17,5% alle parlamentari, 13,1% alle europee: i recenti risultati dei Veri Finlandesi non sono un inedito nella storia del movimento. Già nella precedente tornata elettorale, infatti, i consensi si erano rispettivamente attestati al 17,7% e al 12,9%. Eppure se n’è cominciato a parlare diffusamente solo ora, anche in Italia. Il motivo? Il netto cambio di pelle che il partito ha vissuto nel 2017, quando alla sua guida è stato eletto Jussi Kristian Halla-aho. L’uomo che ha tramutato quella che prima era una formazione catto-conservatrice di centrodestra in un movimento populista dai toni sempre più estremi. Che adesso è diventato il secondo partito nazionale, primo dell’opposizione.
I Veri Finlandesi sono stati fondati nel 1995 da Timo Soini, ultimo segretario del Partito Rurale Finlandese, raggiungendo però i primi risultati di rilievo soltanto alle parlamentari del 2011. Nel 2015 la svolta: entrata nella coalizione di governo del centrista Sipilä e conseguente malcontento nella sua ala più intransigente. Dissidi definitivamente esplosi quando, due anni fa, Halla-aho si è aggiudicato le primarie contro il candidato moderato Sampo Terho, sostenuto da Soini. Preoccupato per la deriva estremista dei suoi alleati, il premier Sipilä ha minacciato una crisi di governo. Ne è scaturita una scissione interna, con la fuoriuscita dal partito di Soini e degli altri ministri dell’esecutivo, confluiti in un nuovo soggetto politico.
Tornati all’opposizione, i Veri Finlandesi hanno dunque maturato la loro attuale ideologia, senz’altro collocabile nell’alveo dei populismi europei. A dimostrarlo, le numerose analogie con la Lega di Salvini. Anche Halla-aho, per esempio, ha sbilanciato verso l’etnonazionalismo i connotati originari del partito: i Veri Finlandesi si ergono a difensori dell’identità culturale e delle tradizioni del Paese, e anche per questo si dicono fortemente contrari all’immigrazione, specie quella islamica. Naturale quindi la critica verso la moneta unica e l’Unione Europea, vista come un organismo centralizzato che soffoca le singole sovranità nazionali.
Ma è soprattutto costante la presenza di un elemento tipico di ogni populismo: la retorica del contrasto tra un’élite ingorda e corrotta e il comune cittadino, onesto e lavoratore. Questo, al pari della Lega, anche tramite aggressive campagne social. Largo è l’uso di video dai toni aspri e provocatori con cui si attacca direttamente l’establishment, anche tramite l’uso figurato della violenza.
Più sfumata, ma comunque presente, l’opposizione ai matrimoni omosessuali e all’adozione per le coppie dello stesso sesso, probabilmente alla luce dell’elevata sensibilità ai diritti civili già presente nel Paese.
Importanti differenze sono invece riscontrabili in ambito economico-fiscale: i Veri Finlandesi si schierano dalla parte delle classi produttrici – una diretta eredità del vecchio partito rurale – sostenendo politiche più volte definite affini a quelle socialiste. Si battono ad esempio contro la flat tax, a favore di una tassazione progressiva e sul patrimonio, e promuovono sostanziosi investimenti pubblici a beneficio delle infrastrutture e del welfare. Non mettono certo in discussione la proprietà e il libero scambio, ma guardano con scetticismo ai sussidi garantiti dai precedenti governi al settore privato.
Altro tratto distintivo, la grossa diffidenza nei confronti della vicina (e potente) Russia di Putin. Ma questo, nella politica di Helsinki, rappresenta una costante.
Al contrario, l’istanza che più differenzia i Veri Finlandesi dagli altri partiti locali è quella relativa al clima. A fronte di una generale quanto ferrea volontà di opporsi al surriscaldamento globale, infatti, la formazione di Halla-aho ha bollato come «elitario» e «isterico» il dibattito sul tema. In questo senso, l’inasprimento delle misure finirebbe per danneggiare la classe operaia, penalizzare gli spostamenti e far fuggire altrove le industrie.
Date queste premesse, viene da chiedersi come abbia fatto un partito che non fa mistero di rivolgersi alla rabbia della gente a ottenere tanti consensi. D’altronde, i più recenti rapporti Onu hanno indicato proprio nella Finlandia il Paese più felice del mondo. Ebbene, pur restando una delle economie più avanzate del continente, la crescita del suo Pil è in calo: +2.5% nel 2018, +1.9% nel 2019, +1.7% nel 2020. E il corrente tasso di disoccupazione – 6.7% – è superiore non solo a quello degli altri Paesi scandinavi, ma anche alla media Ue.
L’elemento più critico è però rappresentato dalle ripercussioni che le restrittive politiche monetarie di Bruxelles stanno iniziando ad avere – quanto meno nella percezione comune – sulla qualità del welfare. Un sistema da sempre giudicato d’eccellenza a livello internazionale, oltre che cruciale per il benessere di una popolazione dall’età media sempre più elevata.
Vi è poi il capitolo criminalità: nel Paese il numero degli immigrati resta ancora basso, ma è ma in continua crescita. Parallelamente, i reati sessuali vengono segnalati in aumento: secondo la polizia di Helsinki, i cittadini stranieri sono sospettati del 54% degli stupri e del 32% degli abusi su minori. Ha avuto inoltre forte impatto sull’opinione pubblica un caso di ripetute violenze a opera di richiedenti asilo lo scorso dicembre a Oulu.
Quale futuro per i Veri Finlandesi? La sfida che li attende è essenzialmente una: non fare la fine dei Cinque Stelle. Cioè evitare l’emorragia di voti nel momento in cui, da partito di protesta, dovessero (nuovamente) riuscire a trasformarsi in partito di governo.
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