Il 28 aprile si celebra la Giornata mondiale delle vittime dell’amianto. Una ricorrenza istituita per commemorare chi ha perso la vita a causa dell’esposizione a questo “killer silenzioso”. Un materiale a lungo utilizzato in passato, soprattutto nel settore edile, per le sue proprietà considerate miracolose. Un materiale che si è però scoperto essere cancerogeno, e che uccide ogni anno in Italia circa 7 mila persone, secondo le stime dell’Ona, l’Osservatorio nazionale amianto.
Tra le vittime di questa fibra cancerogena c’è Fabio Fabretti, morto a 67 anni dopo essere stato esposto all’amianto per circa metà della sua vita. Così lo ha voluto ricordare suo figlio, Davide Fabretti, che a lungo si è battuto per ottenere giustizia, vincendo cause nei tribunali e diventando coordinatore regionale dell’Ona.
La testimonianza di Davide Fabretti
Utilizzi e patologie
L’amianto (dal greco “amiantos”, “inattaccabile”) o asbesto (dal greco “asbestos”, “che non brucia”) è un gruppo di sei minerali fibrosi presenti in natura, nel suolo e nelle rocce. In Italia e in altre parti del mondo è stato ampiamente utilizzato in campo industriale, nell’edilizia e nella produzione di beni di consumo. «Costava poco, isolava e proteggeva dal calore», riassume Davide Fabretti. «In ogni ambiente lavorativo costruito negli anni ’50-’80 c’è dell’amianto». Lastre per coperture, tubi, condotte, caldaie, turbine: questo minerale veniva utilizzato per rendere ignifughi e rafforzare i materiali da costruzione. Ma veniva impiegato anche nella produzione di elettrodomestici come forni, stufe e ferri da stiro, nonché nel settore dei trasporti per la realizzazione di freni, frizioni e guarnizioni.
«Nel momento in cui lo metti, l’amianto è perfetto», ricorda Davide Fabretti. «È il tempo, l’usura, le intemperie, e nell’industrie le vibrazioni: tutto ciò fa sfaldare le coibentazioni e fa disperdere microfibre nell’ambiente». Se inalate, le fibre di amianto – fino a 5 mila volte più sottili di un capello – trafiggono le cellule dei polmoni e possono portare a tumori o altre malattie respiratorie. Il periodo di latenza, ossia il tempo fra l’esposizione e la comparsa della patologia, può essere molto lungo: i primi sintomi possono comparire a trenta o quaranta anni di distanza. E come riconosce l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa), l’amianto non presenta un livello soglia: basta una singola fibra per ammalarsi, anche se il rischio aumenta all’aumentare dell’esposizione, in termini di durata e di quantità di fibre inalate.
Le patologie
Tra le patologie asbesto correlate una delle più comuni è il cancro polmonare, ma possono insorgere tumori anche in altri organi tra cui laringe e ovaie. Il più aggressivo è il mesotelioma pleurico, una neoplasia che attacca il mesotelio, ovvero il sottile tessuto che riveste i polmoni e gran parte degli organi interni. Tale tumore porta quasi sempre alla morte, proprio come accaduto a Fabio Fabretti.
A rischio non solo i lavoratori che vengono a contatto con l’amianto, ma chiunque abbia vissuto vicino a fonti di inquinamento da asbesto come i grandi stabilimenti industriali di Casal Monferrato (Eternit), Broni e Bari (Fibronit). Le regioni più esposte sono Liguria, Piemonte, Friuli e Lombardia – quelle con la maggior presenza di attività produttive legate all’amianto. Nonostante i grandi passi avanti fatti dalla ricerca negli ultimi anni, per le patologie asbesto correlate ancora oggi non esiste una cura definitiva.
Divieti e bonifiche
Un tempo fra i maggiori produttori mondiali di amianto, l’Italia ha messo al bando questa fibra cancerogena dal 1992, con la legge 257 che ne vieta «l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione». Tredici anni dopo sarebbe arrivata anche la normativa europea, mentre l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha inserito l’eradicazione delle malattie amianto correlate fra le priorità “ambiente e salute” per il conseguimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Uniti per lo sviluppo sostenibile.
Eppure, questo materiale è ancora in circolazione, in Italia come in Europa, nelle caldaie, sui tetti, nell’edilizia pubblica e privata. «Bisogna fare le bonifiche», sottolinea Davide Fabretti, «ma non tutti gli ambienti lavorativi hanno il coraggio di togliere l’amianto, perché ciò ha un costo, anche se ci sono delle agevolazioni». Le opere di decontaminazione procedono a rilento: nel 2022 il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica censiva oltre 135 mila siti contenenti amianto, di cui solo 15 mila bonificati. A questo ritmo, la totale rimozione dell’amianto richiederà parecchi decenni, se non secoli. Anche perché alcune associazioni considerano incompleta la mappatura del governo: l’Ona, ad esempio, stima 1 milione di siti contenenti amianto, per un totale di 40 milioni di tonnellate di materiali.
Sempre più vittime
Insomma, le persone continuano a respirare amianto, ad ammalarsi e a morire, ogni anno in quantità sempre maggiore, in Italia come nel resto del mondo. «Pensavo che il picco dovesse arrivare intorno al 2015 o al 2020, invece ogni anno la situazione peggiora», sostiene Davide Fabretti. L’Istituto superiore della sanità (Iss) stima, a livello nazionale, tra il 2010 e il 2016, oltre 4.400 morti l’anno per esposizione all’amianto. Cifra rivista però in netto rialzo da altre istituzioni, come l’Ona – 7 mila vittime nel 2022. Quanto all’Europa, l’Iss calcola almeno 80 mila vittime ogni anno, mentre l’Oms stima a livello mondiale oltre 125 milioni di lavoratori esposti ad asbesto e circa 230 mila decessi l’anno.
Per non parlare poi delle scuole contenenti amianto – 2.500 in Italia, secondo i dati dell’Ona. A rischio 350 mila alunni e 50 mila membri del personale scolastico. Cifre spaventose, cui si aggiungono 1.500 biblioteche ed edifici culturali e almeno 500 ospedali. Tutti numeri parziali, considerando che la mappatura è in continuo aggiornamento. Numeri che impediscono di relegare la questione dell’amianto a una mera ricorrenza da festeggiare ogni 28 aprile. Perché anche gli altri giorni dell’anno migliaia di persone continuano a morire a causa di questa fibra cancerogena. Nell’indifferenza dei media, della politica e dell’intera opinione pubblica.