Quelli non sono mafiosi, non sono romani, non sono manco italiani. Mentre i Casamonica diventavano giganti, Roma ne sottovalutava la crescita e l’imposizione sul territorio della Capitale. Chiamati “nomadi” o “zingaracci”, sono stati ridotti a un fenomeno da baraccone, da circo, vandali confinati nel loro ghetto di una borgata romana. Così sono diventati la famiglia criminale più potente del Lazio, con stretti rapporti con le ‘ndrine calabresi.
La sentenza
Il clan dei Casamonica è mafia. Dopo oltre sei ore di camera di consiglio, i giudici della Corte d’Appello di Roma hanno emesso una sentenza di condanna a carico di circa 40 persone, accusate di associazione mafiosa dedita al traffico e allo spaccio di droga, estorsione, usura e detenzione illegale di armi radicata nell’area sud-est di Roma.
Già in primo grado, il 20 settembre 2021, erano state stabilite 44 condanne per oltre 400 anni di carcere. Il Tribunale di Roma, nella sentenza di condanna con rito abbreviato, definiva il clan come “un sodalizio che esercita il suo predominio sfruttando la fama criminale conquistata negli anni dall’intera rete familiare ottenendo – grazie alla condizione di assoggettamento e di intimidazione della popolazione – prestazioni contrattuali non retribuite, servizi e pratiche non consentite”.
Ieri, nell’aula bunker di Rebibbia, i giudici hanno confermato l’impianto accusatorio riconoscendo il 416 bis (associazione a delinquere di stampo mafioso), escludendo soltanto l’aggravante dell’associazione armata. «È una decisione equilibrata, che si incanala nel solco di altre sentenze come quelle sui clan Spada, Fasciani, Gambacurta che hanno riconosciuto l’esistenza della mafia nel territorio laziale» ha dichiarato Francesco Mollace, sostituto procuratore generale, insieme ai pubblici ministeri Giovanni Musarò e Stefano Luciani.
Agenzia criminale di servizi
Un’agenzia criminale di servizi. Estorsione, spaccio, corruzione, racket, riciclaggio di denaro, sfruttamento della prostituzione, appalti, usura, scommesse sportive, gioco d’azzardo, oltre che omicidi, furti, rapine. Secondo la relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia), riferita al primo semestre del 2021, hanno un patrimonio stimato di 90 milioni di euro.
Famiglia di origine sinti, i primi esponenti dei Casamonica arrivano a Roma alla fine degli Anni ‘30 da Tortoreto, in provincia di Teramo. Altri giungono da Pescara e da Venafro, in Molise. La loro attività era il commercio di cavalli, muli e somari sui terreni di cui si erano impossessati, senza che nessuno dicesse nulla. In questi terreni hanno poi costruito case e ville lussuose. Hanno svolto servizi per alcuni esponenti della banda della Magliana, organizzazione criminale mafiosa che ha operato tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta a Roma.
Con Vittorio Casamonica il clan si arricchisce e diventa potente. Nel 1990, quando per il fisco era nullatenente, aveva invece un patrimonio miliardario. Se ne accorsero tutti al suo funerale, il 20 agosto 2015, con manifesti ovunque che lo ritraevano con il Colosseo e la Basilica di San Pietro sullo sfondo e la scritta “Re di Roma”. Su altri c’era scritto: «Hai conquistato Roma ora conquisterai il paradiso». Con la sua morte, la reggenza passa al cugino Luciano Casamonica.
Spirito di mutuo soccorso e di omertà
Vicolo di Porta Furba, tra via del Mandrione e via Tuscolana, è stata la roccaforte del clan mafioso. Il gruppo criminale è una galassia, formata da diversi nuclei familiari autonomi tra di loro, ma tutti connotati da un comune senso di appartenenza e da uno spirito di mutuo soccorso. Un unicum, dunque, nel panorama delle organizzazioni malavitose italiane. Scrive così il giornalista Nello Trocchia nel libro “Casamonica. Viaggio nel mondo parallelo del clan che ha conquistato Roma”: «Quando le istituzioni sono mancanti, poco credibili, i poteri presenti sul territorio vengono riconosciuti dai cittadini che a essi rispondono e soprattutto in essi si identificano. L’omertà è conseguenza dell’assenza di poteri statuali e non ha radici geografiche».