«L’analisi dei divari tra uomini e donne evidenzia come la crisi generata dalla pandemia abbia avuto effetti differenziati in base al sesso». Lo dice la sottosegretaria al Ministero economia e finanze Maria Cecilia Guerra, che nei prossimi giorni presenterà in Parlamento il Bilancio di genere dell’Italia, relativo all’esercizio finanziario 2020.
Come è cambiato il mondo del lavoro
I dati raccolti dal ministero hanno evidenziato che per la prima volta dal 2013 l’occupazione femminile è tornata a scendere e nel 2020 è al 49%. Il peggioramento della situazione rispetto al 2019 è dell’1%. Si allarga anche la forbice del divario tra occupazione femminile e maschile, al 18,2%. A essere colpite dalla crisi generata dal Covid-19 e dalla conseguente perdita del lavoro sono state soprattutto le donne più giovani e quelle del Sud, dove le lavoratrici sono solo il 32,5%.
Risulta ancora più difficile mantenere il posto di lavoro se si hanno dei figli piccoli: «Sono numeri drammatici che evidenziano una discriminazione nella discriminazione – sottolinea Guerra – l’aggravarsi della situazione delle madri, soprattutto quelle più giovani, dimostra, come se ve ne fosse ancora bisogno, che al di là della retorica del sostegno alla maternità, nel nostro Paese figli e lavoro continuano a essere largamente inconciliabili».
Il bilancio familiare
Se si connettono questi dati a quelli dell’Inps sui beneficiari dei congedi parentali Covid, ci si rende conto che questa incompatibilità tra genitorialità e lavoro riguarda quasi esclusivamente le donne, le quali, ancora oggi, hanno sulle proprie spalle il carico del lavoro di cura. Solo il 21% dei minori sono stati presi in carico dai padri, contro il 79% che sono stati presi in carico dalle madri. La decisione arriva quasi sempre per motivi di convenienza economica. I dati infatti raccontano che le lavoratrici sono costrette al part-time molto più spesso di quanto non capiti agli uomini, i loro lavori sono più precari e meno pagati. In Italia cresce sì il numero di padri che beneficiano del congedo di paternità, ma sempre meno che negli altri Paesi europei.
Il nostro Paese rimane agli ultimi posti anche per numero di giorni concessi al padre per occuparsi di un figlio (10 giorni obbligatori più 1 facoltativo da detrarre alla maternità). Agli antipodi la Germania, dove i giorni di congedo per entrambi i genitori sono fino a 36 mesi (14 dei quali retribuiti dallo stato), ma fanno meglio dell’Italia anche Spagna, Svezia, Portogallo, Francia, Belgio e Svizzera. Questo probabilmente spiega, in parte, anche perché l’Italia è ultima nell’Unione europea per numero di nuovi nati rispetto ai residenti.
L’inverno demografico: il problema non è solo delle donne
Congedi parentali ben remunerati e incentivati favoriscono la crescita demografica, che sappiamo essere molto importante per la tenuta economica di un Paese. È ormai evidente che la natalità è maggiore negli stati che hanno un tasso di occupazione femminile più alto e dove è minore il gender gap sia nel mondo del lavoro che nella cura della famiglia. A beneficiare dell’aumento di occupazione femminile sarebbe persino il Pil del Paese. Alcune notizie che si sono succedute negli ultimi giorni restituiscono una fotografia di quanto l’Italia sia lontana dal traguardo.
Colpisce per esempio tra le altre cose, che tra i 58 delegati scelti dai Consigli regionali per eleggere il prossimo presidente della Repubblica ci siano solo 6 donne; che si parli di una presidente della Repubblica donna, ma spesso non si riesca a formulare un nome da scegliere per motivazioni che prescindano dal suo genere; che nel 2020 non ci sia nessuna donna amministratore delegato nelle grandi aziende quotate nella Borsa italiana; che se si rivelasse fondata l’accusa delle assistenti di volo Alitalia in merito alle assunzioni per Ita, si dimostrerebbe che in Italia le donne nella fascia 35-50 vengono maggiormente discriminate dai sistemi di assunzione.
Articolo a cura di Elisa Campisi