Cento giorni a bordo delle navi umanitarie nel Mediterraneo Centrale e nove viaggi tra la Grecia e i Balcani. “Formiche”, scritto e girato dal giornalista e fotoreporter Valerio Nicolosi e prodotto da Dazzle Communication, racconta le rotte migratorie verso l’Europa. «Ho scelto di stare in quei luoghi non luoghi, chiamati confini o frontiere. Punti di transito, dove il colore di un passaporto, un timbro o qualche migliaio di euro possono fare la differenza tra chi passa legalmente, chi illegalmente e chi non passa, se non rischiando la vita lungo qualche sentiero di montagna, attraverso il mare o un fiume», scrive il regista nel suo ultimo libro Il gioco sporco (successivo rispetto al film ndr).
Il ruolo dei governi nella mispercezione sui migranti
Gli ultimi dati Frontex (Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) mostrano che c’è una mispercezione sugli arrivi via mare nel nostro Paese: nel 2022 sono stati 85.000 gli attraversamenti nel Mar Mediterraneo contro i 130.000 attraverso la rotta balcanica. «La memoria recondita degli uomini fa sì che gli sbarchi via mare siano visti come un’invasione, – spiega Nicolosi – termine usato dall’allora ministro dell’Interno, Marco Minniti, che nel 2017 ha siglato un accordo con la Libia». I fondi del Memorandum d’Intesa Italia-Libia sono serviti a riorganizzare, addestrare e finanziare la Guardia costiera libica per fermare gli sbarchi sulle coste italiane. Nel documento era compresa la costruzione di quattro centri di detenzione per migranti, finanziati con un bando da sei milioni di euro. Anche con la ministra dell’Interno successiva, Luciana Lamorgese, ha mantenuto la stessa linea.
Da quel periodo in poi, le Ong (organizzazioni non governative) sono state etichettate come “taxi del mare” e tacciate di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Invece, come spiega Giorgia Linardi, portavoce di SeaWatch, presente alla proiezione di “Formiche”, queste organizzazioni preparano le persone salvate affinché non finascano nella tratta della prostituzione e nel caporalato una volta sbarcate. Cercano anche di assistere i migranti nella richiesta di asilo: mettere la spunta di rifugiato economico nel modulo di accoglienza C1 significa rischiare di finire in un CPR, centri di permanenza per il rimpatrio, in cui i migranti «vivono in delle gabbie, sottoposti a torture e a massicce dosi di psicofarmaci. Alcuni di questi tentano il suicidio», spiega Nicolosi.
Nel 2021 l’ex capo del Viminale ha stretto anche un accordo con la Tunisia, sullo stampo di quello con la Libia. Serviva a respingere i migranti che percorrono la rotta balcanica verso la Slovenia, in accordo con il Paese. Il risvolto inevitabile per i profughi era ritornare in Bosnia, confine dopo confine. Una sentenza del ministero, che verrà applicata nel 2021, ha condannato il Viminale per violazione della Costituzione e degli accordi internazionali.
Il Mar Mediterraneo: restare significa morire
«I campi sono fertili e gli uomini vagano affamati per le strade. I granai sono pieni e i figli dei poveri crescono rachitici, con i corpi coperti dalla pellagra. Le grandi imprese non sanno che c’è un confine sottile tra fame e rabbia. E i soldi che potrebbero pagare i salari se ne vanno in gas, fucili, forze dell’ordine, spie, liste nere, trivelle. Le strade brulicano di persone in cerca di lavoro e di cibo, come formiche. E in seno a esse cresce la rabbia e fermenta». Con queste parole, tratte da “Furore” (The Grapes of Wrath) di John Steinbeck, si apre il viaggio di uomini, donne e bambini in transito.
Film asciutto e diretto, Valerio Nicolosi mette insieme il materiale raccolto dal 2018 al 2021 in diverse missioni di salvataggio. Già nel 2014 aveva preso parte all’operazione Mare Nostrum, coordinata dalla Marina Militare e dalla Guardia costiera italiana, per soccorrere le persone che partivano via mare dalle coste della Libia. Organizzata dopo il naufragio del 3 ottobre 2013, dove morirono 368 persone a poche miglia dall’isola di Lampedusa, durò un anno. «È stata chiusa perché l’opinione pubblica e i media hanno iniziato a descriverla come un fattore attrattivo per i migranti. La guardia costiera si è trovata da sola a soccorrere moltissime persone; quindi, ha accolto a braccia aperte l’arrivo delle Ong», chiarisce Nicolosi.
Nei primi quattro mesi del 2023, 42.165 persone hanno attraversato il Mar Mediterraneo. «Partiamo in cerca di salvezza per non essere uccisi». Restare significa morire. La prima immagine è un’operazione di salvataggio, settantanove persone e due bambini in mare aperto. «Non si vedeva niente. Stavamo tutti giù nella barca e pregavamo. Alcuni piangevano», raccontano.
La narrazione giornalistica e lo “scudo d’Europa”
Il racconto migratorio è sempre stato de-umanizzato e politicizzato. «Il problema – spiega Nicolosi – è che il giornalismo si è appiattito sulla politica. Essere sopra le parti nel mondo dell’informazione significa essere dalla parte del più forte». “Lo scudo d’Europa”, come l’ha definito la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen, ha un confine naturale di 200 chilometri con la Turchia, quello del fiume Evros. Il termine “scudo” rimanda immediatamente all’uso dei migranti come arma impropria (sottotitolo del libro Il gioco sporco ndr) da parte della Turchia, che vuole avere voce in capitolo all’interno dell’Europa che non accetta la sua adesione all’Unione.
La Turchia, la Grecia e la rotta balcanica
A seguito dell’intensificarsi del conflitto armato a Idlib, in Siria, la Turchia pretende ancora il rispetto dell’accordo del 2016, con il quale i Paesi membri promisero sei miliardi di euro di aiuti ad Ankara per finanziare l’accoglienza di siriani e non solo, in fuga dalla fame e dalle guerre. L’apice è stato il 2020, quando il presidente turco Erdogan ha deciso di aprire le frontiere, incoraggiando i migranti presenti in Turchia a dirigersi verso la Grecia, che si sono trovati tra due eserciti che li spingevano da fronti opposti.
L’Europa esternalizza sempre di più le frontiere, «spostando le rotte migratorie, al costo di vite umane». Il “game”, la lotteria che provano a giocare ogni volta che si mettono in viaggio, inizia dalla Grecia, dal campo profughi di Lesbo, un ghetto a cielo aperto, dove è stato registrato il più alto tasso di suicidi infantili. I Paesi dell’Europa sudorientale sono diventati la terra di transito attraverso cui centinaia di migliaia di persone – rifugiati, migranti, richiedenti asilo provenienti dalle aree più instabili del Medio Oriente – cercano di raggiungere l’Unione Europea. «Al confine con la Croazia, il retro di una stazione di polizia viene usato come punto di raccolta dei migranti, che vengono bloccati e privati di qualsiasi diritto. Lì non vale più nulla», spiega Valerio Nicolosi. Chi non viene beccato, arriva fino in Italia, alla stazione di Trieste, dove ogni giorno un gruppo di volontari si dà appuntamento per offrire una prima assistenza.
Lo sguardo del regista attraverso le storie degli altri
Poche storie, sotto forma di interviste, cercano di spiegare cosa accade lungo le frontiere europee, con una sola certezza: chi le attraversa non ha un’alternativa. Vuole solo dimenticare quello che ha passato per iniziare una nuova vita. «Io sono chiaramente dalla parte dei migranti, ma con questo film ho cercato di mettermi in discussione, di essere un media tra il pubblico e gli eventi per andare a capire cosa non funziona», conclude Valerio Nicolosi.
Forse, questo documentario ci mette davanti a due parole che non sono sinonimi. Disattenzione e distrazione. La prima è una mancanza, un’omissione, è il non fare abbastanza. La seconda, invece, è un allontanamento, c’è qualcuno o qualcosa che tira dall’altra parte. Una disattenzione può costare la vita di qualcuno. Una distrazione di massa è una resa davanti alla vita di centinaia di migliaia di persone, una resa davanti alla Storia. E noi proviamo sempre a cercare un altrove davanti a queste “formiche”.