Ansia, attacchi di panico e depressione. Si vede chiaro e tondo il disagio che avvolge una società in crisi. A farne le spese sono soprattutto i giovani e giovanissimi. I dati Censis rivelano che durante la pandemia sono stati soprattutto loro a soffrire di problemi psicologici. Tra gli adulti (over 37 anni) e gli anziani, il 20% degli italiani ha sofferto di disturbi psicologici, mentre la situazione è decisamente più preoccupante tra i giovani: sotto i 37 anni il dato sale al 44,6%, addirittura al 49,9% tra i 18 e i 25 anni.
Per approfondire la questione, un gruppo di ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma è entrato nelle scuole per parlare con ragazzi, genitori e docenti. Il quadro che è emerso è preoccupante. Ben il 71% degli studenti intervistati dice di provare un disagio a livello psicologico, ma solo il 31% dei genitori afferma di essere consapevole della condizione dei figli. Più consapevolezza si nota invece tra i docenti: il 100% di loro infatti denuncia una situazione critica tra gli studenti, anche più di quanto i ragazzi vogliano ammettere.
Per quanto riguarda l’attribuzione delle cause di questo malessere, circa metà dei ragazzi dà la colpa alla scuola, l’altra metà all’ambito familiare. Tra gli adulti invece, il 39% dei genitori sostiene che il motivo del disagio dei ragazzi sia la scuola, mentre per il 37% dei docenti, il nucleo del disagio risiede tra le mura di casa. Sembra quasi che ciascuno voglia dare la colpa all’altro…
La situazione tra i giovani è quindi davvero difficile. In merito a questo, si esprime in un’intervista a MasterX il professor Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta di formazione psicoanalitica, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore e all’Università Milano-Bicocca. Oltre ad essere presidente della Fondazione “Minotauro”, scuola di formazione in psicoterapia dell’adolescente e del giovane adulto, il professor Lancini è direttore del Master “Prevenzione e trattamento della dipendenza da internet in adolescenza”.
Professor Lancini, da dove viene la sofferenza dei ragazzi?
«È una domanda difficile. Possiamo individuare due diverse visioni per rispondere a questa domanda. Per alcuni, i ragazzi soffrono in adolescenza perché sono stati amati troppo nell’infanzia. E il disagio dipenderebbe dall’incapacità di gestire le frustrazioni e la tristezza che la vita adolescenziale porta con sé».
E l’altra visione?
«L’altra, che è quella che io condivido, sostiene invece che gli adolescenti di oggi siano una generazione che non è mai stata messa al centro. Sono stati ascoltati, ma mai nel modo giusto. Sono immersi in una società è che in continua evoluzione. Ci si aspetta da loro quello che era giusto aspettarsi da un sedicenne 50 anni fa, ma intanto il mondo è cambiato. I ragazzi poi sentono di non poter esprimere le loro emozioni, e questo è vero perché al mondo non interessa davvero di loro. Sono motivi più che sufficienti per provare disagio».
Che ruolo ha la scuola in tutto questo?
«La scuola di oggi non è fatta per i ragazzi, ma per gli adulti. I provvedimenti sono fatti per far contenti i genitori e gli insegnanti, per non farli sentire in difetto quando le cose vanno male e poter addossare tutta la colpa ai ragazzi. La nostra generazione distrugge l’ambiente, il mondo del lavoro è una jungla, le guerre distruggono il mondo in cui i nostri ragazzi vivranno, e noi non siamo neanche in grado di offrire loro un sistema scolastico che li istruisca e li formi come persone. La scuola di oggi è costruita come negli anni ’50, ma il mondo è cambiato».
Cosa si dovrebbe cambiare nel sistema scolastico?
«Bisognerebbe essere per davvero dalla parte dei ragazzi, tanto per cominciare. A cosa serve il 5 in condotta? Solo ad aumentare i conflitti interni alle famiglie, quando invece dovremmo capire perché un certo ragazzo si comporta in un certo modo. Stessa cosa per le bocciature. Vanno solo ad incrementare l’abbandono scolastico. Per non parlare degli insegnati che ritirano il telefono ai liceali come se fossero dei bambini».
Quanto è importante internet per i ragazzi?
«È semplicemente la loro identità. Potremmo dire che i ragazzi costruiscono la loro identità e il modo in cui si relazionano a partire dai social e dal web, ma internet non è più una “cosa” distinta dalle nostre vite, è in mezzo a noi. Quindi non è più “parte” dell’identità, ma “è” l’identità degli adolescenti».
Quante opportunità offre la rete?
«Sono tantissime e dovrebbero essere sfruttate anche a fini didattici. Inoltre tanti adolescenti online riducono un senso di solitudine che provano in famiglia. Se un ragazzo a casa si sente solo, ignorato o non compreso, cercherà di rifugiarsi online. Per questo dico che togliere il telefono è controproducente: se lo facciamo vuol dire che non abbiamo capito la centralità di internet nelle vite dei ragazzi».
Quanto ha influito la pandemia?
«Più che la pandemia ha influito il post pandemia. Si diceva che avremmo messo al centro i giovani, ma non è stato così. Per i ragazzi durante la pandemia, internet era l’unico modo per ricordarsi che là fuori c’era un mondo, con delle persone, degli amici. E oggi siamo di nuovo qui a dire che se i ragazzi stanno male è colpa del fatto che usano troppo il telefono. Quando invece se le nuove generazioni soffrono è colpa nostra che non li abbiamo fatti sentire al centro, ma abbiamo creato un mondo che non offre loro opportunità e aspettative. È per questo che loro si sentono ansiosi e angosciati».
Tanti genitori vedono i figli soffrire ma non sanno come comportarsi. Un consiglio?
«Consiglio sicuramente di fare tante domande, soprattutto le più scomode. “Come stai?” “Stai bene o stai male?” “Ti vedi bello o brutto?” “Stai soffrendo?” E soprattutto dire la verità. Non nascondersi dietro una bugia illudendoli che tutto vada bene e tutto passerà da solo. Se si pensa che un figlio sia davvero in difficoltà e che non se ne renda conto, bisogna dirglielo e suggerirgli di farsi aiutare da un professionista della salute mentale. Perché è per il suo bene».
Andare dallo psicologo ormai non è più uno stigma. È vero?
«Sì, abbastanza, perché abbiamo lavorato su questo tema per molti anni, ma c’è ancora molto da fare in questo verso. Sicuramente un grande passo per il bene dei ragazzi sarebbe avere uno psicologo in ogni scuola».
Quanto è importante parlarne?
«Tantissimo. Ma ormai i ragazzi ne parlano. Sono gli adulti che devono imparare ad ascoltare. Ma oltre a parlare delle emozioni, adesso bisogna legittimarle, soprattutto quelle negative. Abbiamo costruito un mondo in cui sembra che il dolore sia bandito. E così i ragazzi hanno paura ad esprimerlo. I giovani devono invece sapere che anche gli adulti soffrono e sanno parlare della loro sofferenza. Solo così riusciranno a esprimerle, capirle e affrontarle».
A cura di Chiara Balzarini