Vent’anni: tanto ha impiegato la Gran Bretagna per completare un’autentica resurrezione sportiva. Dal disastro di Atlanta 1996 al trionfo di Rio 2016; da 15 podi a 67; dal 36esimo posto nel medagliere, alle spalle anche di Corea del Nord e Kazakistan, al secondo, dietro ai soli Stati Uniti. Una rinascita dovuta a un uggioso primo ministro conservatore e alla passione dei britannici per le scommesse.
LA LOTTERIA NAZIONALE – È il 1993 quando John Major, succeduto tre anni prima a Margaret Thatcher al numero 10 di Downing Street, decide di istituire la lotteria nazionale. Un pozzo in cui i britannici getteranno, a partire dalla prima edizione, nel 1994, decine di miliardi di sterline. Major stabilisce che una parte dei proventi dovrà essere destinata a cultura, arte e – dopo la disfatta di Atlanta – sport. Fondi che serviranno in parte a finanziare 14 film vincitori di Oscar, come Gosford Park di Robert Altman e Il discorso del re di Tom Hooper, in parte a rivitalizzare un movimento sportivo in crisi. In poco più di vent’anni, alle federazioni sportive sono finiti oltre 4 miliardi di sterline, in buona parte impiegati in ottica olimpica.
LA CRESCITA DEGLI INVESTIMENTI – La Bbc afferma che, nel quadriennio che ha portato ad Atlanta 1996, il governo ha investito nella spedizione olimpica circa 5 milioni di sterline all’anno. Meno della metà di quelle spese – secondo i dati forniti da uksport.gov – verso Sydney 2000: 69 milioni in tutto il quadriennio. Da lì in poi, è un crescendo: 85,8 milioni per Atene 2004, 154,8 per Pechino 2008, 313,4 per Londra 2012, 347,3 per Rio 2016.
LA CADUTA – Se i risultati olimpici possono essere considerati lo specchio della salute sportiva di un paese, Atlanta ‘96 è il punto più basso della storia dello sport britannico. Il risultato finale di un declino cominciato nel decennio precedente: le 37 medaglie di Los Angeles 1984, favorite dal boicottaggio sovietico, si erano già ridotte a 24 a Seul 1988 e a 20 a Barcellona 1992. Poi, le 15 del 1996. Ad Atlanta, la Gran Bretagna vince addirittura un solo oro: quello conquistato nel canottaggio da Sir Steve Redgrave, quarto di una serie di cinque consecutivi. È in questo scenario che interviene la lotteria di Major.
L’INIZIO DELLA RISALITA – Gli effetti dell’iniziativa del governo iniziano a essere visibili nel 2000, quando, a Sydney, i podi salgono a 28. Quattro anni dopo, ad Atene, sono 30. Nel 2005, la crescita riceve un’altra spinta: a Singapore, nel 117° meeting del Comitato Olimpico Internazionale, Londra batte la favorita Parigi e ottiene i Giochi del 2012. Un successo che porta con sé una pioggia di investimenti in strutture e programmi sportivi.
Nota: Germania, Canada e Unione Sovietica non hanno partecipato alle edizioni successive a quelle ospitate, rispettivamente, nel 1936, 1976 e 1980.
I TRIONFI DI PECHINO, LONDRA E RIO – A Pechino, nel 2008, arrivano 47 medaglie; quattro anni dopo, grazie anche al fattore campo, addirittura 65. La crescita più sorprendente, per assurdo, è forse quella che la Gran Bretagna fa registrare a Rio 2016, anche se il bilancio, rispetto al 2012, migliora di 2 podi soltanto. Dalla nascita delle Olimpiadi moderne, nel 1896, non era mai accaduto che un paese incrementasse il bottino nell’edizione successiva a quella di casa.
IL CONFRONTO – Per rendersi conto dell’eccezionalità dell’ascesa della Gran Bretagna nel ventennio 1996-2016, può essere utile il confronto con altre quattro potenze europee nello stesso lasso di tempo: Germania, Italia, Francia e Spagna.
- Quando John Major introduce la lotteria nazionale, la Germania è l’indiscussa padrona d’Europa (con l’ovvia eccezione della Russia). A Barcellona, nei primi Giochi dopo la riunificazione tra Est e Ovest, ha raccolto 82 medaglie. Un patrimonio che sarà via via limato nelle edizioni successive: ad Atlanta i podi diventano 65, a Sydney sono 56, ad Atene 49, a Pechino 41. Solo allora la tendenza viene finalmente arrestata, con 44 piazzamenti fra i primi tre a Londra e 42 a Rio de Janeiro.
- La Francia, a quota 29 nel 1992, sale a 37 nel 1996, per poi oscillare intorno a quel numero nelle edizioni successive. Conquista 38 medaglie nel 2000, 33 nel 2004, 41 nel 2008, 34 nel 2012, 42 nel 2016.
- L’Italia, ferma a 19 a Barcellona, cresce fino a 35 in un solo quadriennio olimpico, coinciso con un’età dell’oro dello sport italiano in molti settori. Nelle edizioni successive si registra un progressivo calo, anche se si resta ben al di sopra dei livelli del 1992: i podi sono 34 a Sydney, 32 ad Atene e 27 a Pechino. La cifra si assesta poi a 28 sia a Londra, sia a Rio.
- La Spagna, dopo il bottino di 22 medaglie nell’Olimpiade di casa, subisce un fisiologico calo nel 1996, quando si attesta a 17. Dopo la fallimentare spedizione del 2000, con soli 11 podi, rimbalza a quota 20 nel 2004, per poi chiudere a 18, 17 e ancora 17 nelle tre Olimpiadi più recenti.
Il confronto, il cui andamento è confermato anche dall’analisi della percentuale di medaglie vinte su quelle disponibili, evidenzia quindi che la Gran Bretagna è riuscita a sostituire la Germania come potenza europea egemone. Lo ha fatto inoltre in un contesto in cui i grandi paesi europei hanno visto rimanere più o meno stabili – o, nel caso della Germania, calare – i loro risultati olimpici.
IL METODO BRITANNICO – Se la prima ragione della rinascita dello sport britannico è la pioggia di denaro seguita alla creazione della lotteria nazionale, non sono secondari i criteri con cui le sterline vengono distribuite. Il metodo è meritocratico fino alla brutalità: molti soldi a chi ha la possibilità di raccogliere medaglie, pochi a chi non ne ha. Altrettanto rigoroso è il sistema per stabilire, al termine di ogni quadriennio olimpico, come ridistribuire le risorse. Per ciascuna disciplina viene stabilito un numero minimo di medaglie da raccogliere. Chi raggiunge l’obiettivo – specie se ambizioso –, si vede confermare o incrementare i fondi; chi fallisce, li vede diminuire o scomparire del tutto.
Nota: in alcune discipline, l’obiettivo era indicato con una fascia di valori. Negli sport in cui il target è stato superato, si è mostrato il massimo. In quelli in cui il target è stato mancato, si è indicato il minimo.
CANOTTAGGIO E CICLISMO – Lo sport che raccoglie più fondi è il canottaggio. In vista di Londra 2012, aveva ricevuto 27,3 milioni di sterline. L’obiettivo era conquistare 6 medaglie; ne sono arrivate 9. Ecco dunque che gli investimenti sono stati portati a 32,6 milioni. Lo stesso è accaduto a un altro sport ricchissimo come il ciclismo. Per Londra erano stati spesi 26 milioni. Dopo che il target, fissato fra 6 e 10 podi, è stato superato (12), sono stati stanziati 30,3 milioni per l’edizione successiva. Lo stesso è accaduto per ginnastica ed equitazione, altre due discipline che avevano superato le attese nell’Olimpiade di casa. Sono rimasti invece sostanzialmente costanti i fondi al judo, che aveva però superato un target molto più basso (2 medaglie a fronte di un obiettivo di 1).
IL NUOTO – A Londra, in quanto paese ospitante, la Gran Bretagna era qualificata di diritto in molti eventi nei quali è tradizionalmente poco competitiva. Diverse discipline avevano così ricevuto finanziamenti eccezionali, che sono stati ovviamente tagliati in seguito. Fra gli sport che hanno visto diminuire le proprie risorse, però, c’è anche il nuoto. Dopo l’exploit delle 6 medaglie di Pechino, la disciplina si era vista attribuire 25,1 milioni in vista dei Giochi del 2012. A londra sono arrivati però solo 3 podi, a fronte di un obiettivo di 5-7. Così, in vista di Rio, i fondi sono stati ridotti a 20,8 milioni.
LE CRITICHE – I criteri inglesi hanno dalla loro i risultati, ma non godono di consenso universale. C’è chi sostiene che, per fotografare lo stato di salute di un movimento sportivo, non è sufficiente il conteggio delle medaglie. Altri sottolineano che questo sistema non valorizza i talenti che praticano discipline in cui oggi i britannici non sono competitivi. C’è poi chi sottolinea che, secondo i parametri in vigore, gli sport di squadra che assegnano una singola medaglia – inclusi alcuni molto praticati, come pallavolo e basket -, sono fortemente penalizzati in termini di finanziamenti rispetto a quelli individuali. Altri ancora pongono l’accento su come il valore dello sport non si fermi al risultato agonistico.
Le critiche non sono rimaste del tutto inascoltate. I budget per Tokyo 2020 sono ancora in via di definizione, ma è già stato annunciato che ciclismo e canottaggio, pur avendo raggiunto e superato anche a Rio i target fissati, subiranno leggeri tagli. L’obiettivo: evitare che poche federazioni si spartiscano tutta l’eredità di John Major.