L’Italia è sempre più fuori dalla scuola. L’ultimo rapporto Istat sul benessere equo sostenibile nel nostro Paese descrive una situazione inquietante: nel 2017 il 14% dei giovani tra i 18 e i 24 anni è uscito dal sistema d’istruzione e formazione rispetto al 13,8% precedente. La variazione è minima, ma è il primo valore in negativo degli ultimi dieci anni. Peggio di noi, tra i Paesi dell’Ue, soltanto Malta (17,7%), la Romania (18,1%) e la Spagna (18,3%).
Secondo i dati raccolti dall’istituto di statistica, le persone di 30-34 anni che hanno completato un’istruzione terziaria sono il 26,9%, percentuale molto distante dalla media europea del 39,9%. L’Italia non è in testa alla classifica neppure per quanto riguarda la percentuale di persone tra i 25 e i 64 anni con un diploma: il dato è del 60,9% contro la media europea del 77,5%. I picchi dell’abbandono scolastico sono soprattutto nelle isole: in Sardegna e in Sicilia i giovani fuori dalle classi prima del tempo nel 2017 sono rispettivamente il 21,2% e il 20,9%. In altre regioni, la percentuale di ragazzi che abbandona è inferiore al valore medio del resto d’Europa: in Abruzzo sono il 7,4%, in provincia di Trento il 7,8%, in Umbria il 9,3%, in Emilia Romagna il 9,9%, nelle Marche il 10,1%, in Friuli il 10,3% e in Veneto il 10,5%.
Il governo gialloverde vuole rispondere alla crisi con un’azione che ritiene mirata: l’assunzione di 2000 insegnanti in più per permettere un tempo pieno e prolungato almeno nel primo ciclo d’istruzione. «Un numero strutturale che permette l’apertura quotidiana nei quartieri più a rischio» spiega il presidente della Commissione cultura, scienze, istruzione della Camera Luigi Gallo.