«La Squadra di Ispezione delle Nazioni Unite non ha trovato prove che Saddam Hussein possedesse armi di distruzione di massa nel 2003».
Si conclude così il Rapporto dell’Onu – redatto il 2 marzo 2004 e pubblicato il 30 settembre – relativo alle indagini condotte dai propri ispettori in Iraq per capire se il regime di Baghdad in quegli anni detenesse realmente le armi chimiche che stavano preoccupando tutto l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti. Fu un documento che di fatto confermò la tesi sostenuta da molti che l’intervento militare americano in Iraq fosse inutile e che quell’assunto di fondo che Saddam Hussein avesse armi di distruzione di massa, fosse in realtà una semplice scusa per poter attaccare il suo Paese, tenendo a mente invece secondi fini.
Ma per capire meglio la portata di quel documento e tutte le spese, economiche ed umane (anche noi italiani infatti vi partecipammo), di una guerra condotta su basi inesistenti, occorre necessariamente fare un passo indietro di almeno tre anni.
La guerra al terrorismo e la dottrina Bush
L’11 settembre del 2001 diciannove uomini dirottarono quattro aerei di linea americani facendoli schiantare contro le Torri gemelle e contro il Pentagono. Il quarto aereo, diretto presumibilmente verso la Casa Bianca, si schiantò invece in un campo vicino a Shanksville, in Pennsylvania, dopo che i passeggeri e i membri dell’equipaggio tentarono invano di riprendere il controllo del velivolo.
L’attacco terroristico fu subito rivendicato da Al-Qaeda, organizzazione terroristica di matrice fondamentalista islamica comandata da Osama Bin Laden e presso la quale tutti gli attentatori di quel giorno erano affiliati. La reazione degli Usa fu dura e innescò in breve tempo una guerra in Afghanistan, Paese allora controllato dai talebani e accusato di ospitare Bin Laden e i suoi uomini. Il presidente Bush elaborò la dottrina della “guerra preventiva” agli Stati “canaglia” con il conflitto che iniziò il 7 ottobre e si concluse in breve tempo.
I talebani furono sconfitti e destituiti di ogni potere sul Paese. Tuttavia, nonostante fosse stato individuato nelle montagne di Tora Bora il rifugio segreto del leader di Al-Qaeda, questo fu solo avvistato e le sue tracce, nel dicembre 2001, si sarebbero disperse per qualche anno.
Gli americani dettero così il via alla seconda offensiva militare in Afghanistan: l’Operazione Anaconda che, curiosamente, prese il via sempre il 2 marzo ma stavolta del 2002.
Dall’Afghanistan all’Iraq
Bin Laden non si trovava ma al contempo sembrava che Saddam Hussein, dal 1979 presidente dell’Iraq, ospitasse lui ed altri militanti di Al-Qaeda nel suo Paese. Inoltre, veniva fatta trapelare la notizia che lo stesso Saddam stesse progettando da anni, assieme ai suoi scienziati, un piano per lo sviluppo di armi chimico-nucleari. Siamo nel 2003 e l’amministrazione Bush, puntando molto sul diffuso timore per l’arsenale di Saddam Hussein, entra a Baghdad avviando la seconda guerra in Medio Oriente nel giro di un anno e mezzo.
Anche qua il conflitto, in sé e per sé, fu piuttosto breve; così come fu breve ed immediata la percezione che quelle stesse armi in realtà non fossero mai esistite.
Il Rapporto, condotto da un team internazionale di circa 1.400 persone che ha esaminato i documenti ufficiali del regime iracheno ed interrogato i suoi principali funzionari, Saddam compreso, ci spiega perché.
Il Rapporto della Squadra d’Ispezione Onu in Iraq
«Gli anni iniziali del regime di Saddam sono anni ambiziosi» si legge, «Un netto aumento del prezzo del petrolio nel 1979, in seguito a una serie di precedenti impennate, fornisce a Saddam una base finanziaria da utilizzare per migliorare le infrastrutture civili irachene e modernizzare le sue forze armate. La rivoluzione islamica in Iran, tuttavia, interrompe i suoi piani. Nell’autunno del 1980, con l’esercito iraniano indebolito dalle purghe interne, Saddam ritiene che un attacco avrebbe avuto successo. Sentiva anche che colpire l’Iran avrebbe rafforzato il suo prestigio con gli altri leader arabi che temevano l’influenza di Khomeini (l’ayatollah a capo della rivoluzione iraniana)».
Ma il piano di Saddam Hussein fallisce, la guerra non è breve, è senza vincitori e pesa molto sull’economia del Paese. «Quella guerra è costata risorse finanziarie, umane e materiali e ha portato l’Iraq verso un periodo di insolvenza e declino. Tuttavia, la guerra ha insegnato a Saddam l’importanza delle armi di distruzione di massa per la sopravvivenza nazionale e del regime». In questo contesto si inseriscono poi anche le spese per l’invasione del Kuwait nel 1990 e le relative sanzioni contro l’Iraq disposte dall’Onu.
Secondo il rapporto però «molti ex funzionari iracheni vicini a Saddam lo hanno sentito dire che intendeva riprendere i programmi per le armi di distruzione di massa in caso di revoca delle sanzioni e dell’embargo. Persone vicine a lui sostengono che, in quel momento, Saddam non era affatto intenzionato ad abbandonare definitivamente quei programmi». Tuttavia, piani concreti verso quella direzione non sembrano essere mai stati stabiliti, né tanto meno messi in moto. Ispettori dell’Onu giunti a Baghdad comunque cominciano ad indagare su questa pista.
Nel 1995 l’Iraq è a rischio bancarotta; Saddam Hussein è costretto ad accantonare il suo piano per lo sviluppo di armi chimiche, biologiche e nucleari ed accetta la mano tesa dell’Onu, intenzionata a ridimensionare le sanzioni per non gravare ancora sull’ormai poverissimo popolo iracheno. Nel 1998 gli ispettori dell’Onu lasciano il Paese ed anche le sanzioni si affievoliscono.
Il presidente iracheno investe così le sue crescenti riserve di valuta forte nella ricostruzione del suo complesso militare-industriale, aumentando il suo accesso a beni e materiali a duplice uso e creando numerosi progetti di ricerca e di sviluppo militare. Il Rapporto ha infatti riconosciuto che sono state trovate alcune piccole scorte di armi di distruzione di massa chimiche, ma il cui numero è inadeguato per fare dell’Iraq una minaccia militare significativa.
Inoltre, proprio quando sta aumentando la “simpatia internazionale” attorno al popolo iracheno, Saddam non è in grado di capitalizzare questo mutevole stato d’animo per rafforzare la sua posizione negoziale con le Nazioni Unite: «L’Iraq ha perso una grande opportunità per ridurre le tensioni con gli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Non riuscendo infatti a condannare gli attacchi ed esprimere solidarietà al popolo americano, Saddam ha rafforzato i sospetti degli Stati Uniti sui suoi legami con Al-Qaeda e ha certificato le credenziali dell’Iraq come uno stato canaglia».
Da qui il conflitto, la cattura ed uccisione di Saddam e l’instaurazione della democrazia in Iraq. Con una guerra che si è clamorosamente appoggiata sul nulla, perché “nulla” alla fine è quello che è stato trovato: né le armi di distruzione di massa, né Osama Bin Laden o altri affiliati di Al-Qaeda.
«La realizzazione della bomba nucleare? Saddam Hussein era più lontano nel 2003 di quanto non lo fosse invece nel 1991»
Chales Duelfer, capo della Squadra d’Ispezione e principale autore del rapporto del 2 marzo 2004.