Come cambia il cinema al tempo della realtà virtuale? Sarà una rivoluzione o l’ennesima falsa speranza? Il professor Gianni Canova, rettore dell’Università IULM e critico cinematografico, ha già testato la nuova tecnologia. Tra immersività e dimensione sociale da ripensare, la VR non sembra essere la soluzione alla crisi delle sale.
Cosa accadrà al cinema con l’arrivo della realtà virtuale?
Ogni innovazione tecnologica porta una nuova modalità di fruizione e di consumo dei contenuti. Il cinema Anteo cercherà di unire il diavolo con l’acqua santa: l’esperienza fruitiva con l’Oculus è individuale, ma viene fatta in una sala cinematografica. Gli spettatori pagano un biglietto, si siedono su degli sgabelli, mettono i loro visori e si immergono nel loro mondo, con accanto altre persone che fanno la stessa cosa. Una sorta di ibridazione fra soggettività assoluta della fruizione e socialità del luogo in cui avviene. È una bella scommessa.
Quindi è in arrivo una radicale rivoluzione cinematografica?
Si diceva la stessa cosa quando è arrivato il sonoro. In realtà i modi di produzione sono rimasti più o meno gli stessi. Se n’è parlato anche con l’avvento del colore, eppure il cinema non è stato stravolto. Il dispositivo, la grammatica e la sintassi delle immagini sono rimasti quasi uguali dagli anni venti in poi. La VR cambierà radicalmente la fruizione, secondo scenari che però sono difficili da prefigurare.
L’introduzione di una nuova tecnologia come la realtà virtuale potrebbe risollevare i botteghini e riportare il pubblico in sala?
Non credo. Ciò che potrebbe riavvicinare lo spettatore è il prodotto. La grande narrazione. Il film capace di entrare empaticamente in sintonia con il pubblico contemporaneo. Quando una pellicola è capace di sintonizzarsi o addirittura di anticipare le immaginazioni, i sogni, i fantasmi, i desideri che circolano nella società, allora incassa. Il problema è che siamo di fronte a una crisi ideativa molto profonda. Un’industria cinematografica paralizzata dal politicamente corretto, dalla preoccupazione di non offendere nessuno. L’immaginario scatta in altro modo. Il pubblico tornerà al cinema quando ci saranno prodotti capaci di ingaggiarlo, di scuoterlo, di farlo emozionare.
Le tecnologie possono aiutare?
Storicamente si è cercato di contrastare le crisi ideative e narrative con le nuove tecnologie. Il 3D è un esempio. Quando è stato introdotto si diceva di correre nelle sale per assistere a un’immersività che il piccolo schermo non poteva dare. Ma l’idea funzionò per poco. Passata l’ebbrezza della novità tutto si è afflosciato.
Crede che accadrà lo stesso con la realtà virtuale?
La realtà virtuale introduce delle innovazioni non reversibili. Ma non sarà essa a riportare il pubblico al cinema. Anzi, la mutazione è tale per cui, a mio avviso, la VR andrà sempre di più verso una fruizione casalinga, solitaria e nomade. Nelle sale rimarrà la stessa affluenza di oggi. Sono i teatri, i registi e i grandi film che possono far riscoprire l’incanto della settima arte, la bellezza della sala buia e la sensualità di quel momento. Emozioni che, a oggi, la realtà virtuale non può offrire. Ma vedremo se in futuro l’evoluzione tecnologica permetterà di farlo.
In questa prima fase è opportuno avere entrambe le versioni del film, quindi realtà virtuale e tradizionale, o è meglio averne solo una delle due?
Non è materialmente possibile per via delle differenti tipologie di produzione. La realtà virtuale prevede una ripresa a 360 gradi. Ma questo è un aspetto interessante. Si è costretti a riprendere quasi esclusivamente in soggettiva, a differenza del cinema tradizionale che alterna oggettive e soggettive.
Quindi sarà tutto in piano sequenza?
Esatto, è una soggettiva in piano sequenza, quasi senza stacchi di montaggio. Tutto è rimosso, tranne i tagli che devono connettere una situazione o un cambio di ambiente. Questo è un limite di produzione, a livello di soggetti e durata. Come ogni tecnologia, però, anche il VR introduce dei vantaggi. Consente un’identificazione totale con lo sguardo, che è difficile da ottenere nel cinema tradizionale. Ma questo impone di rinunciare alla pluralità di punti di vista e a quella straordinaria macchina di generazione di senso che è il montaggio.