La parola populismo è diventata una scatola vuota, tanto è stata riempita. È un populista Salvini, ma lo sono anche Grillo, Trump, Bolsonaro, come a loro tempo lo furono Bossi e Berlusconi. Sono populiste delle agende politiche, ma anche dei linguaggi, dei partiti, delle strategie di propaganda, degli atteggiamenti. E a guardare i giornali la situazione può solo peggiorare: l’abuso del termine è infatti da prima pagina. Un uso così largo inevitabilmente tradisce un’insicurezza di fondo: non riusciamo a inquadrare un fenomeno attuale e dilagante, che sta riplasmando in radice e a tutte le latitudini, le tradizionali democrazie contemporanee.
Se l’accademia è concorde su qualcosa lo è sul fatto che i populisti sanno più che cosa non sono, rispetto a che cosa sono, ma in questa sede proveremo comunque ad attribuirgli delle costanti.
Una pratica politica politica fondata sull’ “anti-“
Innanzitutto i populisti sono dei manichei, tracciano delle linee tra il Bene e il Male, formulando giudizi secondo un’opposizione radicale di vero e falso, senza ammettere sfumature, e collocandosi politicamente e strategicamente dalla parte del “giusto”: contro le élite. Questo modo di “fare politica” si definisce infatti sempre per differenza, come se, citando la celebre Non chiederci la parola del 1925 di Montale: «Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». E il soggetto contro cui il populismo si definisce per opposizione, sfoderando valori antitetici, varia con il cambiare dei tempi, ma soprattutto dei governi. Oggi populismo significa essere contro l’élite neoliberale, ieri (con Berlusconi) significava essere contro quella socialdemocratica.
Linguaggi e canali comunicativi
Dal “mi consenta” berlusconiano al “lo avete fatto voi” di Grillo, anche il linguaggio populista ha i suoi comun denominatori: è popolare, spesso rozzo e lontano dal “politichese”, che è il linguaggio dell’élite per eccellenza. Alternativi a quelli tradizionali sono anche i canali comunicativi che il populismo sceglie per la sua propaganda: nel ’94 Berlusconi si affidò alla televisione, nel 2009 il Movimento Cinque stelle a internet.
Volti, partiti e ideologie diversi, ma etichettati con la stessa parola – certamente polisemica ma indubbiamente abusata – condividono un’ulteriore costante, essere pre-ideologici: nei populisti prima si osserva la postura propagandistica, quindi il soggetto da contrastare, e solo in seguito le idee.
Dall’Ottocento a oggi: breve storia del populismo
Nonostante sia un fenomeno cocentemente attuale, in realtà il populismo nasce a fine Ottocento con il movimento politico russo Narodničestvo, da “narod” “popolo”, e con il People’s Party “Partito del popolo” negli Stati Uniti, due movimenti che si autoproclamarono populisti e che avevano ben chiaro l’antagonista da contrastare: il regime zarista per la Russia, le banche e le ferrovie per gli Stati Uniti. In Italia, quasi un secolo dopo, nel ’92, il populismo emerge con la Lega Nord di Bossi e in seguito con Forza Italia di Berlusconi. Il “populismo puro” lo si registra però con il Movimento Cinque Stelle, che annovera da subito quest’etichetta come principale. Ma “Historia magistra vitae” in questo caso non funziona, perché a non funzionare è proprio la parola populista. A parte alcune costanti, come il linguaggio o la postura pre-ideologica, rimane il fatto che populismo è un termine legittimo ma troppo generico, da cui dovremmo sforzarci di partorire delle specificità per ordinare il reale e saperlo chiamare.
(1 – continua)