Turchia, il leader curdo Öcalan chiede al Pkk di deporre le armi

«Abbandonate le armi, mi prendo la responsabilità di questo appello». Lo ha detto Abdullah Öcalan dal carcere, dove è rinchiuso ormai dal 1999. Il leader del gruppo terroristico Pkk, di matrice curda, ha fatto leggere le sue parole il 27 febbraio dai vertici del partito filo-curdo a Istanbul. Si tratta di Sirri Sureyya Onder, Ahmet Turk e Pervin Buldan, deputati della terza formazione politica della Turchia. «Non c’è alternativa alla democrazia, tutti i gruppi devono sciogliersi», ha scritto Öcalan. Il messaggio ha mosso migliaia di persone nelle città di Diyarbakir e Van, dove vive la maggior parte della popolazione curda.

Il colloquio

È un cambio epocale. Un appuntamento storico che potrebbe porre fine a un conflitto che dura da più di 40 anni. I colloqui tra Öcalan e i vertici governativi vanno avanti dall’autunno del 2024 e sembra essersi trovata una definizione. Ma non è ancora chiaro cosa si sia dato in cambio al gruppo terroristico. Le trattative si sono svolte sull’isola di Imrali, nel Mar di Marmara, dove il capogruppo del Pkk è imprigionato da 26 anni.

Inizialmente i colloqui sembravano impossibili. Soprattutto dopo l’attentato del Pkk a Kahramankazan, cittadina a 40km da Ankara, lo scorso ottobre. A velocizzare il dialogo la caduta di Bashar Assad in Siria. Recep Tayyip Erdoğan, che governa il paese dal 2003, ha definito l’accordo «un’opportunità storica». Non c’è niente di certo rispetto allo scambio. Ma si pensa che oltre alla semi libertà di Öcalan, ci sia in gioco anche una possibile forma di autonomia per le città del Kurdistan.

Chi è Öcalan?

Per la maggior parte della popolazione turca Öcalan è un terrorista. Eppure, il giorno del suo compleanno, il 4 aprile 1948, è considerato un giorno quasi sacro. Una visione che può avere un senso. Visto che il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), da lui fondato nel 1978, ha causato circa 40 mila morti dopo più di 40 anni di guerra con Ankara.

Dalla sua gente viene chiamato Apo (zio), ed è l’unico detenuto che è riuscito a non perdere consensi. Per i curdi è un salvatore della patria. È stato condannato per attentato alla sovranità dello Stato alla pena di morte, poi convertita nel 2002 in ergastolo. Da sempre vicinissimo alla Siria, che fino al 1998 gli aveva anche offerto una base di addestramento militare.

Una volta espulso dal Paese, dopo avere toccato Mosca e Roma, venne catturato nel 1998 dai turchi a Nairobi. Ha dato una svolta dal carcere, passando da una visione marxista a una completamente democratica. Aspirava alla creazione di una democrazia diretta sviluppata in maniera confederale tra i popoli mediorientali. Oggi spera che finalmente turchi e curdi possano convivere pacificamente.

Francesca Neri

Laurea triennale in Storia Contemporanea all'Università di Bologna. Laurea Magistrale in Scienze Storiche e Orientalistiche all'Università di Bologna, con Master di I Livello in African Studies all'Università Dalarna.

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