto clamorosa quanto necessaria visto l’elevatissimo numero di discendenti africani nel Paese (circa il 45% della popolazione). Eppure, non mancano le polemiche. Molte persone sono contrarie poiché non trovano corretto legare il risultato della propria squadra a comportamenti di singoli tifosi.
L’intento però è dei più nobili e la norma mira a eliminare completamente gli episodi di discriminazione razziale, favorendo uno sport che sia veicolo di coesione sociale e promotore di valori quali rispetto e fair play.
Ultrà contro il razzismo: il caso Dortmund in Germania
È nella città tedesca di Dortmund che dal 2000 si è sviluppata la maggiore corrente antifascista all’interno degli stadi. Inizialmente a guidare il Borussia vi erano ultrà del Borussenfront, un gruppo affiliato all’estrema destra tedesca. Grazie alle tifoserie organizzate di sinistra e ai fan project finanziati dalla Federazione calcistica della Germania, nel corso del nuovo secolo tutti gli estremisti furono gradualmente esiliati.
Nel 2013, però, il trentesimo anniversario del Borussenfront fece riemergere il problema. Per rispondere al ritorno dell’estrema destra l’ex ultrà Daniel Lörcher cominciò a organizzare viaggi formativi nei campi di concentramento, così da educare i tifosi più giovani e accrescerne la consapevolezza.
Al termine della stagione calcistica, invece, il Bvb pubblicò «Borussia unito. Insieme contro il nazismo». Un breve video dove l’allenatore – che ricorda Adolf Hitler – viene colpito e atterrato da una sua stessa pallonata. Segue, nella clip finale, il testo: «Calcio e nazisti non si mescolano bene insieme».
Nella descrizione del video il club lancia inoltre un chiaro messaggio: «Il Borussia unisce generazioni, uomini e donne, di tutte le nazioni, dentro e fuori dal campo. Con questo spot noi del Bvb prendiamo una posizione inequivocabile. […] Nazisti e calcio semplicemente non vanno d’accordo!».
Queste iniziative si diffusero presto all’interno dell’intere curva, in una sorta di presa di coscienza collettiva. Il gesto non passò inosservato alla Uefa, che in occasione dei sorteggi di Champions 2019 assegnò al club il premio #EqualGame, un riconoscimento per l’impegno avuto nel promuovere la diversità, combattere il razzismo e allontanare l’estrema destra dagli stadi.
Il Bvb è diventato così un modello per la lotta al razzismo. Nel 2015, per esempio, il Bayern Monaco stanziò un milione di euro per i migranti arrivati nella città tedesca, allestendo anche un campo d’allenamento per loro. Il presidente dell’Eintracht Francoforte, invece, promise di bannare chiunque avesse sostenuto AfD, il partito di estrema destra.
Gli interventi delle squadre, però, non riguardavano solo l’esterno: nell’agosto 2019, dopo alcune frasi discriminatorie nei confronti del popolo africano, lo Schalke 04 sospese per tre mesi il proprio presidente Clemens Toennies.
Questa battaglia venne avanti dalle squadre tedesche per due motivi. Uno politico: nelle curve è più diffuso l’ideale di sinistra; l’altro economico. In Germania, i tifosi detengono la maggioranza dei diritti di voto in assemblea (50%+1), e di conseguenza tutto quello che accade negli spalti dev’essere controllato per garantire un’immagine positiva del club.