Un’altra giornata di tensione per l’acciaieria ex-Ilva e i suoi lavoratori. Arcelor Mittal, il gruppo franco-indiano che controlla l’acciaieria, ha dichiarato ormai una settimana fa di voler strappare il contratto tramite recesso legittimo, ma in realtà sta trattando col governo italiano. Il premier Conte ieri è arrivato a Taranto, a dimostrare che il governo si sta prendendo le sue responsabilità, ricevendo il plauso anche di Carlo Calenda, l’ex ministro dello sviluppo economico che trovò l’investitore franco-indiano. Una mossa da leader, ma che non basterà a risolvere la situazione con un’azienda che non ha fatto mistero di volersene semplicemente andare. Ma, secondo il governo, il recesso sarebbe illegittimo. Quindi si va avanti a oltranza. Questo accade nelle segrete stanze, in pubblico i politici continuano a strumentalizzare la vicenda l’uno contro l’altro.
Di Maio è l’ultimo a essersene occupato. Ha ultimato l’accordo con Mittal, ha annunciato di aver risolto la crisi in 3 mesi. Non è andata così, e ora, essendo ancora al governo, rischia di restare col cerino in mano e diventare il capro espiatorio politico di questa crisi gravissima, dove a restare col cerino in mano non saranno solo i politici italiani, che faranno il solito scaricabarile, ma una città di 200.000 abitanti, Taranto.
Di Maio, intervenendo a Uno Mattina, ha dichiarato:«L’Italia deve farsi rispettare e far rispettare un contratto, dispiace che i sovranisti stiano dall’altra parte». Questa la stoccata a Salvini e alla Lega, che per Di Maio “potevano fare loro la manovra, dall’opposizione è facile criticare”. Il capo politico del Movimento 5 Stelle poi ha continuato: “Il tema non è lo scudo penale: il tema è che ArcelorMittal deve rispettare un contratto”. Ma i franco-indiani vogliono lasciare a casa altri 5.000 lavoratori. Domani probabilmente ci sarà un altro incontro con i vertici del gruppo franco-indiano. Landini, il segretario della Cgil, ha chiesto che il governo eviti la chiusura a ogni costo, anche mettendo “una quota”. Qualcuno spera ancora nella nazionalizzazione.