Una storia dimenticata ai margini della città

Il Marchiondi di Baggio: fine brutale di un capolavoro brutalista

Nato come istituto per il recupero di ragazzi fragili, oggi rimane un fatiscente colosso in cemento armato. Il suo abbandono non rappresenta solo uno spreco di spazio, ma anche la triste fine di un'opera d'arte lasciata a sé stessa

Oggi il Marchiondi di Baggio si presenta come un mastodontico rudere alla periferia ovest di Milano. Ma non è stato sempre così. In passato l’edificio è stato un istituto importante per il territorio, posizionato in una sede di indubbio valore artistico.

Il manifesto del Brutalismo milanese

Sfogliando un libro di storia dell’architettura, chi capitasse alla voce “Brutalismo”, troverebbe probabilmente a corredare la descrizione di questa corrente artistica del secondo Novecento una foto dell’Istituto Marchiondi Spagliardi, sito al civico 1 di via Noale, a Milano, ai margini del quartiere Baggio.

Marchiondi
Vittoriano Viganò, architetto progettista del Marchiondi di Baggio

Trionfo di cemento armato e linee ortogonali, il Marchiondi – come è più semplicemente chiamato nei dintorni – fu realizzato tra il 1954 e il 1957 su progetto dell’architetto milanese Vittoriano Viganò. Negli stessi anni in cui la costruzione del grattacielo Pirelli cambiava per sempre lo skyline della città, anche le periferie erano in piena trasformazione, prendevano vita e cercavano di integrarsi nel tessuto urbano.

Formare, non recludere

Fu questa la genesi del Marchiondi, che sorgeva in quegli anni come “istituto per ragazzi difficili” e rilevava un precedente edificio con la stessa destinazione, la cui sede originale, in via Quadronno (dunque molto più vicina al centro), era stata distrutta dai bombardamenti. Non era un riformatorio, tantomeno un orfanotrofio o un carcere minorile, ma un istituto pensato per accogliere, rieducare e forse anche proteggere ragazzi svantaggiati, provenienti da contesti di disagio e fragilità.

Marchiondi
Le travi in cemento che compongono lo scheletro (anche esterno) del Marchiondi

Una missione che la struttura comunicava anche nelle sue caratteristiche architettoniche: un complesso di edifici in cemento armato a vista, con stanze ampie e ariose, dove la luce entrava in quantità da file e file di finestre. I singoli palazzi che componevano l’istituto, di diverse altezze e metrature, erano collegati da passaggi coperti, circondati dal verde dei cortili (10mila metri quadrati) e da quello dei campi che ancora lambivano quella zona della città. Un progetto solido, razionale, funzionale, che trasmetteva nell’organizzazione dei suoi spazi gli stessi valori che avrebbe voluto inculcare ai suoi fruitori.

All’epoca del completamento, il Marchiondi appariva come un capolavoro di architettura, apprezzatissimo dalla critica, che lo salutava come l’opera più rappresentativa del Brutalismo in Italia. Oggi, però, è difficile immaginare l’istituto sotto questa prospettiva.

Abbandono e decadenza

Nel 1980 l’Opera Pia Istituti Riuniti Marchiondi-Spagliardi, la realtà educativa che sin dall’Ottocento si dedicava ai ragazzi difficili della città, fu estinta. La gestione della struttura passò quindi prima alla Regione e poi al Comune.

Dopo un breve utilizzo come scuola professionale, alla fine degli anni Novanta il Marchiondi fu abbandonato. L’incuria e il tempo lo hanno portato presto al degrado, riducendolo a un ricovero di fortuna per senzatetto o a una piazza per traffici illeciti. Le forze dell’ordine sono spesso intervenute per degli sgomberi e oggi – con l’eccezione di un’apertura temporanea in occasione del Fuorisalone 2023 – chi scavalca il muro, sfruttando la recinzione già divelta, lo fa solo per praticare l’urbex (crasi delle parole inglesi urban ed exploration), ovvero l’esplorazione di luoghi abbandonati, deturpati e fatiscenti.

Marchiondi
Oggi il Marchiondi versa in stato di grave degrado
Il Marchiondi oggi

Le possenti travi che componevano lo scheletro dell’istituto sono rimaste intatte, ma le stanze sono vuote, le pareti scrostate, i pavimenti coperti da calcinacci e cocci di vetro. Ovunque sono cresciute piante spontanee e la luce che entra dai varchi – non si possono più dire finestre – illumina i segni del vandalismo. Per la maggior parte graffiti o scritte violente, inneggianti al nazismo o alla Zona 7 – il Municipio comunale in cui ricade anche Baggio.

Salendo fino al tetto dell’edificio più alto, pericolosamente accessibile, ci si sente come a camminare sulla Luna. Da un lato la posizione dominante permette una vista notevole, dall’altro la decadenza dell’edificio restituisce un senso di desolazione.

In anni recenti si è molto parlato di un progetto di rigenerazione dell’area, a cura del Politecnico di Milano e in associazione con l’Amministrazione comunale. L’idea più recente, datata settembre 2024, è stata quella di trasformarla in uno studentato, in qualche modo riconnettendosi alla finalità originale. Ma la realizzazione del progetto appare ancora lontana.

Marchiondi
Negli anni sono stati pensati numerosi progetti per riqualificare il Marchiondi, in stato di abbandono da oltre vent’anni
Gli ospiti dell’istituto

Che ne è stato invece dei ragazzi del Marchiondi? Chi sul finire degli anni Settanta faceva le scuole medie nei quartieri vicini, come Baggio o il Quartiere degli Olmi, ricorda di averli avuti come compagni di classe. Ai loro occhi apparivano come ragazzi problematici, scapestrati, a volte anche afflitti da difficoltà cognitive o comportamentali. Li vedevano andare e tornare dall’istituto, sapendo che erano stati allontanati dalle famiglie d’origine e che raramente terminavano il ciclo scolastico.

Disadattati in tutti i sensi, non si sa che fine abbiano fatto. Piace pensare che crescendo abbiano trovato una via per sistemarsi e stare al mondo, invece che fare la fine brutale del complesso che li ospitava. Di uno si conosce la carriera, sebbene il mestiere sia, per così dire, poco ordinario. Luciano Beccalli, detto “Lucianino”, originario di Quarto Oggiaro, si è fatto un nome come rapinatore di banche.

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