Usa, storico accordo NCAA: gli atleti universitari saranno pagati

NCAA Usa

Nella terra dell’American Dream c’era chi fino a oggi era stato trascurato. Nel Paese delle Meraviglie e del dollaro, c’era chi non poteva per legge inspessirsi il portafoglio con il suo lavoro. Non più. Con un accordo storico, la NCAA (National Collegiate Athletic Association) ha aperto alla possibilità di stipendio per gli sportivi universitari.

Il sistema a stelle e strisce

Freshman, sophomore, junior, senior. Dai diciassette ai ventuno anni, con qualche eccezione che scavalla la maggiore età statunitense. Basket, baseball, football americano, hockey. Ma anche calcio, ginnastica artistica, atletica leggera e chi più ne ha più ne metta. Il sistema universitario d’oltreoceano è da sempre all’avanguardia nell’ambito sportivo. Non c’è bisogno di squadre di club o società ‘private’ quando l’espressione del massimo agonismo sono proprio gli istituti scolastici.

March Madness NCAA Usa
Una delle partite della March Madness, che durante il mese di marzo stabiliscono la migliore squadra di basket a livello di college (sia maschile che femminile)

Non deve, però, sorprendere che di banconote verdi non ci sia nemmeno l’ombra. Almeno per quei stessi ragazzi che (tra allenamenti, partite, esami, lezioni e borse di studio) si dedicano anima e corpo alla loro passione. Dilettanti, amatoriali: tutti i vari LeBron James, Micheal Jordan e Tom Brady hanno iniziato con questa etichetta. Giusto o sbagliato?

Quanti soldi per dei minorenni

Le voci sono discordanti. Tra chi pensa che debbano essere riconosciuti come professionisti, con diritto per questo a ricevere uno stipendio congruo. E chi reputa non etico pagare sportivi minorenni che rappresentano un’università o un college. La verità probabilmente sta nel mezzo.

Serve però ampliare un po’ il discorso. Perché mentre gli atleti non vedono un becco di quattrino, per le istituzioni che rappresentano la loro performance è fonte di enormi introiti. Come? I vecchi e cari diritti tv. Che negli Stati Uniti raggiungono cifre folli anche per le competizioni teoricamente amatoriali. Prendiamo solo il College Football, anzi i suoi Playoff che dalla prossima stagione sono stati ampliati fino a undici partite all’anno. Ecco, per questa dozzina scarsa di eventi il broadcaster ESPN pagherà alla NCAA fino al 2031 circa 1.3 miliardi di dollari. Per intenderci Sky e Dazn in Italia pagano 900 milioni a stagione per la Serie A. Per tutte le 380 sfide.

White out NCAA Penn STate
Il cosiddetto ‘White Out’ nello stadio di Penn State University. Con i suoi 101mila posti a sedere, è la seconda struttura più capiente negli Stati Uniti dopo il ‘The Big House’ di Michigan

Di tutti questi soldi quanti ne entrano nelle casse delle università? Tanti. Pensiamo al basket e ai suoi Playoff, la cosiddetta March Madness. Per ottenere i diritti dal 2010 al 2032 CBS si è impegnato (e si impegna tuttora) a sborsare 930 milioni di dollari all’anno. Il 90% di questi finisce nelle tasche delle 68 squadre che prendono parte al torneo conclusivo della stagione. Con tutti questi soldi che girano intorno allo sport a livello collegiate, perché non dovrebbe essere giusto pagare chi quei soldi li genera?

L’accordo che spalanca le porte

Tre anni fa il primo passo, con l’introduzione del sistema NIL. Letteralmente Name, Image & Likeness, è la possibilità che gli atleti possano trarre profitto tramite contratti pubblicitari. In poche parole vendendo il loro nome e la loro immagine. Ora la prima vera apertura. La NCAA e la Power 5 Conference (una delle competizioni interne al College Football) hanno deciso di porre fine a tre cause aperte, pagando circa 2,8 miliardi di dollari di danni. Il dilettantismo è diventato professionismo, una conclusione inevitabile in un sistema in cui i dollari circolano nell’ordine dei miliardi.

Meme NIL Ncaa
Da meme a NIL è un passo. Un giocatore di football americano presta la sua immagine alla catena di fast food Popeyes, forte della sua celebrità da soggetto di un meme

«È un accordo storico e allo stesso tempo profondamente sbagliato», ha dichiarato Michael LeRoy, professore all’Università dell’Illinois. «L’idea che le scuole paghino milioni di dollari a chi fa vendere loro i contratti televisivi e riempire i posti a sedere è buona. Ma si chiude un vaso di Pandora e se ne aprono altri quattro o cinque».

E ora? L’accordo prevede due componenti: il pagamento degli arretrati per i diritti di nome, immagine e licenza che erano stati negati ai giocatori prima del 2021, e un progetto per il pagamento degli atleti per quei diritti in futuro. Non è però ancora ben chiaro chi verrà pagato e quanto. Anche perché quei 2,8 miliardi di dollari si riferiscono solo al caso di basket e football americano. Deve ancora essere trovata una quadra per quanto riguarda i corrispettivi sport al femminile e tutte le altre discipline. Ma la portata della novità va ben oltre il semplice accordo. Perché è molto probabile che già dall’anno prossimo le università tengano da parte cifre intorno ai 20 milioni di dollari per pagare le loro giovani stelle NCAA. Il come è ancora tutto da vedere, anche perché bisogna passare dal setaccio del Congresso di Washington.

No Comments Yet

Leave a Reply