Domenica 11 aprile si sono tenute le elezioni presidenziali peruviane, che hanno visto il sindacalista Pedro Castillo, 51 anni, andare al ballottaggio con Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente, attualmente incarcerato Alberto Fujimori (1990-2000). Da una parte un esponente di una sinistra tanto radicale quanto conservatrice, dichiaratamente anti-abortista ma intenzionato a riscrivere la costituzione fujimorista, dall’altra l’esponente della destra più populista, figlia di un genocida, responsabile della sterilizzazione di migliaia di donne indigene nella regione andina del paese durante gli anni ‘90. Figlia che, a sua volta, è indagata per corruzione, ma che continua a negare. Castillo ha ottenuto il 19%, mentre Fujimori il 13%: non abbastanza per passare il primo turno, che contava ben 18 candidati. Il secondo turno si terrà il prossimo 6 giugno.
I precedenti
La crisi politica e sociale culminata nelle proteste di novembre 2020, in cui in una settimana si sono susseguiti 3 presidenti, dopo l’impeachment di Martín Vizcarra, ha portato la gran parte della popolazione peruviana a una condizione di estrema vulnerabilità. In soli 5 anni il Perù ha visto succedersi 4 diversi presidenti e 2 Congressi. I sondaggi, al giorno delle elezioni, contavano un 15% di cittadini intenzionati a lasciare scheda bianca.
A un anno da inizio pandemia, il Perù detiene il primato in tutto il Sudamerica di morti pro capite, e tra le più alte fatalità del pianeta, in base a quanto dichiarato dall’Università Johns Hopkins University. In moltissimi affetti da covid sono deceduti a causa del mancato accesso a ossigeno o ventilatori. I ritardi nella campagna vaccinale, insieme alla rivelazione risalente allo scorso febbraio, in cui diversi politici avrebbero avuto accesso al vaccino segretamente mesi prima del resto della popolazione, hanno portato la fiducia nella classe politica ai minimi storici.
Pedro Castillo, conservatore di sinistra
L’insegnante cinquantunenne di Cajamarca, regione rurale andina del nord del Perù, ha iniziato la sua carriera nel 2002, con una candidatura a sindaco non andata a buon fine. Nel 2017 è diventato figura di riferimento durante uno sciopero di 3 mesi degli insegnanti in lotta per l’aumento della paga, fino all’ottobre 2020, quando ha annunciato la sua candidatura a presidente della Repubblica per il partito di sinistra Perù Libre. In un paese in cui la centralizzazione economica, politica e sociale ricade sulla capitale Lima, un leader proveniente dalla provincia andina è di particolare impatto. Mentre a Lima, infatti, Castillo non è tra i primi 4 candidati più votati, l’aspirante presidente socialista e marxista di Perù Libre è stato il primo in 16 delle 26 circoscrizioni elettorali del Perù.
Nonostante si consideri di sinistra e sia supportato da Evo Morales, Castillo è conservatore al pari della rivale Fujimori: contrario al focus sul genere in età scolastica, è pro-vita e pro-famiglia, opponendosi anche ad aborto, matrimonio egualitario ed eutanasia.
Nelle ultime settimane ha affermato che il suo piano redistributivo economico consiste nella nazionalizzazione del gas e di imprese del settore minerario, petrolifero, idroenergetico, nella rinegoziazione di contratti e trattati, così come nel rendere obbligatorio che le multinazionali rendano parte dei loro ingressi al paese.
Castillo promette modificare la costituzione del Perú e portare a termine una riforma economica in cui lo Stato assuma un ruolo fondamentale per il mercato. Piano di governo che inquieta le destre e, in particolare, l’avversaria Fujimori.
Keiko e la memoria corta dei peruviani
La quarantacinquenne ed ex Congressista, esponente del partito di destra Fuerza Popular, si era già candidata alle elezioni, senza successo, nel 2016 e 2011. Il padre ed ex presidente Alberto Fujimori, sta attualmente scontando una pena in carcere di 25 anni per violazione dei diritti umani, che la figlia ha più volte definito “errori di percorso,” corruzione, peculato e abuso di potere.
Sostenitrice del mercato libero, Keiko Fujimori garantisce che userà gli ingressi dell’industria mineraria per far ripartire l’economia. Ancora in corso le indagini per corruzione e riciclaggio di denaro, che la leader di Fuerza Popular ha accusato avere alla base “motivazioni politiche”. Tra il 2018 e il 2020 ha trascorso 13 mesi in carcere.
Lo scrittore e vincitore del Nobel in Letteratura, Mario Vargas Llosa, si è recentemente pronunciato in favore della candidata di Fuerza Popular, Keiko Fujimori, di fronte al prossimo ballottaggio con Pedro Castillo. Il premio Nobel peruviano, stabile in Spagna, considera le misure economiche proposte da Castillo, caratteristiche di una “società comunista,” come ha scritto sulla sua colonna de La República. “Ho la convinzione assoluta che se Castillo e le sue visioni vincono al secondo turno, non ci saranno più elezioni pulite in Perù, dove anzi diventeranno una parodia come quelle organizzate di tanto in tanto da Nicolás Maduro in Venezuela.” Vargas Llosa procede dunque con l’aperto sostegno a Keiko Fujimori, che definisce il “male minore” e l’unica via per la “salvezza della democrazia”. In una storia ciclica che ricalca quella del padre, Fujimori è quindi già venduta come l’unica opzione democratica, di fronte al marxista, leninista, castrista Castillo.
Da molti definita una vera e propria dinastia, i Fujimori hanno fatto della corruzione, autoritarismo e violazione di diritti umani la loro forma di governare, volta a distruggere ogni parvenza di istituzionalità e rubare milioni di dollari dalle casse pubbliche, lasciando sul lastrico un intero Stato. L’attuale vigenza della costituzione neoliberale del 1993, istituita da Alberto Fujimori, ne è la dimostrazione. Uno “sviluppo economico peruviano che arriva sempre ad alcuni, ma che è eternamente negato ad altri,” scrive la giornalista Gabriela Wiener su El Diario. Su Twitter si legge, “il popolo ha memoria.”