A pochi giorni dal 4 maggio, che segna l’inizio della Fase 2 in Italia, anche il settore del fast fashion mostra segnali di sofferenza.
La multinazionale svedese H&M, che in Italia conta 180 negozi e 5.550 dipendenti, ha annunciato che 8 punti vendita non riapriranno. Serrande abbassate il 4 maggio per due di Milano e di Bari. Tra agosto e novembre chiuderanno poi altri quattro negozi a Vicenza, a Vassano, a Grosseto e a Gorizia.
Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs, i sindacati di categoria che con la direzione italiana di H&M hanno sottoscritto nel 2018 il primo contratto integrativo aziendale, sostengono che queste chiusure alimentano la preoccupazione per il futuro di centinaia di lavoratori. Le tre sigle richiamano la direzione di H&M alla responsabilità sociale d’impresa, anche sul piano internazionale.
Il comunicato dei sindacati
In un comunicato congiunto, diffuso tra i lavoratori, i sindacati definiscono «una scelta cinica e irresponsabile» puntare «alla sostenibilità economica nel lungo periodo», che «uccide la speranza di migliaia di lavoratori e lavoratrici per una ripresa complicata ma possibile».
«Non possiamo certo credere che ci sia concretezza dietro alla paradossale e insensata affermazione che chiudere oggi farà guadagnare altri 72 anni», si legge ancora nella nota. È per questo che i sindacati hanno chiesto «che cessino immediatamente da parte dell’azienda gli annunci che stanno creando un clima di sofferenza ed apprensione, in un momento in cui è richiesta lucidità e impegno per affrontare la complicatissima Fase 2».
Il declino della moda low cost
Il fast fashion teme danni irreversibili. Il fallimento del colosso americano Forever 21 costituisce un esempio delle difficoltà che la moda low cost sta affrontando. Secondo il giornale economico online statunitense Quartz, una delle ipotesi da prendere in considerazione è che «il fast fashion stia morendo».
L’epilogo dell’avventura del colosso americano si spiega con il fatto che, sempre secondo Quartz, «nella sua corsa alla crescita, Forever 21 ha intrapreso una rapida espansione globale, che si è rivelata più complicata e costosa di quanto si aspettasse».
Sembra emergere una generale diminuzione dell’interesse per questo tipo di shopping, anche a fronte della crescente consapevolezza dei danni che la moda low cost causa all’ambiente. Tutto ciò potrebbe creare danni incalcolabili a marchi come H&M, appunto, e Zara, che già negli ultimi hanno registrato un rallentamento delle vendite.