“Abbiamo sottostimato cosa può fare davvero un’autocrazia con tanti soldi e tante persone intelligenti in una situazione di controllo diffuso”, così Eric Schmidt al simposio sull’intelligenza artificiale che si è tenuto l’anno scorso a San Francisco, metteva in guardia sulla competizione con la Cina. Secondo Schmit, che per dieci anni è stato a capo di Google e oggi presiede la Commissione di sicurezza nazionale sull’intelligenza artificiale, l’occidente sta per essere coinvolto in un conflitto anche sul fronte delle nuove tecnologie e rischia di perdere proprio contro il competitor numero uno, Pechino.
Schmidt ha parlato più volte delle innovazioni nel settore come potenziali armi nelle mani del nemico. L’IA potrebbe essere usata dai terroristi e dai rivali per analizzare banche dati, creare post manipolatori e controllare i cittadini come avviene già in Cina con il riconoscimento facciale. Ma quali sono i vantaggi di queste nuove tecnologie e soprattutto, al di là dei proclami degli ultimi mesi, a che punto siamo con lo sviluppo di questi sistemi?
Per capire meglio le potenzialità dell’IA, ho invitato Antonio Pescapè, docente dell’Università Federico II di Napoli, che si occupa di intelligenza artificiale applicata a internet.
Negli ultimi mesi si è parlato molto della competizione tra le grandi aziende, Meta e Google in primis, per lo sviluppo delle IA specializzate nella conversazione e la creazione di testi. Quali sono, però, al momento i principali impieghi dell’IA e in quali settori verrà usata in futuro?
Antonio Pescapè: È un termine che comprende tante cose: pattern recognition, la visione artificiale, il ragionamento automatico, la teoria dei giochi, la robotica cognitiva e anche delle cose invece che appunto vengono impropriamente chiamate intelligenza artificiale, classificate meglio come per esempio il machine learning che è quello che viene utilizzato pesantemente oggi insieme al processamento del linguaggio naturale. Quindi quello che abbiamo visto in quest’ultimo periodo, per esempio con Chat Gpt, è questo utilizzo massivo delle tecnologie di intelligenza artificiale, nello specifico machine learning e processamento del linguaggio naturale per una intelligenza artificiale cosiddetta generativa, quindi quella che è in grado di generare i contenuti ex novo, quindi di produrre dopo essere stato addestrata dei contenuti. Un argomento di questo tipo ovviamente diventa interessante per una serie di realtà operative: tutto verrà toccato da questo tipo di tecnologia.
Ritornando a quello che dicevo all’inizio, quindi dell’intelligenza artificiale come termine che comprende tante tecnologie differenti, gli ambiti sono praticamente tutti. Se ne vogliamo citare qualcuno sicuramente quello della medicina è già toccato pesantemente dalle tecnologie dell’intelligenza artificiale, ma lo sarà sempre di più. Immaginiamo, per esempio, la diagnostica per immagini, quindi la capacità di osservare delle immagini e di fare delle diagnosi. È un tema sicuramente già sviluppatissimo e lo sarà sempre più man mano che le tecnologie saranno più performanti. Tra tutti gli ambiti è sicuramente uno dei più promettenti.
Lei finora ha parlato dei vantaggi, ma ci sono degli svantaggi o dei rischi in questa nuova tecnologia?
Antonio Pescapè: In Europa si sta molto ragionando su questo tema perché l’intelligenza artificiale per essere adottata deve avere una serie di caratteristiche: essere etica – che è già complicatissimo – trasparente, affidabile, antropocentrica, inclusiva, responsabile e soprattutto neutrale. Non sempre è neutrale. Le applicazioni sono prodotte dagli uomini che non sono neutrali e non sono come le donne. Questa società è affetta da bias di genere e questi inevitabilmente si ripercuotono anche negli algoritmi dell’intelligenza artificiale. Per fare un esempio, ci può essere il rischio che produciamo un’intelligenza artificiale che è molto simile a l’uomo e quindi sessista, macista razzista, etc…
Un altro tema è quello dell’affidabilità, intesa come qualcosa che può orientare il comportamento, il modo di pensare e di agire delle persone. Le faccio un esempio. Noi già oggi quando utilizziamo un motore di ricerca nei fatti siamo molto influenzati dal risultato del motore di ricerca sulla cosa che stiamo cercando. Lì però si tratta solo di un motore di ricerca, che propone secondo un algoritmo, che peraltro non conosciamo, un elenco di cose associate a quello che noi stiamo cercando. Quando questi sistemi non saranno più solamente dei motori di ricerca, ma saranno dei sistemi a cui chiediamo delle informazioni molto più strutturate, facciamo l’esempio di Chat Gpt, ai quali di costruire un contenuto per noi, lei capisce bene che il tema dell’orientamento diventa molto serio. Quindi bisogna essere molto consapevoli del fatto che questi strumenti producono delle cose che possono avere poi un impatto su chi su li utilizza. La consapevolezza prima di tutto.
Lei non vede dei rischi anche dal punto di vista bellico?
Antonio Pescapè: La tecnologia è sempre molto usata nei conflitti. È successo nella prima guerra mondiale, nella seconda e in altre che purtroppo si sono susseguite, compresa quella attuale tra Russia e Ucraina. In particolar modo, relativamente all’intelligenza artificiale, è stata pesantemente impiegata. Per esempio con armi automatiche e autonome, quelle che vanno sotto il nome di droni. Questi hanno una massiva presenza di intelligenza artificiale che serve ad arrivare sul target, di riconoscere l’obiettivo, che vuol dire usare un sistema di riconoscimento delle immagini. Così portano a termine una missione.
Ma ci sono anche altri esempi di guerra. Quella invisibile degli attacchi informatici che sono stati sferrati durante il conflitto: molto di questo è stato fatto con l’intelligenza artificiale che viene usata anche per difendersi. Purtroppo l’elenco è molto lungo: ci sono anche tecnologie molto consolidate in guerra, come per esempio le mine che con l’IA riconoscono le persone che la calpestano e possono esplodere o meno. Ovviamente, stiamo parlando di tecnologie che non sempre hanno accuratezza, per cui non è detto che funzionino come devono. Una cosa è sbagliare quando stiamo utilizzando Chat Gpt, un’altra sbagliare quando qualcuno ha messo il piede su una mina. Insomma, gli ho fatto giusto tre esempi per dirle per dirle che l’IA è stata e viene pesantemente usata anche in guerra.
Sappiamo che Stati Uniti e Cina detengono gran parte dell’innovazione in questo settore. In Europa e in particolare in Italia, a che punto siamo? Ci sono investimenti, ricerche o sviluppi interessanti anche qui?
Antonio Pescapè: La situazione che abbiamo visto con il caso di Chat Gpt è un esempio del quadro attuale. Ci sono due grandi potenze, che in questo momento sono gli Stati Uniti e la Cina, come diceva correttamente lei, e da sempre si sono confrontati su questi temi. Le faccio un esempio noto a tutti. Amazon, che è una piattaforma americana, ha il suo corrispettivo ben più grande che è Alibaba in Cina. Insomma, il più grande e-commerce che noi conosciamo in Europa ha la sua controparte ben più grande lì, tra l’altro è nata prima e muove più merci. Quindi questo parallelo c’è sempre stato, non solamente sull’intelligenza artificiale. C’è anche adesso il fatto che l’interesse per l’IA ha un po’ cambiato gli equilibri all’interno delle Big Tech americane. Si è visto come Google stia avendo nei fatti delle difficoltà per stare dietro agli sviluppi di Chat Gpt, che è partito come un progetto di Open AI e poi è stato acquistato da Microsoft.
In Europa siamo abbastanza indietro, scontiamo pesantemente una dipendenza verso il sistema americano. In Europa, ma soprattutto in Italia, abbiamo smesso da tempo di produrre tecnologie e siamo diventati gli utilizzatori. C’è qualche buon esempio europeo, soprattutto in Germania con la SAP, ma in Italia abbiamo smesso da tempo, mentre in realtà eravamo pionieri con il pc e altre tecnologie. L’Italia è il Paese che ha inventato l’Mp3, quindi la musica insomma ha avuto una diffusione grazie agli sviluppi tecnologici italiani. Poi abbiamo abbandonato questa strada.
Ci sono però delle esperienze importanti anche qui. Abbiamo il consorzio nazionale dell’informatica che tiene insieme tutte le Università e unisce tutti i ricercatori italiani. È partito un dottorato nazionale post laurea e altri ne sono partiti più verticali in diversi settori, come per esempio l’automotive e l’agricoltura, col tema dell’agritech. Quindi la ricerca fa sicuramente tanto. Quello che manca un pochino è l’investimento da parte dello Stato e delle grandi aziende, che tendono a non essere leader in questi ambiti. Per cui sicuramente siamo più indietro, ma è anche vero che l’Italia con l’Europa possono essere quel luogo che in qualche modo queste tecnologie, tra virgolette, provano a normarle, cercando di mettere l’uomo al centro. Se no si rischia, da un lato con l’approccio americano e quindi guidato dal mercato, da un altro con quello cinese molto governativo e centralizzato, di perdere di vista il fatto che questa deve essere, come dicevo prima, una tecnologia innanzitutto antropocentrica.
Il futuro lo vedo quasi sempre in maniera positiva per un motivo molto semplice: perché non c’è assolutamente possibilità di fuggire dal futuro. Mentre dal passato ci si può provare, dal futuro non c’è scampo perché sicuramente arriverà. Peraltro l’innovazione è l’unica risposta che possiamo dare perché o innoviamo o moriamo. Quello che dobbiamo fare però è non subire questo processo. Dobbiamo evitare che questo processo sia un processo che è guidato esclusivamente dal mercato. Purtroppo l’abbiamo visto già con una serie di temi, per esempio a proposito dei social network o di diverse applicazioni utilizzate molto dai più giovani. Va fatto uno sviluppo che in qualche modo, come dicevo prima, sia legato al miglioramento della vita di tutti i giorni e non semplicemente all’incremento di margini e fatturati di aziende. Se guardano solamente questo aspetto qui, allora sono un po’ preoccupato perché vedo un futuro che non ha l’uomo al centro e suo il bene, ma invece un interesse esclusivamente di natura economica.
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