La Svizzera segue quanto fatto da altri Paesi europei e introduce il divieto di dissimulare il volto nei luoghi pubblici. L’iniziativa anti-burqa della destra conservatrice ha ottenuto domenica 7 Marzo la doppia maggioranza di popolo e Cantoni con il 51,2% dei voti a favore.
Il quesito del referendum chiedeva: «Sei favorevole al divieto delle coperture totali del viso?». Non si faceva alcun riferimento esplicito al burqa o al niqab, anche se gran parte delle reazioni si sono concentrate proprio su questo aspetto poiché il tema è molto dibattuto da anni in Svizzera.
LA LEGGE
La legge prevede che nessuno possa coprirsi completamente il viso in pubblico, sia nei negozi che all’aria aperta. Le uniche eccezioni sono quelle previste per i luoghi di culto. Per l’approvazione non bastava la maggioranza dei voti, ma anche l’approvazione da parte della maggioranza dei 26 cantoni svizzeri.
Il referendum “Sì al divieto di dissimulare il proprio viso”, o iniziativa anti-burqa, come è stata chiamata, ha ottenuto il 51,2% dei voti a favore con 20 Cantoni su 26 sull’onda del sì. La legge ha voluto vietare la dissimulazione del volto negli spazi pubblici: nello specifico vieta anche la copertura del viso, con passamontagna e bandane usati nelle manifestazioni ed impedisce di nascondere il volto per uno scopo criminale o terroristico.
L’ironia della sorte ha voluto che si votasse durante la pandemia e in una fase in cui è ampiamente diffuso l’utilizzo di mascherine sanitarie. È stato così per via dei tempi tecnici, ma in realtà i promotori dell’iniziativa si erano mossi già negli anni scorsi su questo tema e su altri analoghi. Una parte di loro aveva già avuto successo nel 2009, con il sì (al 57%) al divieto di costruzione di nuovi minareti in Svizzera (sono rimasti i quattro già esistenti).
La proposta è stata lanciata a gennaio dal Comitato di Egerkingen, che riunisce politici di destra e attivisti conservatori, per essere poi sostenuta da numerosi rappresentanti del principale partito del Paese, l’Unione Democratica di Centro (UDC/destra conservatrice), mentre il Governo e il Parlamento hanno ritenuto eccessiva l’iniziativa, in considerazione del basso numero di casi di burqa o niqab in Svizzera.
L’esito del referendum dovrà ora essere inserito nella legislazione federale trattandosi di una modifica alla Costituzione federale.
I FAVOREVOLI
La campagna per il Sì ha richiamato esplicitamente slogan come “Stop all’islam radicale” e “Stop all’estremismo”, anche se la legge è volta a ridurre anche gli episodi di violenza sportiva e ultras. I promotori del sì al divieto di dissimulazione hanno precisato che l’obiettivo dell’iniziativa prevede eccezioni per motivi di salute, di condizioni climatiche (sport invernali), di usanze locali (carnevali).
L’accettazione dell’iniziativa anti-burqa è un voto di buon senso, secondo il comitato d’iniziativa, per il quale si tratta di “un chiaro segnale” a favore della libertà religiosa. «Il popolo elvetico ha voluto confermare il modello democratico basato sui valori ebraico-cristiani (…) che fa il successo della Svizzera da 700 anni», ha detto all’agenzia Keystone-ATS Yohan Ziehli, membro del comitato d’iniziativa e assistente di ricerca presso l’UDC.
Inoltre, il voto è rivelatore di una presa di coscienza sulla violenza sportiva e sull’Islam, sostiene Mohamed Hamdaoui, esponente dell’Alleanza del Centro e membro di un comitato a favore della modifica costituzionale. Secondo Hamdaoui occorreva stabilire in modo chiaro che «la lotta contro l’hooliganismo non può essere lasciata ai Cantoni». Nel contempo, era necessario lanciare «un segnale forte contro l’islamismo e non contro i musulmani, che hanno evidentemente il loro spazio nella Confederazione».
In questo senso la lettura dell’esito del voto di Saïda Keller-Messahli, fondatrice del Forum per un islam progressista, è positiva. Secondo lei «il sì trasversale al divieto di burqa e niqab è da interpretare come un no a un’ideologia totalitaria che non ha diritto di esistere in una democrazia». A suo avviso il segnale sarà molto ben compreso sia in Svizzera che all’estero.
I CONTRARI
Il no è stato motivato con due ragioni: per la tutela delle donne occorre certo lavorare, ma con altri percorsi; la competenza in materia è soprattutto dei Cantoni (sinora il divieto per burqa e niqab vigeva solo in Ticino e in San Gallo). Governo e Parlamento hanno sostenuto un controprogetto, che prevedeva l’obbligo di mostrare il viso alle autorità solo nei casi di identitificazione.
Il voto è certo contro tutte le forme di dissimulazione del volto in pubblico – anche durante manifestazioni politiche o eventi sportivi – ma è chiaro che di fatto è rivolto soprattutto contro l’abbigliamento prescritto per le donne nelle parti più tradizionaliste, o direttamente integraliste, dell’Islam.
«Non è stato risolto nessun problema, nulla cambia e nemmeno i diritti delle donne sono progrediti», ha commentato il presidente del gruppo socialista alla Camere federali Roger Nordmann. A suo avviso i voti favorevoli hanno giocato su due fattori: quello discriminatorio dell’UDC contro gli stranieri e quello laico contro i simboli religiosi nello spazio pubblico.
Sulla stessa linea, la sezione svizzera di Amnesty International ha deplorato una nuova iniziativa «che discrimina una determinata comunità religiosa» e che alimenta le divisioni e le paure. Il divieto del velo integrale non è una misura volta alla liberazione delle donne. Al contrario, viola la libertà di espressione e di religione.