Storico, curatore, direttore e, prima di tutto, appassionato. Eike Schmidt, classe ’68, dirige le Gallerie degli Uffizi, il più importante museo italiano.
Laureato in Lettere all’Università di Heidelberg, si trasferisce a Bologna per il Dottorato di ricerca in Storia dell’arte. La sua prima esperienza fiorentina inizia nel 1995. Per i cinque anni successivi, ricopre l’incarico di borsista al Kunsthistorisches Institut. Nel 2001, vola oltreoceano per lavorare come curatore prima della National Gallery of Art di Washington D.C. e poi del J. Paul Getty Museum di Los Angeles. Dopo aver diretto il dipartimento di Scultura e Arti Decorative della casa d’aste londinese Sotheby’s, nel 2015 ritorna a Firenze. Da allora, è a capo degli Uffizi, primo direttore straniero nella storia del museo fiorentino.
«I giovani hanno compreso che il museo può essere un luogo figo» ci racconta Schmidt, ideatore di politiche che hanno portato le nuove generazioni a visitare le quasi 2mila opere esposte nelle Gallerie. Il direttore, poi, non nasconde lo scetticismo nei confronti degli attacchi da parte di attivisti ambientali promotori della «disobbedienza civile nonviolenta contro il collasso climatico».
Perché gli Uffizi si sono proposti di adottare strategie per attirare i più giovani?
Crede che includere influencer, come Chiara Ferragni, possa aiutare a rivitalizzare l’arte tra i giovani?
I giovani possono trainare i più anziani. La visita di Chiara Ferragni (12 giugno 2020, ndr) ci ha portato il + 27% di visitatori under 25 già nel fine settimana successivo. Questo valore si è protratto per tutto l’anno. I giovani venivano al museo vestiti da discoteca, perché hanno compreso che il museo può essere un luogo figo. Molti di questi, poi, hanno portato anche i loro genitori. Ancora più di Ferragni, è stato importante il nostro sbarco su TikTok. Siamo oggi il primo museo in Italia con 125 mila followers, oltre che tra i primi al mondo. Questo aiuta ad avere una prima relazione con le opere d’arte, anche autoironica. L’idea non è banalizzare l’arte, ma avere un approccio non pesante e simpatico che faccia capire che ci sono molte strade verso le opere. L’arte non è monodimensionale, ma ha molti messaggi rinchiusi in sé. Per questo può essere rilevante per tutti noi.
Nell’ultimo periodo ci sono stati attacchi nei musei da parte di attivisti ambientali appartenenti a Ultima Generazione. Questi ritengono che le persone si preoccupino più dell’arte che della natura. Qual è la sua posizione a riguardo?
Vista la sua carriera, ha notato grandi differenze tra i musei italiani, in particolare gli Uffizi, e quelli esteri?
Ci sono delle enormi differenze tra gli Uffizi – un museo sui generis – e tutti gli altri musei del sistema italiano. Non soltanto per numero di visitatori e per spazio espositivo, ma anche per consistenza e carattere delle collezioni. Guardando oltre i confini nazionali, le differenze sono ancora più visibili, soprattutto a livello direzionale. La gestione fra un museo americano e uno europeo è diversa. Quelli inglesi si collocano a metà strada, forse un po’ più verso i sistemi americani. In altri Paesi, come Grecia e Russia, il sistema museale è gestito in modo simile a quello italiano.
Per quanto riguarda la gestione dei musei, ci sono grandi cambiamenti tra l’Italia e il resto del mondo?
Per quanto riguarda questa parziale autonomia, di cosa si occupa il direttore degli Uffizi?
La parziale autonomia si riferisce a quattro campi. In primo luogo, c’è l’autonomia scientifico-artistica, ad esempio l’allestimento di mostre. Per coordinare e convalidare queste scelte esiste un comitato scientifico. Poi ci sono un’autonomia finanziaria e una di bilancio. Per queste due, e per l’ultima – l’autonomia organizzativa – esiste come in ogni azienda il Cda di cui il Direttore è il Presidente. Quest’ultimo prende le decisioni strategiche che, siccome siamo all’interno di un sistema statale, sono risposte a strategie che vengono da Roma. Questa sincronizzazione a livello nazionale la vedo come un vantaggio, qualcosa che talvolta all’estero non esiste. Se due musei entrano in una concorrenza non regolata statalmente, c’è il rischio che possa essere controproducente. Il problema, però, è che per quanto riguarda le risorse umane – fondamentali in un’azienda – non abbiamo alcuna voce in capitolo. Questo è il grande vero fallo ancora nel sistema attuale.
E per quanto riguarda le collezioni, gli Uffizi agiscono sul mercato di opere d’arte?
Quale quadro vorrebbe assolutamente esporre nel suo museo?
Non menziono un quadro in un altro museo perché ovviamente dovrei derubarli. E nemmeno le opere d’arte che in questo momento sono sul mercato e sui cui abbiamo messo i nostri occhi. Un’opera d’arte che ipoteticamente desidero avere nel nostro museo è un Vermeer. Avrebbe un enorme senso all’interno delle nostre collezioni. Ma sul mercato d’arte ce ne sono soltanto uno o due esemplari ogni secolo. E purtroppo ne abbiamo già avuto uno meno di 50 anni. Del resto, si creerebbe un’enorme concorrenza tra collezionisti privati: tutti i miliardari del mondo vogliono avere un Vermeer. Un’altra opera d’arte, leggermente meno da science fiction, è un autoritratto di Frida Kahlo. Abbiamo la collezione più grande e più antica di autoritratti al mondo, ci manca solo il suo. Anche questi non sono frequenti, ma bisogna avere la pazienza e i fondi per poterlo acquistare. O magari un donatore.
Quale fra le opere presenti agli Uffizi è la sua preferita?
Quali sono i vostri progetti per il prossimo futuro?
Abbiamo attualmente circa 140 progetti in atto, alcuni più grandi e altri più piccoli. Non posso citarli tutti quanti. Quelli più imminenti sono l’inaugurazione delle nuove gallerie dedicate proprio agli autoritratti ed il corridoio vasariano. Ci stiamo lavorando ogni giorno, presto potremo annunciare delle date.