Per quanto sia grande e complesso un problema, da qualche parte bisogna pur cominciare per trovare una soluzione. Se il problema in questione è il sempre più controverso rapporto tra Stati e Big Tech, le nuove norme introdotte dall’Australia per regolamentare l’utilizzo di contenuti editoriali su Facebook sono una buona partenza. Poco importa, almeno per il momento, se Canberra ha dovuto ridimensionare le sue pretese nei confronti del colosso di Menlo Park. Da qualche parte, appunto, si doveva pur cominciare.
Il nuovo regolamento introdotto in Australia
L’accordo tra Canberra e Facebook è stato trovato. Il ministro delle Finanze australiano, Josh Frydenberg, e l’amministratore delegato di Facebook Australia, Will Easton, hanno dichiarato di aver trovato un compromesso. Dopo le polemiche e le nette contrapposizioni delle scorse settimane, «Nei prossimi giorni» Facebook revocherà il blocco media in Australia.
Lo scontro è nato in seguito a una legge introdotta il 7 febbraio scorso dal governo del primo ministro australiano Scott John Morrison: il News Media and Digital Platforms Mandatory Bargaining Code. Il nuovo regolamento obbliga i nuovi media digitali a pagare gli editori, tramite un accordo privato forfettario, per i contenuti che quotidianamente circolano sulle piattaforme.
L’accordo con Google
La prima grande azienda a trovare un accordo con i media locali, seppur dopo un’iniziale diffidenza, è stata Google. La compagnia di Mountain View ha concordato una lettera d’intenti che la porterà a pagare oltre 30 milioni di dollari australiani – 19 milioni di euro – l’anno, per acquisire il diritto all’utilizzo dei contenuti di Nine Entertainment Co, uno dei maggiori gruppi di media australiani.
Il braccio di ferro con Facebook
L’ostilità di Facebook verso questo regolamento, invece, era stata palesata fin dall’estate, attraverso le parole di Mark Zuckerberg, Ceo e fondatore del noto social network: «Il provvedimento sfida la logica e danneggia la vitalità a lungo termine del settore giornalistico e dei media australiani», aveva dichiarato il fondatore di Facebook, aggiungendo che, in caso di approvazione della legge, la sua piattaforma avrebbe bloccato la condivisione delle notizie.
Così è stato. Facebook ha risposto all’approvazione del nuovo regolamento ingaggiando un braccio di ferro con Canberra. Gli utenti australiani, per 5 giorni, non hanno potuto accedere alle pagine dei media australiani o esteri. Ad aggravare la posizione del social di Menlo Park ci si è messo anche un errore commesso dalla stessa piattaforma: oltre ai diversi media nazionali e esteri, per gli utenti australiani è stato impossibile raggiungere numerosi servizi governativi, fra cui quelli sanitari, di polizia e di emergenza. Una dura rappresaglia da parte di Facebook che, complice l’oscuramento delle pagine legate all’emergenza Covid, ha avuto una risonanza molto forte anche all’estero.
«Una mossa arrogante quanto deludente» secondo Morrison, il quale aveva annunciato di voler coinvolgere altri Stati in una battaglia – quella contro lo strapotere delle Big Tech – che non è di interesse solo per l’Australia. Le dichiarazioni del premier australiano hanno scatenato nuovamente un dibattito mai chiuso sul controverso rapporto tra Stati e grandi multinazionali dell’IT. Facebook è stato costretto a fare un deciso passo indietro e a scusarsi, attraverso le parole del direttore esecutivo dell’area Asia-Pacifico, Simon Milner.
L’Unione Europea osserva interessata
Accettate le scuse, l’accordo tra le parti è stato trovato e ora il meccanismo in “stile Australia” diventa un potenziale paradigma da applicare in futuro, in tutto il mondo. Negli ultimi mesi anche l’Unione Europea ha intensificato gli sforzi normativi in questa direzione. La pandemia ha spostato gran parte delle attività quotidiane online, accrescendo ulteriormente la centralità delle multinazionali IT nei processi contemporanei, siano essi economici, informativi o politici.
La necessità di un ridimensionamento del ruolo delle Big Tech è ben chiaro ai vertici dell’Ue, come sottolineato dalle dichiarazioni della vice presidente della Commissione Europea, Margrethe Vestager: «L’importanza delle grandi aziende tecnologiche per la società è cambiata radicalmente negli ultimi cinque anni. Ma nella crisi del coronavirus sono emersi con chiarezza anche i problemi», spiega. Poi aggiunge: «Sono già stati avviati molti procedimenti in materia di concorrenza contro grandi aziende tecnologiche e l’Ue sta lavorando su regole che stabiliscano chiaramente ciò che un’azienda può o non può fare».
Il provvedimento di Canberra può diventare il giusto apripista per l’approvazione di accordi analoghi, che limitino lo strapotere delle Big Tech. È solo il primo passo, ma da qualche parte bisognava pur cominciare.