È il 7 settembre del 2012 quando Amanda Todd carica su YouTube un video dal titolo My story: struggling, bullying, suicide and self harm (la mia storia: lotta, bullismo, suicidio e autolesionismo). Alcune settimane dopo totalizza 11.823,419 visualizzazioni, ma per Amanda è troppo tardi: la studentessa si è già impiccata nella sua cameretta a Port Coquitlam, in Canada.
«Sono ancora qui – scriveva – non ho nessuno, ho bisogno di qualcuno». Il grido disperato di una ragazzina che, a soli sedici anni, aveva già vissuto sulla sua pelle tutto l’orrore del bullismo e del cyberbullismo. La triste storia di Amanda, fatta di attacchi di panico, cambi di città, abuso di droghe e tentativi di suicidio, era iniziata nel 2009. A condurla alla morte una foto che la ritraeva a seno nudo concessa a un ragazzo di cui si fidava, ma poi finita sul web.
Sempre nel 2012 a Roma, dopo mesi di derisioni, a togliersi la vita è stato Andrea Spezzacatena, il «ragazzo dai pantaloni rosa». Si trattava del colore assunto da un paio di jeans dopo un bucato riuscito male. Ma era ironico Andrea. Anziché arrabbiarsi con la madre, aveva indossato volentieri quei pantaloni, divenuti tuttavia per diverso tempo oggetto di derisioni su Facebook. L’ha fatta finita legandosi una sciarpa al collo. Andrea aveva 15 anni.
Carolina Picchio invece di anni ne aveva 14 quando si è gettata nel vuoto. Qualche tempo prima, al termine di una serata alcolica, era stato caricato in rete un video in cui alcuni ragazzi mimavano atti sessuali nei suoi confronti e il suo profilo Facebook si era riempito di insulti. Troppi per lei. «Le parole fanno più male delle botte», aveva scritto prima di volare giù dalla finestra di casa sua a Novara nel gennaio del 2013 e porre fine a una vita diventata insopportabile per colpa di un gruppo di bulli.
Un drammatico epilogo che è stato la spinta perché in Italia si cominciasse a lavorare in Parlamento a una legge sul cyberbullismo, la Legge Ferrara, uno strumento per i ragazzi dai 14 anni in su per difendersi e segnalare abusi.
Anche Amy Everett, baby star australiana soprannominata «Dolly» da quando aveva prestato il suo volto ad una nota azienda di cappelli, è una vittima del cyberbullismo. Quando si è diffusa la notizia della sua morte, il 3 gennaio 2018, l’intera comunità ne è rimasta sconvolta e l’eco dell’episodio è stato mondiale. Amy, da tempo oggetto di minacce e offese da parte degli haters, non ha retto il peso delle angherie lanciatele via social e l’ha fatta finita, a 14 anni.
Tra i fatti di cronaca che più hanno sollecitato l’opinione pubblica, una menzione particolare spetta alla vicenda di Tiziana Cantone, che non era un’adolescente.
Il 13 settembre del 2016 il cadavere della trentunenne è stato trovato nella sua abitazione in provincia di Napoli, con al collo un foulard. La decisione di compiere il gesto estremo è arrivata in seguito alla gogna mediatica scaturita dalla diffusione sul web di alcuni video divenuti in breve virali, che consapevolmente la riprendevano in atteggiamenti intimi con il fidanzato. Pagine Facebook, meme e siti pornografci: il volto della 31enne compariva ovunque. Inutile l’appello al riconoscimento del diritto all’oblio, inutile l’accusa di violazione della privacy: a distanza di anni quei video circolano ancora in rete.
Un problema globale
Amanda, Andre, Carolina, Amy, Tiziana sono solo alcuni dei nomi di adolescenti che negli ultimi anni si sono tolti la vita spinti da una persecuzione via internet. Vittime del cyberbullismo: ovvero quando la potenzialità del web si unisce con la tecnologia per diventare strumento di tortura fisica, ma soprattutto psicologica.
Un tragico copione che si ripete in ogni angolo del mondo. Storie così simili tra loro che vengono i brividi a leggerle, casi che hanno scosso le coscienze a livello internazionale.
Le ultime stime in Italia
Il problema di portata globale fa gridare all’allarme sociale. In Italia bullismo (16%) e cyberbullismo (quasi al 15%) sono i fenomeni più temuti subito dopo violenza sessuale (31,73%) e droghe (24,76%) e a confermarlo sono i risultati dell’indagine realizzata dall’Osservatorio InDifesa di Terre des Hommes e ScuolaZoo. La rilevazione è stata condotta su un campione di 8mila ragazzi e ragazze delle scuole secondarie sui temi della violenza, delle discriminazioni e stereotipi di genere, del bullismo, del cyberbullismo e sexting. I dati sono stati diffusi in occasione della Giornata Nazionale contro bullismo e cyberbullismo a scuola e del Safer Internet Day.
Se il 46% dei maschi ha raccontato di essere stato vittima di bullismo da parte dei compagni, il cyberbullismo colpisce invece di più le ragazze (12,4%). A questo si somma la sofferenza provocata dai commenti a sfondo sessuale, subìti dal 32% delle ragazze, contro il 6,7% dei ragazzi. La violenza in rete viene percepita da 4 adolescenti su 10 (39,7%); a essere più preoccupati sono i maschi (43,2%), rispetto alle femmine (38,2%). Al secondo posto troviamo la paura di diventare bersaglio di trolling – provocazioni in rete – e di subire molestie online, con il 37,3%. Qui ad essere più preoccupate sono le ragazze (39,5%). La perdita della propria privacy è considerato un rischio dal 33,1% degli adolescenti, con lo scarto di un punto tra femmine e maschi, a favore di quest’ultimi. Il 32% delle ragazze teme di diventare bersaglio di appellativi volgari, cosa che preoccupa solo il 21,8% dei ragazzi.
Essere adescate online è l’incubo da una ragazza su tre (28,4%). Chi vive queste esperienze sviluppa sentimenti di vergogna, ansia e malessere. Ma sono gli stessi adolescenti ad ammettere di non essere stati solo vittime: un ragazzo su 10 dice di essere stato anche “carnefice”, mentre la percentuale si dimezza quando a rispondere al questionario sono le ragazze.
Secondo quanto emerge da un’altra indagine condotta dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps), più del 50% dei ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 17 anni ha subito episodi di bullismo. Tra quelli che invece utilizzano frequentemente il cellulare – precisamente l’85,8% – oltre il 20% riferisce di essere stato vittima di cyberbullismo.
Giuseppe Di Mauro, presidente dell’Associazione scientifica, ha spiegato che i dati «aiutano noi specialisti e le famiglie ad avere una fotografia chiara di un fenomeno ancora in espansione e che necessita di una lotta congiunta di tutti gli attori coinvolti, istituzioni, famiglie e specialisti sanitari». Già ma come?
Le difficoltà dei genitori nel controllare le attività dei figli in rete
Il cyberbullismo va combattuto alla radice e affrontato anche con il dialogo costante da parte dei genitori con i figli. I ragazzi infatti spesso faticano a immaginare le conseguenze di una parola fuori posto, anche scritta su un social. Questa mancata assunzione di responsabilità involontaria nel prevedere una reazione futura di chi viene attaccato, porta a parole superficiali espresse con leggerezza. Soprattutto in rete, dove si tende a inquadrare qualcuno immediatamente, anche con pochi elementi a disposizione.
Un’indagine dell’associazione Social Warning-Movimento Etico Digitale mette in evidenza come gli adulti facciano fatica a impartire regole precise in famiglia per vivere con serenità il web. La maggior parte degli adolescenti naviga in rete da sola senza alcun controllo dei genitori, che spesso non sono interessati a ciò che i loro ragazzi fanno online. Il messaggio primario che dovrebbe passare è che il rispetto per gli altri passa anche durante la navigazione, che sia un gioco multiplayer online, in una chat o in un social. In realtà solo nel 55% delle famiglie dei ragazzi, intervistati sempre dall’Osservatorio, vengono date limitazioni sull’uso della rete.
L’altro dato che dovrebbe far riflettere è che quattro ragazzi su dieci, tra i 12 e i 16 anni di età, si imbattono in episodi di cyberbullismo navigando in rete o utilizzando i social media. Davide Dal Maso, primo docente in Italia ad aver portato l’educazione civica digitale tra i banchi di scuola, racconta all’ANSA come «sia sempre più necessario costruire un ponte tra genitori analogici e figli digitali, per arrivare a un sano equilibrio tra vita online e offline».
Il 47% degli adolescenti coinvolti nella rilevazione di Social Warning ha precisato di non essersi mai confrontato con la famiglia sul tema dell’educazione al web. Eppure il 32% dei ragazzi tra i 12 e 16 anni trascorre sul web dalle due alle quattro ore al giorno. Un altro elemento significativo che emerge dall’indagine è che il 35% dei giovani dimostra di non conoscere fino in fondo le regole base per tutelare la propria web reputation.
Serve consapevolezza
Dal 2017, il 7 febbraio si celebra la giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo. La data, concomitante con il Safer Internet Day – dedicato a eventi e iniziative per il corretto uso di Internet – è un segnale importante dell’impegno delle istituzioni contro una piaga che prende sempre più piede tra i giovani.
L’amicizia è anche questione di responsabilità. Quando tendi una mano fai la differenza
Non lasciare che un tuo amico resti indietro.
Fai sempre in modo di avere #ilcuoredallapartegiusta#giornatamondialecontroilbullismo #7febbraio#lamiciziaèunacosaseria#bullismo#cyberbullismo pic.twitter.com/l4Y92oAylL— Polizia di Stato (@poliziadistato) February 7, 2020
Si tratta di due appuntamenti fondamentali per bambini, ragazzi e adulti: un’occasione per mostrare consapevolezza nei confronti del fenomeno e imparare a contrastarlo, vicini e insieme. Perché, se ci pensiamo bene, la vera forza del cyberbullismo è proprio l’assenza di fisicità.
L’oppressore non ha contatti con la vittima, se non virtuali. Le ferite però sono reali. È opportuno dunque ritornare all’umano, potenziando l’esperienza del contatto fisico, puntando sul dialogo emozionale e l’ascolto attivo.
Le iniziative
Tantissime le iniziative promosse in tutta Italia. In Campania, per esempio, con la Legge Regionale contro il bullismo e cyberbullismo è stata istituita una settimana all’insegna dell’educazione e della prevenzione, rivolta ai giovani.
Per “invertire la marcia” un mega truck in giro per le cinque provincie, con l’obiettivo di fermare lo schema comportamentale e ragionare sulle proprie azioni in società, partendo da alcune semplici domande.
Parole in ordine
Come è cambiato oggi il linguaggio? Le persone comprendono pienamente il valore di ciò che scrivono sui social media?
È partita da questi interrogativi la Commissione Pari Opportunità dell’Ordine dei Giornalisti della Campania, che ha aderito al Manifesto della Comunicazione non ostile. Ne è nato un progetto che rimette al centro le parole, strumento quotidiano del mestiere del giornalista. Con «Parole in Ordine» vengono sanciti 10 principi che parlano ai giovani per sollecitare in loro una riflessione su quanto vivono quotidianamente online.
L’intervista di MasterX al Consigliere Regionale della Liguria Pippo Rossetti
Il consigliere regionale Pd della Liguria Pippo Rossetti è il primo firmatario di una proposta di modifica della legge numero sei del 2009, quella che regola le politiche sui minori.
Due articoli che consentono di concentrare l’attenzione sul cyberbullismo attraverso maggiore sostegno ai soggetti che subiscono violenze online, alla formazione degli insegnanti sul tema, ma anche dei genitori affinchè possano educare i propri figli alla rete.
Raggiunto telefonicamente da MasterX Rossetti ha voluto precisare che «gli articoli consentiranno di aprire un fondo di 20mila euro da usare contro il cyberbullismo. Una cifra simbolica e che non basta, ma siamo all’opposizione e seppur i tempi prima delle prossime elezioni ci siano, siamo a fine legislatura. Come a dire: mettiamo un mattoncino ora, focalizziamo l’attenzione sul problema e poi in futuro si continuerà da queste fondamenta».
Quello che auspica Rossetti è la creazione di una sinergia costante tra la scuola e le famiglie attraverso una struttura definita dove gli insegnanti possano fare da filtro tra bambini e genitori: «Gli investimenti serviranno a finanziare dei professionisti e a incentivare la scuola a usare lo smarthphone piuttosto che levarlo, ma educando i ragazzi ad un corretto utilizzo. Devono chiedersi chi è quella persona che gli scrive, che li contatta, che li aggiunge. Le fonti del web sono sicure? Bisogna spronarli a farsi questi interrogativi. E consentire ai genitori di poter verificare la navigazione online dei propri figli».
Stamattina a Telenord abbiamo parlato di cyberbullismo e della proposta di legge recante la “Disciplina degli interventi regionali per la prevenzione e il contrasto del Bullismo e del Cyberbullismo”, della quale sono primo firmatario. Dal 2017 a oggi, tranne alcune iniziative sporadiche di scuole e territorio, la Regione non si è fatta protagonista di una politica di sistema; penso che la legge debba imporre a qualunque amministrazione di costruire e potenziare un osservatorio sul fenomeno.#cyberbullismo #bullismo
Pubblicato da Pippo Rossetti su Mercoledì 5 febbraio 2020
La presenza di un Fondo consentirà anche la creazione di una linea condivisa che «faciliti le denunce dei soggetti coinvolti e che possa tutelare chi segnala questi episodi. In un ambiente predisposto ad affrontare il problema è più facile denunciare. Anche perché spesso i ragazzi fanno fatica a parlare e il cyberbullismo porta a delle conseguenze di ritorno e sommerse con anni di frustrazione e emarginazione».
Il Consigliere ha poi concluso con una riflessione molto interessante: «Io ho 56 anni e dei figli grandi. Ma in ogni caso noi genitori non sappiamo cosa facciano i nostri ragazzi in rete. Quando tornano da scuola gli chiediamo come è andata la giornata, non ci viene in mente di chiedergli se e come hanno utilizzato il web».
Con la speranza futura di «poter utilizzare i dati dell’Osservatorio Nazionale in materia tale da individuare con precisione le scuole, i luoghi o le zone dove intervenire».