Sanremo 2026: la “Grande Fuga” dei Big e l’illusione Indie. Analisi di un cast che divide

L’appuntamento era fissato per le 13:30 al del TG1 ma Carlo Conti si è materializzato con quel pizzico di suspense (o forse solo a causa di un banale ritardo tecnico) alle 13:39. In mano un foglio di carta con una lista di 30 nomi, annunciata con la rapidità di chi sa che il tempo è tiranno. Una velocità d’esecuzione che sembra già anticipare quello che vedremo a febbraio (e che abbiamo già visto nella scorsa edizione): una maratona televisiva costretta a incastrare un numero monstre di artisti in gara, gli omaggi – dovuti – ai giganti di Sanremo scomparsi nell’ultimo anno e il consueto parterre di ospiti. La sensazione immediata? Quella che il cast che non sia all’altezza delle aspettative. Qualche guizzo interessante c’è, ma mancano terribilmente quei nomi che, pur etichettati da come mainstream, sono quelli che ci piace davvero ascoltare, seguire, veder trionfare.

La “Grande Fuga” e il fantasma dell’era Amadeus

A sipario alzato, il brusio sui social e tra gli addetti ai lavori è diventato subito rumore bianco. Se da un lato non mancano i ritorni che sanno di “operazione nostalgia” o di rilanci di carriera necessari (pensiamo “alla ciliegina sulla torta” Patty Pravo, a Raf o a Masini), dall’altro si percepisce un vuoto pesante nelle posizioni che contano. Manca quel gotha del pop che domina le classifiche, quelle dello streaming e della vita di tutti i giorni. Come aveva anticipato un’indagine de Il Messaggero parlando di una “grande fuga da Sanremo”, il cast sembra orfano dei veri pesi massimi. Le voci di corridoio, rimbalzate dagli uffici Rai alle case discografiche, dipingono un quadro di gran rifiuti: Tiziano Ferro e Annalisa avrebbero declinato l’invito, lasciando scoperta la quota “ultrapop”. Ma c’è di più.

Si mormora di un “no” secco anche da parte di Tananai, Emma e Noemi, così come di una pausa strategica per tutelare la salute mentale – tema caldissimo dopo i casi di Sangiovanni e Angelina Mango – per chi sente il peso dell’eccessiva esposizione. Persino chi ha già gli stadi prenotati per l’estate, come Tedua o un veterano della città dei fiori come Irama (per i quali Sanremo è solitamente tappa obbligata di marketing), quest’anno ha preferito passare la mano. Il risultato che rimane è un netto stacco dall’era Amadeus, che aveva trasformato l’Ariston in un’estensione diretta della Top 50 Spotify.

Tutti i 30 big in gara a Sanremo 2026 annunciati da Carlo Conti
Nicchia, Pop o il rischio del “Tritacarne”

Senza i giganti del pop attuale, Conti sembra aver virato su una strategia rischiosa: pescare a piene mani da un bacino di artisti che hanno superato l’etichetta di “emergenti”, ma che restano idoli di nicchie ben definite. Nomi raffinati come Colombre, Maria Antonietta, Nayt e Sayf si trovano ora catapultati nel tritacarne generalista di Rai 1. La domanda lecita è: questi artisti riusciranno a tradurre il loro linguaggio per il pubblico della “zia di Voghera” senza snaturarsi? O assisteremo al consueto tentativo di sanremizzazione che appiattisce le spigolosità indie?

Entrando nel dettaglio, ci sono però elementi che potrebbero accendere la curiosità: le “prime volte” di Luchè e Tommaso Paradiso, il ritorno di classe di Malika Ayane e quello di Levante. C’è il pop sofisticato di Ditonellapiaga e, per non farci mancare nulla, il bis di Elettra Lamborghini: speriamo che porti un’altra Musica (e il resto scompare), perché il rischio che scompaia l’interesse è alto. Vedere Fulminacci su quel palco resta un’altra promessa interessante, ma il confine tra la consacrazione incomprensione, all’Ariston, è sottilissimo.

Fenomeni Social, “Nepo Baby” e gaffe in diretta

Scorrendo la lista, saltano all’occhio le altre quote inevitabili moderne del mercato. C’è chi arriva spinto dalla forza motrice di TikTok, come Eddie Brock e la sua virale “Non è mica te”, o chi cavalca l’onda dei tormentoni estivi come Samurai Jay, che ci ha fatto cantare “è tutto sbagliato sta andando tutto al contrario” con la sua Halo. E poi c’è Sal Da Vinci, che pur appartenendo a un’altra generazione ha conquistato tutti con il fenomeno “Rossetto e caffè”.

Carlo Conti, conduttore e direttore artistico di Sanremo 2026

Non manca l’annoso capitolo dei “figli di”, tema già sdoganato da Angelina Mango ma qui presente in forze. Riflettori puntati su Tredici Pietro: il figlio di Gianni Morandi dovrà faticare il doppio per dimostrare che il cognome, nel rap, conta meno delle barre (anche se sui social ha già dimostrato il suo valore). Non dimentichiamoci Leo Gassman figlio di Alessandro e nipote di Vittorio. Spazio anche a LDA (Luca D’Alessio) in coppia con Aka7even, protagonisti loro malgrado del momento cult della giornata: durante l’annuncio al TG1, la foto di Aka7even è stata rimpiazzata per errore da quella di un altro utente dei social, scatenando l’ilarità dei diretti interessati. Un inizio decisamente “amatoriale” per la macchina da guerra Rai.

L’amara conta degli esclusi (e delle illusioni)

Infine, le dolenti note. Per la 29esima volta, i Jalisse restano a casa, vittime di un paradosso mediatico: l’hype per il loro ritorno è ormai più alto del loro potenziale musicale, eppure il portone rimane sbarrato, alimentando la leggenda della “maledizione”. Ma le delusioni vere sono altre. Restano fuori grandi voci pop come Nina Zilli, Mr. Rain, Anna Tatangelo, la reunion di Benji & Fede e Chiara Galiazzo. Ancora più cocente è la delusione per la quota “indie-cool”: niente da fare per Emma Nolde e La Niña (anche se sui propri canali social la cantante ha smentito addirittura di aver presentato un brano), attesissime dalla critica e dagli ascoltatori più attenti, così come sfuma l’interesse per il debutto solista di California dopo la separazione artistica e sentimentale dei Coma Cose.

 

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Un Sanremo che guarda nello specchietto retrovisore

Tirando le somme, questo Sanremo 2026 sembra compiere un passo indietro verso un passato che credevamo archiviato. La strategia dominante pare ignorare i numeri attuali per tornare alle logiche pre-Covid: selezionare non i “mostri sacri” che macinano dischi di platino oggi, ma nomi riconoscibili da rilanciare o scommesse da costruire da zero. È un ritorno al “Sanremo vetrina” per carriere statiche, lontano anni luce dal “Sanremo Champions League” a cui ci eravamo abituati. Mancano Elodie, quel Tiziano Ferro tanto vociferato; sembrano lontanissimi i tempi recenti in cui Elisa e Giorgia duellavano contro Olly e Mahmood per la vittoria. Senza i veri dominatori delle classifiche, anche l’euforia del Fantasanremo rischia di spegnersi: senza i grandi nomi, mancano i “Baudi”, manca il tifo da stadio, manca l’urgenza del presente. Chissà se basteranno Fedez, Dargen D’Amico e Arisa a tirare avanti “la baracca”.

 

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