Si è autodefinito «l’uomo più grande che sia mai esistito». Del resto, si è anche autoincoronato imperatore. A 200 anni dalla sua morte, Napoleone Bonaparte viene ancora identificato come un essere dalle capacità superiori, in grado da solo di mettere a ferro e fuoco per vent’anni l’intera Europa. La sua figura, tuttavia, è ricca di contraddizioni: al grande statista è stato sempre contrapposto il feroce guerrafondaio. Già nell’ottocento infatti, a chi, come Alessandro Manzoni, ha dedicato un’ode alla sua leggenda, Il cinque maggio, si è contrapposto chi, come Ugo Foscolo, lo ha dapprima invocato come liberatore per poi ribattezzarlo traditore.
Far convivere entrambi gli aspetti è possibile. Lo ha fatto Ernesto Ferrero, scrittore, in passato direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino nonché direttore editoriale di Einaudi e direttore letterario di Mondadori. L’Imperatore è un «personaggio molto contraddittorio, scisso tra grandi meriti e grandi colpe», che se non è il più grande uomo mai esistito, «diciamo che sì, può stare sul podio». Della complessità di Napoleone, Ferrero ha dato atto nelle sue opere. Lo ha fatto in N., il romanzo vincitore del Premio Strega che ripercorre l’esilio del Bonaparte sull’Isola d’Elba. Ci è altresì riuscito nelle Lezioni Napoleoniche e nel suo saggio Napoleone in venti parole, in libreria dal 30 marzo 2021, che rappresenta il condensato di vent’anni di studi sull’Imperatore dei francesi.
Lo statista
Ernesto Ferrero, come ha potuto un semplice borghese dominare quasi l’intera Europa?
Questo è il prodigio che ha colpito gli europei e continua a interrogarci dopo duecento anni. Diciamo che è stato un torrente di energia, di capacità, di determinazione, di lucidità visionaria, di volontà. Ma anche di senso pratico. Era un uomo che sapeva fare letteralmente di tutto, che si sapeva sporcare le mani.
Sapeva fare tutto e infatti fu un grande amministratore: qual era il metodo di lavoro di Napoleone?
Il suo metodo era fondato sulla conoscenza, sulla competenza, sulla professionalità. Sapeva tutto perché si documentava, studiava, approfondiva, aveva posto il libro alla base del suo metodo di lavoro. Lavorava sulla valutazione di fatti, dati certi, numeri, cose misurabili. Nulla di impressionistico, di emotivo, di approssimativo.
Su dati certi e numeri si fonda l’economia. Napoleone eccelse anche in questa scienza?
Certamente. Si comportava da buon padre di famiglia, non voleva far debiti. Tutto doveva avere un budget, e quel budget doveva essere rispettato al centesimo. Era bravissimo in quello che al giorno d’oggi chiamiamo controllo di gestione.
Giurista, mecenate e comunicatore
Fu un formidabile statista quindi. Ma tra i suoi meriti c’è anche quello di aver creato il primo codice civile moderno, il Code Napoléon, ancora in vigore in Francia.
Il Code civil è un modello di leggi chiare, ben scritte, fatte per ridurre le liti e le furberie degli avvocati. Un fattore di civiltà. Non a caso è rimasto il fondamento di tanti sistemi giuridici, compreso il nostro.
Che rapporto ebbe invece con l’arte e la cultura?
Napoleone è stato anche un grande Ministro della cultura. Diceva che le cose più importanti al mondo si realizzano proprio con la cultura. Tra l’altro, ha fatto del Louvre un grande museo nazionale. Vero che lo ha arricchito con i furti di tanti capolavori italiani, ma ha fatto passare il principio che l’arte deve essere offerta al grande pubblico, non restare appannaggio di pochi privilegiati collezionisti, perché ha un forte valore educativo. Non a caso anche i re di Napoli, di Spagna e di Sassonia hanno poi aperto al pubblico le loro collezioni.
Statista, mecenate, altresì grande comunicatore. Lei ne da atto nel suo saggio, dove spiega che Napoleone ha imparato presto a usare il potere delle parole sugli uomini.
Sì, è stato un mago della comunicazione, un grande narratore di se stesso. Sapeva trovare le parole giuste per ognuno dei suoi interlocutori. Sapeva colpire le fantasie, raccontare le favole che volevano da lui.
“Ogni soldato francese porta nella sua giberna il bastone di maresciallo di Francia”
Lo stratega
Ma per garantire un dominio incontrastato, come a lungo fu quello napoleonico, al consenso deve associarsi la forza militare. Che metodologia bellica adoperò Napoleone?
Le strategie belliche di Napoleone, basate sulla estrema mobilità, hanno fatto scuola e sono state studiate da von Clausewitz, il grande generale prussiano autore del Della guerra. Le hanno imparate presto anche i suoi nemici. Questo spiega perché le battaglie degli ultimi anni siano state così sanguinose.
Tra di esse la più emblematica fu Waterloo. Quali furono i precedenti errori dell’Imperatore e cosa non funzionò in Belgio?
I due grandi errori di Napoleone sono stati l’invasione della Spagna e della Russia, che gli hanno scatenato contro una guerra di popolo. Aveva sottovalutato le sensibilità e le suscettibilità nazionali. A Waterloo ci fu anche una serie di cause sfortunate, come il fango che rallentò le operazioni, o gli ordini partiti in ritardo, che non rispecchiavano più la situazione. A vincere furono i prussiani, più che gli inglesi.
Quale fu invece l’apice dell’impero napoleonico?
Credo che il vertice creativo sia stato toccato durante il Consolato, dove la sua azione riformatrice è stata straordinaria. Poi le continue guerre, molto costose, hanno minato l’Impero anche dal punto di vista finanziario.
Il mito e il suo rovescio
Tornando ai giorni nostri. Cosa ha reso il mito di Napoleone immortale e la sua figura ancora degna di ammirazione a 200 anni dalla sua morte?
Il grande merito di Napoleone è quello di avere chiesto a ognuno, amico o nemico, di misurarsi con se stesso, di andare oltre i propri limiti. È stato un suscitatore di energie, di ambizioni. È stato il fondatore della modernità in tanti campi, dalla gestione dello Stato alla comunicazione. Un costruttore, un fondatore che si è rovinato con il gioco d’azzardo della guerra, ma che ha ancora molto da insegnare: la meritocrazia, il culto dei budget da rispettare al centesimo, la grandiosità di progetti visionari ma realizzabili, la capacità di programmazione, il dovere di promulgare leggi chiare e ben scritte, il gusto maniacale del dettaglio, la lotta contro la spaventosa burocrazia imbrattacarte, gli investimenti sull’istruzione e la formazione, l’importanza della conoscenza, della competenza e della professionalità. Tutte cose che oggi ci sogniamo.
Eppure alla sua epoca Bonaparte, che da molti fu visto come un liberatore, da altri fu considerato un despota assassino. Lei ne da atto nel romanzo N.: Martino Acquabona, il protagonista, sogna infatti di uccidere l’Imperatore.
La cosa difficile ma intrigante è proprio questa, conciliare le due facce del mostro: il sommo statista, e il guerrafondaio aggressivo che fa un milione di morti sui campi di battaglia. Nel romanzo N. ho proprio voluto raccontare questa attrazione/ripulsa.
Chiudiamo allora con le altre sue opere. Cosa l’ha spinta a pubblicare nel 2002 le Lezioni Napoleoniche e, nel 2021, Napoleone in venti parole?
Napoleone è una specie di continente che non si finisce mai di esplorare. In lui c’è sempre qualcosa da capire, da scoprire. Non si lascia mai afferrare sino in fondo.