Nel 2022 la popolazione europea torna a crescere dopo la diminuzione dovuta alla pandemia da Covid-19. Ma non in Italia dove si registra invece il maggior calo. Se in Germania c’è stato l’aumento più consistente anche grazie a un boom di nascite, il nostro Paese ha segnato il suo ennesimo record in negativo (-179.419).
Perché sta aumentando la popolazione europea
La riduzione dei cittadini europei era iniziata nel 2020, ma nell’ultimo anno c’è stata un’inversione. Nonostante si siano registrati più decessi che nascite, secondo l’Eurostat l’1 gennaio 2023 nell’Ue vivevano 448,4 milioni di persone, rispetto ai 446,7 milioni dell’anno precedente. In particolare, la popolazione è aumentata in 20 Paesi, mentre è diminuita in sette.
Ad apportare un contributo positivo nella demografia Ue è stata soprattutto l’immigrazione regolare. Una gran parte dei flussi registrati è legata all’accoglienza degli sfollati dall’Ucraina, che attualmente godono dello status di protezione temporanea da parte dell’Ue. Le previsioni sul lungo periodo indicano però una contrazione della popolazione europea di 40 milioni entro il 2050.
La tenuta del sistema economico in un Paese sempre più vecchio
Per effetto del conflitto in Ucraina, anche in Italia i residenti provenienti da Paesi terzi sono in aumento di quasi il 6% rispetto al 2021. Eppure, il calo demografico non si arresta. In Italia, come in altri 10 Paesi membri, il tasso di fertilità continua a diminuire da oltre 20 anni. Preoccupati da questa tendenza, i governi europei hanno proposto misure per affrontare la situazione.
Perché tanto allarme? L’invecchiamento della popolazione complica il bilancio dello Stato e soprattutto la tenuta del sistema pensionistico. I contributi versati da lavoratori e imprese servono infatti per pagare chi è attualmente in pensione, ma già oggi nel 37% delle province italiane il numero dei pensionati supera quello degli occupati.
L’ultimo Documento di economia e finanza prevede che la spesa totale delle pensioni cresca fino al 16,2% del Pil nel 2024 e tocchi il picco del 17% nel 2042. Negli anni sono stati introdotti dei correttivi per abbassare questa percentuale, ma gli effetti si vedranno solo dopo la progressiva scomparsa delle generazioni del baby boom.
Vite precarie
La questione centrale rimane comunque la denatalità. La premier Giorgia Meloni, il 12 maggio scorso alla giornata conclusiva degli Stati Generali della Natalità, ha ribadito quanto sia importante contrastare l’invecchiamento della popolazione costruendo «una nazione nella quale fare figli è una scelta bellissima che non ti impedisce di fare niente». L’altra faccia della medaglia della medaglia, però, è la condizione lavorativa degli under 35, proprio la generazione in età più fertile. Secondo un recente rapporto Eures, il 43% di loro guadagna meno di mille euro al mese e nel 67% dei casi ha un contratto precario. Il governo, tuttavia, ha varato un decreto lavoro che rischia di allontanare la stabilità dei lavoratori dipendenti, favorendo l’utilizzo dei contratti a termine e dei voucher per gli impieghi stagionali. Per migliorare il rapporto tra pensioni e Pil bisogna favorire la crescita del Paese, rendere sostenibile la scelta di avere figli.
Regolare i flussi migratori
Affrontare il calo della popolazione, oltre a cercare di aumentare la natalità, chiede delle misure che abbiano un’efficacia anche nel breve termine. Il governo punta sull’immigrazione regolare, approvando il decreto flussi. Nel comunicato finale del Consiglio dei ministri del 6 luglio si legge che «per il triennio 2023-2025 il governo prevede complessivamente 452 mila ingressi, rispetto a un fabbisogno rilevato di 833 mila unità». Sia nel 2023 che nel 2024 e il 2025, il numero degli stranieri in ingresso supererà quello previsto in ciascuno degli ultimi 10 anni.
A spingere verso questa decisione è stata la difficoltà a reperire lavoratori nell’agricoltura e nel turismo. Al di là delle propaganda, con questa mossa il governo di centro-destra ha ammesso la necessità di aumentare l’immigrazione.