Il 22 novembre 2023 è stato annunciato l’accordo tra Israele e Hamas per una tregua nei combattimenti nella striscia di Gaza e per uno scambio di prigionieri: 50 ostaggi in mano alle milizie palestinesi in cambio di 150 detenuti delle carceri israeliane. Anche se l’avvio del cessate il fuoco è slittato dalla mattina di giovedì 23 novembre a un momento da destinarsi, c’è un altro punto su cui è opportuno soffermarsi. La consegna di carburante a Gaza. Quella materia prima che, per oltre un mese, Tel Aviv non ha voluto entrasse nella striscia. Perché?
«Lo usano per le bombe»
Sin dal primo giorno di guerra, il 7 ottobre, le consegne di combustibili sono state bloccate. Troppo pericoloso, secondo i media e il governo israeliani. L’accusa, più volte rilanciata, era che Hamas non avrebbe usato la benzina per alimentare generatori e impianti di desalinizzazione dell’acqua. Al contrario, i miliziani avrebbero indirizzato i rifornimenti alla produzione di razzi e missili. Per questo motivo, con il passare delle prime settimane, le scorte di carburante nella striscia si sono via via assottigliate, arrivando quasi a esaurirsi.
Con ovvie ricadute sui civili: i generatori degli ospedali hanno smesso di funzionare, costringendo diverse strutture a chiudere; i vitali impianti di purificazione dell’acqua, unica fonte di rifornimento idrico dopo il taglio delle linee di approvvigionamento da parte di Israele, sono stati spenti; il trasporto d’urgenza dei feriti, già reso difficile dalla devastazione delle infrastrutture di trasporto, è rimasto letteralmente a piedi. Stando ai dati diffusi dal WFP (World Food Program) delle Nazioni Unite lo scorso 16 novembre, la mancanza di combustibili, e il conseguente stop alla corrente elettrica, tutti i panifici della striscia hanno chiuso i battenti. E intanto le comunicazioni sono ridotte all’osso. Tutto per evitare che Hamas possa produrre nuovi razzi. Giusto?
Il propellente dei razzi
In realtà l’accusa israeliana ad Hamas sull’utilizzo improprio del carburante non è del tutto fondata. Se guardiamo all’arsenale missilistico dei miliziani, infatti, si scopre una cosa interessante: le loro armi non prevedono l’impiego sul campo di combustibili convenzionali. Per essere più precisi, Hamas dispone di svariate tipologie di razzi non guidati. Mancano invece i missili, che per definizione possono essere indirizzati con precisione sui bersagli.
Questa informazione, che potrebbe sembrare marginale, è fondamentale. Infatti i razzi, per la stragrande maggioranza, sono alimentati da propellente solido. Una qualche sostanza che, incendiata, genera spinta per un lasso di tempo abbastanza breve ma sufficiente a generare la tipica traiettoria arcuata (balistica) di questi ordigni. Non parliamo dunque di benzina, diesel o gasolio, ma di agenti chimici allo stato solido. Già questo dovrebbe generare qualche dubbio sulle accuse israeliane sull’uso improprio dei carburanti.
Il caso Qassam
L’obiezione potrebbe essere che i classici combustibili commerciali vengono impiegati per la produzione dei propellenti solidi. Dunque analizziamo il razzo più diffuso a Gaza, il Qassam. Introdotto nel 2001 e con una gittata tra i 5 e i 16km, si tratta di un’arma artigianale, prodotta in casa con materiali di facile reperibilità: per il corpo basta un tubo da ponteggio o idraulico, per le “alette” stabilizzatrici (le derive) dei pezzi di metallo tagliati a mano, per la carica di partenza un normale proiettile per fucile. E il propellente?
Sembrerà strano, ma non troverete nemmeno un grammo di benzina nel carburante dei Qassam. Gli ingredienti sono lo zucchero e il nitrato di potassio, un comune fertilizzante agricolo più conosciuto come salnitro. Combinati insieme, i due reagenti generano una spinta medio-bassa ma più che sufficiente a spingere in volo il leggero razzo palestinese. Zucchero e fertilizzante. Due sostanze facili da reperire e, soprattutto, non soggette a embargo in quanto fondamentali alla sussistenza della popolazione della striscia. Forse allora il carburante serve per le testate esplosive? Nemmeno: i Qassam hanno una massa esplodente composta da normale TNT (tritolo) di contrabbando o nitrato di urea. Un prodotto derivato, con una semplice reazione chimica, dall’urina umana. Anche qui, di combustibili commerciali, nemmeno l’ombra.
Il velo della propaganda israeliana
Difficile immaginare che servizi di intelligence efficienti come il Mossad e lo Shin Bet non sappiano che Hamas non usa il carburante per produrre razzi. Il sospetto, piuttosto, è che Tel Aviv selezioni accuratamente le informazioni da divulgare. In certi casi aggiungendo contesti verosimili ma non reali, come per i propellenti degli ordigni. In altri “dimenticando” qualcosa. Come nel caso dell’ospedale al-Shifa a Gaza City, al centro delle operazioni militari e del dibattito pubblico di questi giorni.
Lunedì 20 novembre, l’ex premier israeliano Ehud Barak ha dichiarato alla CNN che i bunker sotto la struttura sanitaria sarebbero stati costruiti da ingegneri israeliani negli anni ’80, per ampliare lo spazio operativo. Incredula, l’intervistatrice ha chiesto se si trattasse di un lapsus. Barak ha invece confermato e la clip ha fatto il giro della rete, scatenando le reazioni antisraeliane. A chiudere la polemica ci ha poi pensato Tel Aviv, che ha segnalato al New York Times che i primi bunker erano sì stati costruiti da Israele, ma che Hamas, dopo aver preso il controllo della striscia, li ha trasformati in un vasto labirinto del terrore. Dunque le dichiarazioni di Barak non negano che Hamas stia sfruttando i sotterranei dell’ospedale per i suoi obiettivi strategici, pur sollevando per un attimo il velo di propaganda che circonda da sempre il conflitto tra Israele e Palestina.
Articolo realizzato con la collaborazione di Ettore Saladini