Da Impagnatiello a Turetta, l’avvocato: «ergastolo non significa “fine pena mai”»

Recentemente gli italiani hanno assistito alla proclamazione di due sentenze di ergastolo nei confronti di due giovani uomini. Si tratta di Alessandro Impagnatiello e Filippo Turetta, protagonisti di due casi di cronaca nera che hanno scosso, nell’ultimo anno, l’opinione pubblica. Cosa significa, però, essere condannati all’ergastolo nel nostro Paese? Si può davvero parlare di “fine pena mai”? Roberto Spoldi, avvocato penalista, spiega cosa prevede questo dispositivo.

Cos’è l’ergastolo

«L’ergastolo rappresenta la pena più grave prevista dal Codice Penale» afferma l’avvocato Spoldi. «Si tratta di un dispositivo previsto in relazione a reati di particolare gravosità e di allarme sociale quali l’omicidio premeditato, i reati di stampo mafioso o  legati alla criminalità organizzata».

Pena ordinaria o ergastolo ostativo
L’avvocato penalista, Roberto Spoldi

È necessario distinguere due tipologie di ergastolo: l’ergastolo ordinario e l’ergastolo ostativo. «Il primo è un tipo di ergastolo che, di per sé, non prevede una permanenza “a vita” dell’individuo in regime detentivo» dichiara l’avvocato.

«Sono, infatti, previsti una serie di benefici a cui il condannato può accedere. Dopo 10 anni, ad esempio, il soggetto può accedere ai permessi premio. Dopo 20 anni è previsto l’accesso alla semi-libertà e al 26esimo anno è possibile, per l’ergastolano, accedere alla liberazione condizionale».

Il caso Viola, la Cedu contro l’Italia

Nel 2019 una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo condanna l’Italia. Secondo il ricorso n. 77633/16 “l’ergastolo ostativo viola il rispetto della dignità umana”. La pronuncia della Cedu arriva dopo la vicenda di Marcello Viola, un cittadino italiano condannato a fine Anni ’90 dalla Corte d’Assise di Palmi per i reati di associazione mafiosa, omicidio, sequestro di persona e possesso illegale di armi.

L’interno della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con sede a Strasburgo

Viola, in regime di 41 bis dal 2000, non ha potuto godere dei benefici penitenziari quali permessi premio e liberazione condizionale poiché, nonostante i rapporti dell’osservazione all’interno del carcere evidenziassero la buona condotta e un cambio positivo della sua personalità, non era stata accertata la collaborazione con la giustizia.

«In seguito alla denuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, al quale Viola aveva segnalato la violazione dell’art. 3, relativo al divieto di trattamenti umani e degradanti, e dell’art. 8, relativa al diritto al rispetto della vita privata e familiare, vi è stato un cambio di passo per quanto riguarda l’accesso ai benefici dei condannati all’ergastolo ostativo».

Non esiste un “fine pena mai”

La Cedu ritiene, infatti, la pena dell’ergastolo ostativo inumana e non rieducativa, come invece dovrebbe essere. A questa situazione è succeduta, nel 2022 in Italia, la conversione in legge del d.l 162/2022 che ha messo un punto su questa vicenda.
 


 
«Ad oggi, quindi, anche colui che è in regime di ergastolo ostativo può beneficiare di alcuni provvedimenti di favore che vanno ad attenuare la pena. Va aprendosi, sempre più, una tendenza mirata al fine rieducativo per cui l’ostativo non viene più qualificato come tale e, secondo me, andrà verso una riduzione progressiva» conclude l’avvocato Spoldi.

Si può quindi evincere, dalle parole dell’avvocato, che il “fine pena mai” nel nostro Paese non sia previsto ma che, anzi, al contrario, col passare del tempo si andrà sempre più verso un sistema volto alla rieducazione del condannato anche attraverso l’accesso, per quest’ultimo, a benefici specifici.

Glenda Veronica Matrecano

Classe 2000. Milanese. Laureata in Comunicazione, Media e Pubblicità all'Università IULM. "Curiosa, solare e tenace", così mi descrive chi mi conosce. Mi appassionano, soprattutto, la cronaca e l'attualità ma anche tutte quelle tematiche che sono in grado di accendere il dibattito pubblico. Tra le tante, ho un'aspirazione che supera le altre: diventare giornalista televisiva.

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