Geopod Ep. 13 – Il peso della demografia negli equilibri tra potenze

In un celebre discorso tenuto all’Eugenics Society, l’economista britannico John Maynard Keynes affermò che in un’era di incremento della popolazione si tende a promuovere l’ottimismo, dato che la domanda è tendenzialmente più alta delle aspettative, se invece la popolazione decresce avviene il contrario: la domanda tende a deludere le aspettative e l’eccesso d’offerta è difficile da correggere. In queste situazioni si può determinare un’atmosfera di pessimismo, con il rinvio degli acquisti da parte dei consumatori, il conseguente calo degli investimenti da parte delle imprese, l’arresto o l’inversione di segno della crescita.

Già dalle affermazioni di Keynes si può intravedere come qualsiasi discorso sulla demografia di un Paese è strettamente legato a questioni economiche e politiche. Prevedere come cambierà il peso demografico di ogni nazione vuol dire capire come si potrebbero ribaltare gli attuali equilibri mondiali.

Sebbene fattori come il Pil e la forza militare vengano spesso tenuti più in considerazione, nel lungo periodo pochi fattori influenzano la competizione tra potenze quanto i cambiamenti in dimensione, capacità e caratteristiche delle popolazioni nazionali.

Gli Stati Uniti, per esempio, dalla fine della seconda guerra mondiale sono la prima potenza economica e militare. Il loro dominio si spiega grazie ad alcuni vantaggi demografici: per oltre un secolo l’America ha avuto la forza lavoro più grande e qualificata del mondo e la popolazione più istruita del pianeta.

In Europa la paura del declino economico è uno dei motivi di allarmismo, per cui si sente parlare spesso di inverno demografico. La popolazione europea ha iniziato a ridursi nel 2020. Le previsioni indicano una contrazione della popolazione di altri 40 milioni entro il 2050. Affinché una popolazione non si riduca, occorre un tasso di fertilità di almeno 2,1 nascite per donna. In tutti i 27 Paesi membri dell’Unione europea siamo sotto questa cifra e da più di un decennio, il numero di decessi ha iniziato a superare le nascite. Negli ultimi anni la popolazione europea è calata: oggi siamo circa in 447 milioni, ma ci sono 656mila persone in meno rispetto al 2020. Un calo a cui ha contribuito soprattutto l’Italia, lo Stato membro in cui la popolazione è diminuita di più e che solo nell’ultimo anno ha avuto una riduzione di 253mila abitanti.

È chiaro, però, che quando si parla di inverno demografico la questione della forza lavoro è legata anche alle politiche migratorie e agli investimenti fatti per rendere la propria popolazione sempre più qualificata e istruita. Infatti, se da una parte la popolazione europea cala, dall’altra quella mondiale continua a crescere. Siamo passati dai 2,5 miliardi di persone al mondo del 1952 ai 7,9 miliardi del 2021. Recentemente le Nazioni Unite hanno pubblicato la ventisettesima edizione del World Population Prospects, lo studio che ogni due anni aggiorna le tendenze di crescita e declino della popolazione nei diversi Paesi. Secondo le proiezioni, il 15 novembre 2022, dovremmo raggiungere la soglia degli 8 miliardi di persone, gli 8,5 miliardi nel 2030 e 9,7 miliardi nel 2050. Il picco si toccherà negli anni ’80 del 2000 con circa 10,4 miliardi di persone.

Tra gli otto Paesi che rappresenteranno da soli più della metà della crescita demografica fino al 2050, quattro sono africani. A crescere in modo più rapido e intenso, infatti, sarà l’Africa, che nei prossimi 30 anni raddoppierà il numero di abitanti, passando da 1,2 a 2,5 miliardi di persone. Entro il 2050 il 25% della popolazione mondiale sarà di origine africana. La Nigeria, per esempio, dal 2058 potrebbe contare più abitanti dell’intera Unione europea. La demografia dinamica darà cervelli e braccia all’economia, dunque chance geopolitiche alla nazione. L’Africa sub-sahariana sarà quindi caratterizzata dall’incremento della popolazione urbana, da un mercato del lavoro molto giovane e da una rapida crescita economica, ma la sfida non è semplice. Più persone vuol dire anche più consumi. La crescita demografica ed economica è accompagnata dalla sete energetica, ma nell’Africa centrale circa otto persone su dieci non hanno ancora accesso all’elettricità. Per sostenere il proprio sviluppo, i Paesi dovranno sfruttare le enormi fonti di energia rinnovabile di cui dispongono. Queste, però, sono spesso oggetto di contesa internazionale o intranazionale. L’abbondanza di risorse naturali, infatti, contribuisce in maniera significativa al perdurare di conflitti nel continente, per cui è difficile prevedere se gli Stati riusciranno a sfruttarle, costruendo anche le infrastrutture necessarie per il trasporto e la distribuzione di energia.

La questione riguarda tutti, non solo per le tensioni geopolitiche che ne possono nascere, ma anche per la sfida del cambiamento climatico. Lo sviluppo africano a basse emissioni di carbonio è fondamentale e sarà possibile solo se si svilupperà anche il settore idroelettrico. Servirà un’efficace gestione delle risorse idriche per la produzione energetica e agroalimentare e per l’approvvigionamento di acqua dolce nelle città.

Per fare un esempio di quante possibilità apre la crescita demografica, basti pensare alla Cina che da Paese prevalentemente rurale quale era al censimento tenuto nel 1953, è passata da 601 milioni di abitanti a 1,43 miliardi, diventando parallelamente la seconda potenza mondiale per Pil, dopo gli Stati Uniti, che secondo le ultime stime dovrebbe superare entro il 2030. La Repubblica Popolare è diventata più influente nella scena mondiale e sempre più competitiva anche nel settore militare e scientifico. Ogni anno la rivista Nature pubblica il suo indicatore della geopolitica della ricerca scientifica. L’ultimo report mostra che mentre i Paesi occidentali perdono ogni anno pubblicazioni scientifiche, la Cina esibisce un’evoluzione marcata. Questo risultato è stato raggiunto grazie all’aumento del numero di ricercatori e di tecnologie disponibili, insieme alle risorse infrastrutturali ed economiche.

Paese più popoloso anche nel 2021, la Cina è seguita a stretto giro dall’India, con i suoi 1,41 miliardi di abitanti, che già dall’anno prossimo dovrebbero aumentare al punto da strappare il primato alla Repubblica Popolare. L’India, infatti, continuerà a crescere e raggiungerà il picco di 1,7 miliardi di persone nel 2060. La popolazione cinese, invece, inizierà a decrescere già nei prossimi anni e a fine secolo sarà poco più della metà di oggi. Per Pechino è una debolezza rispetto alla potenza rivale per eccellenza, gli Stati Uniti, che resteranno al terzo posto anche nel 2050 e nel 2099 avranno 394 milioni di abitanti, il 17% in più del 2022.

A perdere abitanti sarà anche un’altra nemica storica degli americani, la Russia, che passerà dai 145 milioni attuali a 112 milioni a fine secolo, salvo che non inglobi altri territori e persone come sta succedendo in Ucraina dal 2014.

Un ultimo aspetto da considerare è che uno Stato con una maggiore densità di popolazione può contare molto di più nelle relazioni con gli altri Paesi: usando le proprie risorse economiche per aiutare altri Stati e per iniziative internazionali come fanno soprattutto gli Usa, investendo in nuove tecnologie e in forza militare come già detto per la Cina. È, quindi, la combinazione tra livelli di ricchezza, dimensione della popolazione e attrazione di talenti esterni, che consente poi di aver anche un ruolo più rilevante verso gli altri Paesi.

In conclusione, abbiamo visto che quando si parla di crisi demografica a preoccupare è soprattutto l’eventuale cambiamento degli equilibri economici e politici che la crescita o la diminuzione della popolazione può comportare in un determinato Paese. L’incremento della popolazione mondiale continuerà ancora per tutto questo secolo, portando a limite lo sfruttamento delle risorse del pianeta e sfidando gli equilibri tra i Paesi che da esse dipendono.

La demografia è parte integrante dei meccanismi che hanno portato alla supremazia economica dell’Occidente, ma a pesare è soprattutto il tipo di popolazione. Il futuro dell’Europa che invecchia, dipende dalla sua capacità di attrarre o formare una componente più dinamica e giovane, che maggiormente può alimentare i processi di sviluppo economico e di innovazione. La fase di declino demografico arriverà per tutti, ma con tempistiche diverse, per cui sul lungo termine, a essere sempre più rilevante nei processi di sviluppo non sarà la quantità, ma la qualità del capitale umano e la sua valorizzazione.

Puoi ascoltare qui le altre puntate di Geopod, il podcast di geopolitica.

Elisa Campisi

SONO GIORNALISTA PRATICANTE PER MASTERX. MI INTERESSO DI POLITICA, ESTERI, AMBIENTE E QUESTIONI DI GENERE. SONO LAUREATA AL DAMS (DISCIPLINE DELL’ARTE DELLA MUSICA E DELLO SPETTACOLO), TELEVISIONE E NUOVI MEDIA. HO STUDIATO DRAMMATURGIA E SCENEGGIATURA, CONSEGUENDO IL DIPLOMA TRIENNALE ALLA CIVICA SCUOLA DI TEATRO PAOLO GRASSI.

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